2 maggio 2025

Rimediare a una ingiustizia piccola ma significativa. Quali sono stati i giocatori più grandi del mondo? E Puskàs?

Nel mondo ci sono certo ingiustizie peggiori e più dolorose, a volte tremende. Solo la memoria le può sanare, il giusto ricordo. Ma cominciamo da questa, assai piccola e marginale sul piano storico. La qualità della vita, però, è fatta soprattutto di piccoli gesti. Propongo di farne uno, partendo non dalle chiacchiere vuote, o dagli slogan, ma da dati di fatto assai modesti, però concreti, verificabili da tutti.

Quali sono stati i quattro giocatori di calcio più grandi del mondo? Tre sono certi, sempre citati e messi a confronto tra di loro: Pelè, Maradona, Messi. Alcuni fanno il nome anche di Cristiano Ronaldo, ma, pur grande, non è all’altezza dei primi tre, pur sovrastandoli in statura. Il primo perché ha realizzato reti inimmaginabili prima di lui, e unico calciatore ad aver vinto tre Campionati del Mondo (1958-1962-1970). Maradona perché, si dice, ha fatto vincere squadre come la Nazionale argentina, in un Mondiale (1986) e il Napoli in un campionato italiano (1987), che senza la sua presenza non avrebbero mai conquistato. Messi in quanto, come disse un grande mister, in campo realizza cose, che gli altri giocatori neanche osano pensare. 

Quale manca, per completare il quadrifoglio? Io sono certo della sua identità, numeri alla mano. Un calciatore che nessuno cita mai. Cancellato, mai esistito. Troppi (giornalisti sportivi e non) purtroppo rincorrono le notizie che fanno notizia, citano ciò che piace ad un popolo di tifosi centrato sui propri idoli che non vuole sentire altro, privi di un ampio sguardo storico. Oppure in diretta dicono cose assurde pur di difendere la propria squadra, come un’osservazione che mi è rimasta impressa per la sua “originalità” e creatività linguistica: “Certo, la palla era fuori, ma non fuorissimo!”. Eppure le cifre che si possono esibire a suo riguardo impressionano, spesso superiori a quelle riguardanti gli altri tre super-campioni. Un numero 10 che è stato privato del titolo di Campione del Mondo a causa di un vero e proprio “intrigo internazionale”, falsando la competizione del 1954.

Cominciamo a delinearne il mito, citando un episodio. Con un amico giornalista si trovò – ormai a 50 anni– a passare accanto ad un campetto di calcio dove dei ragazzi giocavano. Il suo amico propose a quei giovani una sfida: chi colpiva più pali calciando dall’area di rigore. A partecipare sarebbe stato il suo amico con pochi capelli e una bella pancetta. Il gruppetto si mise a ridere e mal gliene incolse: quel “vecchietto” ne centrò 18 con 20 tiri. 

Le cifre che lo riguardano, a cominciare da quelle concernenti il rapporto tra partite giocate e reti realizzate, prendendo come riferimento quelle della nazionale del proprio paese, sono abbastanza sbalorditive:  

  • 85 presenze nella Nazionale, con 84 reti. Pelè vanta 92 presenze con 77 gol, Maradona 91 con 34 realizzazioni, Messi 191 presenze con 112 realizzazioni, Ronaldo 219 con 136 reti.
  • Con la sua squadra in Ungheria, l’Honvéd, disputò 350 partite realizzando 358 gol. Più di un gol a partita! In Spagna, dopo la sua fuga dall’Ungheria invasa dai carrarmati sovietici, col Real Madrid fu presente in 180 partite con 158 gol, pur essendo già in età matura per un giocatore (giocò fino a 39 anni). 

Per chi non l’avesse già capito sto parlando di Ferenc Puskàs (1927- 2006), interno di punta della Nazionale ungherese (la squadra d’oro: Aranycsapat) e successivamente del Real Madrid dopo il suo trasferimento in Spagna. Alcuni altri numeri che lo riguardano:

  • Rapporto partite giocate e gol realizzati in partite ufficiali: 720 incontri con 705 reti (media di 0,98 gol per partita), nettamente superiore sia a Pelè (tra squadre di club e Nazionale ha disputato 816 incontri ufficiali segnando 757 reti, con una media di 0,93 gol a partita), sia a Maradona (695 incontri ufficiali con 353 reti alla media 0.51 gol a partita), che a Messi che ha segnato 882 gol in 1144 partite, con una media di 0,77 reti per incontro. Per Cristiano Ronaldo le statistiche parlano di 1309 partite ufficiali con “solo” 951 reti realizzate.

Dopo una sosta di due anni per le vicende politiche legate all’invasione dell’Ungheria del 1956, era andato nettamente sovrappeso a causa dell’assenza dai campi di calcio e solo nel 1958 venne “acquistato” dal Real Madrid, che lo costrinse ad un duro lavoro di snellimento di sei mesi per perdere 20 kg. Qui giocò dal 1958 al 1966 vincendo 5 volte la Liga e quattro volte la classifica dei cannonieri, conquistando anche per 3 volte la Coppa dei Campioni, l’ultima a 39 anni.

Fu protagonista di momenti memorabili del calcio, che qui conviene richiamare, perché degni di un film. Per decenni la squadra più forte del mondo fu l’Inghilterra, la nazionale del paese che aveva “inventato” il calcio esportandolo poi in tutto il pianeta. Questa nazionale, con un poco, ma sarebbe meglio dire con tanto di presunzione, non partecipò dall’alto della sua superiorità ai Campionati del mondo anteguerra, che videro l’affermazione prima dell’Uruguay nel 1930, e in seguito della Nazionale italiana nel 1934 e 1938: quella di Meazza e Piola, gli indimenticabili.

