Si dice che il riservato profilo di papa Benedetto XVI custodisse un non comune senso dell’ironia. In tal caso chissà come se la ride ora, osservando dall’alto dei cieli oltre che della sua acutissima intelligenza, lo zelante lamento funebre dei coccodrilli che adesso, silente per sempre, lo piangono. Ma quando silente non era e picchiava duro su ogni impropria contaminazione fra fede e politica l’hanno isolato, calunniato e marchiato a fuoco col titolo vergognosamente volgare di ‘pastore tedesco’. Custodire una dottrina non politicamente spendibile a maggior gloria e onore del cattocomunismo nostrano e planetario e dei suoi officianti fu colpa che Ratzinger ha scontato ogni giorno della sua terrena vicenda. Il destino, o il caso, l’hanno scomodamente collocato fra due pontefici, Giovanni Paolo II e l’attuale papa Francesco, di più plastica fisicità e di comunicativa meglio rispondente a gusti ed esigenze di una società di massa sempre più restia ad avventurarsi nelle fatiche del ‘pensiero forte’. Perché lì, in quel rapporto fra Chiesa e modernità che Ratzinger ha interpretato senza alcuna opportunistica compiacenza allo spirito dei tempi, sta il punto nodale della questione. Questione a cui, decenni prima, era stato sensibilissimo anche papa Montini. Paolo VI, di indole altrettanto riservata e profonda, il quale non aveva dubbi che una modernità dominata dalla dittatura tecnologica e dal conseguente materialismo avrebbe avuto un problematico impatto sulla società contemporanea plasmandone e ‘riformattandone’ teste e interessi. Una tecnologia e un ‘macchinismo’ non affiancati e corretti da adeguata continuità della grande tradizione umanistico cristiana avrebbero finito collo spegnere nell’uomo ogni curiosità metafisica rendendolo strutturalmente inadatto a quella speciale forma di ‘pensiero forte’ e astratto che è la teologia, cioè la domanda su Dio e la scienza di Dio. E così è andata.
Comunque lo si giudichi, è un fatto che la Chiesa contemporanea tende a concentrarsi e quasi risolvere il senso della propria missione terrena nel cosiddetto sociale, tant’è che fra le battaglie che definiscono l’identità morale del buon cristiano al primo posto c’è quella contro le povertà principalmente intese come povertà economiche. Altre povertà, di natura meno materiale ma non meno insidiosa, come l’insufficiente conoscenza e possesso di Verità Rivelata, scivolano ormai in una crescente marginalità e sono oggetto di evidente indulgenza. Nel grande mercato in cui si vendono, svendono e contrabbandano le più disparate merci, tutte etichettandole come oro colato, un’opinione vale l’altra, pullulano sette, santoni e religioni ‘fai da te’ come nella Roma del basso impero, il soggettivismo impera e scomodando a sproposito cose serie come democrazia, liberalismo e tolleranza, si praticano qualunquistiche sanatorie che, di fatto equiparando verità ed errore, rendono via via più tossica l’aria che respiriamo. Ratzinger tentò di arginare il processo semplicemente ricordandoci che non tutte le sedicenti verità sono ugualmente valide e accettabili e possono essere qualitativamente poste sullo stesso piano. C’è dunque una cifra laica oltre che religiosa nell’eredità intellettuale e spirituale che ci ha lasciato. Se il credente lo celebra e forse rimpiange come Maestro di fede, il laico guarda a lui come Maestro di pensiero capace di osare radicali provocazioni.
In questi tempi sciatti e furbeschi, in cui straccivendoli chiamati influencer hanno milioni di followers e pensatori autentici parlano a quattro gatti, Ratzinger ha testimoniato quanto serio sia l’esercizio del pensiero e quanto bisogno abbiamo di strumenti critici utili a valutare la qualità delle verità immesse nel mercato delle idee proprio a partire dall’affidabilità intellettuale e morale delle procedure utilizzate per elaborarle. La postura dottrinale assunta da Benedetto XVI verso il mondo moderno è riassumibile nel lungo scontro col famoso ‘relativismo’ secondo cui ogni verità è vera in relazione al soggetto che la sostiene e al contesto storico che la produce: nessuna verità pertanto può sottrarsi alle leggi del tempo e della soggettività e avanzare la pretesa di proporsi come eterna e immutabile. Ratzinger ha fronteggiato il lungo processo che attraverso illuminismo, rivoluzione francese, marxismo e liberalismo ha affrancato l’uomo da Dio e dalla sua legge e deciso che l’intelligenza umana basta a se stessa ed è in grado di farci camminare esclusivamente sulle nostre gambe e ciecamente fidare delle nostre teste. Ipocrita negarlo: tutti, chi più chi meno, siamo partecipi di questa convinzione per il solo fatto di essere figli di questa storia.
Tant’è che largo successo riscuote il minimalismo di Bergoglio, primo papa della storia che osa chiedersi “ Chi sono io per giudicare?” mentre intimidisce l’intransigenza di Ratzinger che vincola la Chiesa a un ruolo moralmente giudicante in quanto depositaria e custode di un tipo di verità ultraterrena non trattabile né addomesticabile a nostro comodo.
Quale Chiesa stia vincendo e quale sia avviata a inesorabile declino appare, almeno al momento, abbastanza palese. Siamo dunque destinati, come Ratzinger sosteneva e temeva, a subire una crescente ‘dittatura della tolleranza’? Anche in questo caso l’espressione ha una cifra laica, oltre che dottrinale, che non dovrebbe scivolare come acqua fresca sulle nostre coscienze specie in presenza di diffuse forme di abdicazione da responsabilità istituzionali, sociali, familiari ed educative ipocritamente fatte passare per pratiche di tolleranza.
Ratzinger ci ha ricordato quanto sottile, diabolicamente sottile, sia la linea che separa la tolleranza virtuosamente costruttiva di libertà e pace dalla pilatesca viltà che accondiscende a ogni andazzo pur di sottrarsi alla fatica e al rischio di assumere impopolari posizioni giudicanti. Facile e quasi scontato è sostenere che la via della pace è lastricata di tolleranza. Ben altro coraggio ci vuole per sostenere che di tolleranza è lastricata anche la via della dittatura. Dittatura della prepotenza e della menzogna. Il Papa che ci ha appena lasciati questo coraggio l’ha avuto. E tanto basti per farne amare la forza e rimpiangere la presenza.
vittorianozanolli.it
commenti
Giuseppe Zagheni
8 gennaio 2023 10:00
Ho lezione attenzione il suo editoriale e devo dire che non mi aspettavo niente di diverso. Del resto lei è una sostenitrice del moderatismo che con la sua compiacenza se non complicità, ha contribuito a creare questa società . Trovo nel suo scritto una reminiscenze nostalgica della chiesa pre conciliare. Ed è proprio questo che cercano di fare le frange ( sedicenti moderate ma in realtà di estrema dx ) che contrappongono a papa Francesco. E mi pare che tutto questo non abbia niente a che fare con la teologia ma molto con il potere.
Sante Maletta
8 gennaio 2023 17:48
Grazie per la riflessione che provoca a meditazioni profonde che nulla hanno a che fare con la politica italiana