Richelieu, la Rivoluzione francese e le bollette della luce
Gli Archivi Nazionali di Francia sono tra i più grandi e prestigiosi al mondo: oltre alla splendida sede dell’Hotel de Soubise nel centro di Parigi, che ospita anche la superba École nationale de chartes dove si formano eccezionali archivisti, occupano ben altre due enormi sedi periferiche modernissime.
Benchè custodiscano anche storie antichissime, la loro origine è rivoluzionaria, nel senso che fu proprio il Direttorio, organo supremo di governo della Francia durante la Rivoluzione, a volerne la fondazione ufficiale e centralizzata, poi ampliata da Napoleone durante l’Impero. E la Francia è forse la nazione che più di tutte ha inciso sulla storia politica dell’Europa dopo la caduta di Roma, fin dall’alto Medioevo con i regni di Clodoveo (il primo della Stirpe di San Luigi, Clovis da cui Louis, nome di gran parte dei sovrani francesi) e del gigantesco Carlo Magno.
L’Europa moderna è figlia di quel lungo periodo che va dal 1624, anno della nomina a Primo Ministro di Armand Jean du Plessis, Cardinale di Richelieu, fino al 1815, anno in cui la deposizione finale di Napoleone e i trattati di Parigi tentano di riportare gli orologi della storia indietro di un’epoca.
In questi duecento anni, all’interno dei quali non a caso trova posto il Grand Siècle, ossia il massimo splendore con il lungo dominio del Re Sole, prima la Francia assolutista e poi la Rivoluzione hanno dato all’Europa un impianto indelebile.
Richelieu, che tanto è stato vilipeso e svilito dalla storiografia romantica e soprattutto dalle penne rivoluzionarie dei Dumas, fu il grande architetto di quella Superpuissance che la Francia divenne solo con Luigi XIV, ed anche dello stato moderno il cui modello ancora oggi è mutuato da tutte le nazioni europee: l’identità linguistica affidata alle accademie e alle biblioteche, il primato della diplomazia sulla forza e della strategia politica sulle pretese ideologiche o religiose, furono certamente il suo più grande contributo. Di fatto, l’Unione Europea di oggi è un appesantito e logoro impianto statale richelieuano.
Per governare la Francia occorreva consegnarla nelle mani del Re strappandola dagli artigli delle aristocrazie feudali, e il sistema immaginato da Richelieu, affinato da Mazzarino e realizzato dal Re Sole fu Versailles, una sorta di mondo fuori dal mondo, in cui tutto ruotava attorno al Sovrano che affogava nel lusso e nei piaceri i fervori feudali dei suoi nobili, tenendoli al contempo lontani dalle loro terre e costantemente sotto controllo.
“Qui n’a pas vècu dans les annèes voisines de 1780, il ne sait pas ce qu’est la douceure du vivre” diceva il Principe di Talleyrand… Chi non ha vissuto gli anni prima della Rivoluzione, non può capire cosa sia la dolcezza del vivere. Poche frasi come questa rendono l’idea del livello di sfarzo, lusso, eleganza, raffinatezza, libertinaggio e vizio raggiunto a Versailles sotto i regni di Luigi XV e Luigi XVI, con una pletora di cicisbei e damine che rifiutavano di pagare le tasse per diritto di nascita e tuttavia si facevano mantenere nell’isolamento dorato di Versailles grazie a un debito pubblico che cresceva in maniera spaventosa: lo strumento di controllo della nobiltà che aveva consentito a Luigi XIV di fare della Francia la padrona d’Europa, divenne il cappio con cui la Monarchia finì impiccata, o meglio ghigliottinata.
Quella lussuosa raffinatezza che li circondava, avvelenò come l’oppio la lucidità di una classe dirigente parassitaria, mantenuta e attaccata senza alcun pudore ai propri privilegi, al punto di non accorgersi che il malcontento e le insostenibili gabelle avevano trasformato il popolo in una bomba ad orologeria: dopo che Jean Bailly il 20 giugno del 1789 affermò davanti all’adunanza dei borghesi che “la Nazione unita non riceve ordini da nessuno” in pochi giorni crollarono secoli di feudalesimo, diritti divini, dominio aristocratico e privilegi ormai vergognosi e ingiustificabili. Il resto è storia ben nota, e come scriveva Céline, “l’Europa atterrita cercava un maschio e lo trovò in Napoleone”. Il Generale Bonaparte fu lo straordinario vettore capace di portare la Rivoluzione fuori dalla Francia in tutta Europa, cavandola dal fetore delle teste ghigliottinate del Terrore e aprendo le carriere più inimmaginabili agli ultimi dei borghesi: fece diventare Marescialli di Francia e poi Re d’Europa i figli dei panettieri e dei lattai che lo avevano seguito nelle sue battaglie, e da allora veramente tutto fu possibile e niente fu più come prima, tanto che il tentativo di riportare indietro l’orologio della Storia con il Congresso di Vienna durò poco più di trent’anni.
La Rivoluzione francese fu l’inizio di una serie infinita di esplosioni a catena che per cento anni e più incendiarono l’Europa cambiandone definitivamente gli assetti di potere che duravano da secoli. E proprio i privilegi delle classi dominanti e le ingiustificabili gabelle imposte al popolo furono le micce di quelle esplosioni.
In questi giorni di folli e incomprensibili aumenti di tasse sui carburanti e sulle utenze vitali, di multe stradali diventate tasse di circolazione e sistemi di coercizione dei diritti e dei tributi contro cui non c’è diritto del singolo ma in cui l’inefficienza prospera come una sordida muffa, mi domando se siamo poi davvero trattati diversamente da quel popolo che improvvisamente esplose in modo inimmaginabile. E se buona parte della nostra classe dirigente non si è forse dimostrata simile a quei cicisbei resi avidi e ciechi dai loro privilegi immeritati.
“La Nazione unita non riceve ordini da nessuno”: è una frase che riletta mi risuona continuamente come un tormentone. Chissà se vale ancora, in questa epoca in cui le Nazioni si stanno diluendo nella melassa della realtà virtuale e in cui la democrazia si sta diluendo nell’oligarchia parlamentare, o se entriamo in una nuova era in cui tutto quello che ho raccontato prima è solo un racconto custodito in archivi sconfinati. E’ in quell’ “unita” che tutto si gioca, e se la storia ha un senso è quello di aiutarci a non ripetere gli errori.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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