22 agosto 2021

Ricordo di Rita Barbisotti: chi sa davvero non ha bisogno di cattedre amare

Non c’è retorica del compianto nel ricordo di Rita Barbisotti, sempre vivo, che mi sento di condividere in queste righe con quanti avranno pazienza di leggerle.

Di lei si è scritto in questi giorni, giustamente ricordando carriera e svariati fronti di impegno, e ancora si scriverà – almeno così mi auguro. In chi l’ha conosciuta restano senza dubbio immagini e momenti che, infine, saranno radice salda di memoria. Al di là di ogni etichetta e dell’ordinata linea del racconto che intesse un curriculum di vita.

La rivedo così, come negli anni ’90 la incontrai, invitata a cimentarmi dopo la laurea in un primo contributo da pubblicare per la Società storica cremonese: il guardare diretto, il parlare serio e disincantato. Una acutezza di sguardo senza pari, talvolta interpretata frettolosamente come alterigia e invece, esattamente al contrario, animata da quell’umiltà che permette di rivolgersi a un neofita negli stessi termini in cui lo si farebbe con un luminare.

Chi davvero sa non ha bisogno di cattedre amare: ecco l’immagine che tengo cara, dipanata in tanti momenti di scambio, in incontri pubblici e privati. Perché Rita creava e animava gruppi di discussione che portavano avanti la ricerca e in cui i giovani potevano, se volevano, imparare moltissimo – a partire da quelle piccole cose che sorreggono i grandi edifici, come correggere bozze e cercare i giusti sinonimi.

Il suo unico criterio selettivo era che si dialogasse in modo intelligente, nel segno di una curiosità costruttiva. Diversamente, si defilava. Ma non va taciuto che la sua voce brillante e dotata è anche stata messa da parte quando ritenuta scomoda, quando altre direzioni sono state anteposte alla serietà della ricerca. Dopo la sua uscita, in punta di piedi sebbene in gran parte indotta, dal «Bollettino storico cremonese», la città ha lentamente perduto questo strumento che proprio Rita aveva contribuito attivamente a portare a livelli autorevoli nel panorama nazionale delle pubblicazioni scientifiche. È accaduto in un orizzonte culturale che, come ormai molti altri (ma mal comune resta mal comune), si chiude in se stesso mentre proclama aperture al mondo e al futuro – retorica, questa sì, preconfezionata e a quanto pare altamente digeribile.

Ma Rita non ha avuto tempo da spendere in rancori. Ha continuato a intessere dialoghi vivaci, allineando ogni giorno nelle sue librerie i volumi consultati e annotati. Gesti che restano, densi di significato, nel vivo della linfa culturale che sorregge la città e che non sfavilla lungo le più o meno sgualcite passerelle della ribalta cremonese. Custode di competenze che sono ormai pressoché perdute, mi pare quasi di vederla dedicare un sorriso al tempo stesso ironico e accorato alla battigia attualmente ingombra di naufragi nella formazione umanistica. Così prendo appunti e cammino.

medievista, Dipartimento di Musicologia e Beni culturali dell’Università di Pavia – sede di Cremona

Adelaide Ricci


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commenti


Michele de Crecchio

22 agosto 2021 21:47

La ricordo anche come degna sostituta del precedente direttore Daccò!

Anna L. Maramotti

24 agosto 2021 06:58

Ringrazio per la testimonianza che condivido pienamente. Da parte mia un grande grazie a Rita per quanto mi ha insegnato; soprattutto per l'approccio alla cultura. Serietà in Lei si declinava con grande umiltà.