Tanto per dare delle cifre che si imprimono nella memoria: la Nazionale inglese sconfisse con cifre quasi tennistiche (0-4) quella italiana all’epoca del grande Torino, nel 1948 a Torino: eppure in quella squadra erano presenti Mazzola, Gabetto, Loik e in porta Bacicalupo. Ebbene, quando l’Inghilterra incontrò qualche anno più tardi la squadra di Puskàs, in due incontri memorabili, si prese 13 reti: Inghilterra-Ungheria a Wembley il 25 novembre 1953: 3-6. Quasi un lutto nazionale per gli Inglesi, sconfitti per la prima volta in casa nella loro storia calcistica. Partita denominata la “partita del secolo”, prima di quella favolosa di Città del Messico del 4-3 tra Italia e Germania. Nel maggio seguente la rivincita a Budapest terminò con fantastico 7-1 per i magiari. 

Dobbiamo però ricordare che tali travolgenti partite erano dovute solo in parte ai grandi campioni che la componevano: oltre a Puskàs, Hidegkuti, Kocsic, Csibor, tanto per citarne qualcuno, ma anche per il rivoluzionario metodo di gioco. Allora in tutto il mondo era stato adottato il “sistema”: MW. Davanti al portiere, tre difensori, a centro campo due mediani e due mezze ali, tre punte in attacco: ala destra, centravanti, ala sinistra. Gli ungheresi, con l’allenatore Gusztav Sebes, adottarono un modulo rivoluzionario per quei tempi: invece di lunghi lanci e pedalare, passaggi molteplici e veloci, centravanti arretrato come le due ali, e libero di spostarsi per il campo, rifornendo le due formidabili punte, Puskàs e Kocsic, che si trovavano davanti ampi spazi. Quest’ultimo attaccante è tuttora l’unico calciatore (come il grande Just Fontaine, autore di 13 reti nel 1958 in 6 partite) che in un Campionato del mondo, giocando 5 partite, ha realizzato una media di 2,2 reti per incontro. Ma lo stesso Hidegkuti, il regista lasciato libero, diventava un formidabile realizzatore. 

Scrive Gianni Mura: “Puskàs non aveva l’handicap di una gamba più corta (come il brasiliano Garrincha, ndr), ma di una pancetta destinata a crescere negli anni. Mangiava e beveva come un minatore o un metalmeccanico, fidandosi della potenza e precisione del suo tiro… Era il Rombo di tuono dei suoi tempi e se i tifosi del Real lo chiamavano “Canoncito Pum” un motivo c’era. E in campo c’era un Puskàs in fase calante”.

Nel 1954 si era alla vigilia dei Campionati del Mondo in Svizzera, nel quale il risultato finale era dato per scontato. E qui nasce il giallo, poi il dramma, dentro il quale troviamo il calcio stravolto da calcoli politici, prima, e poi dai carrarmati dell’URSS, per cui fu coniata la definizione di “squadra spezzata” (Luigi Bolognini, La squadra spezzata. La Grande Ungheria di Puskàs e la rivoluzione ungherese del 1956, 66thand2nd, 2016, con una Prefazione di Gianni Mura e una Postfazione di Roberto Beccantini). 

Come mai, pochi mesi dopo tanti trionfi – l’Ungheria era stata anche Campione Olimpico nel 1952 – la “squadra d’oro”, grande favorita, non vinse il Campionato del Mondo? Qui la spiegazione è tutta legata alle tensioni internazionali tra Mondo Occidentale e Blocco comunista. Un campionato stravolto dalla Guerra Fredda. L’Ungheria era un paese comunista dell’est, non “doveva” vincere. La Germania Ovest era inserita nell’orizzonte politico occidentale e per farla sentire protagonista dopo il disastro della sconfitta e i crimini nazisti, “doveva” conquistare il titolo. Scrive ancora Gianni Mura, a tal proposito, di “bufali tedeschi chimicamente trattati” (metanfetamina). E riporta anche altre voci “Sono gli arbitri capitalisti che ce l’hanno fatta pagare. O un congruo numero di trattori agricoli pre-offerti dal governo tedesco”. L’agricoltura ungherese aveva bisogno di mezzi produttivi!

Dopo un inizio travolgente per l’Ungheria (nelle prime due partite eliminatorie andò a segno 17 volte: 9-0 Corea del Sud, 8-3 contro la Germania Ovest, che schierava molte riserve), capitarono una serie di questioni che sollevarono più di un sospetto. Casualmente, Puskàs venne azzoppato da un giocatore tedesco, Liebrich, nell’incontro delle eliminatorie. Rimarrà assente dal torneo fino alla finale, dove venne inserito quasi a forza, suscitando aspre polemiche. Giocò solo tre gare, segnando 4 reti.  Casualmente, la squadra magiara nei quarti e nelle semifinali si trovò ad affrontare le due squadre più quotate: il Brasile, desideroso di vendicare la sconfitta al Maracanà nel 1950, e l’Uruguay, campione del mondo in carica, che aveva fatto l’impresa grazie a Schiaffino e Ghiggia. La partita col Brasile divenne una vera e propria battaglia in campo. Così quella con l’Uruguay, terminata ai tempi supplementari. Entrambe finirono 4-2 per l’Ungheria. Se Puskàs fosse stato presente in quegli incontri, forse le vittorie della sua squadra sarebbero state meno faticose!

Casualmente, nella finale giocata il 4 luglio a Berna, i calciatori tedeschi, in svantaggio per 2 a zero dopo pochi minuti, con reti di Puskàs al 7’ e di Csibor all’11’, dimostrarono nel pantano del campo una freschezza atletica straordinaria, segnando tre reti (il “miracolo di Berna”). Casualmente, un gol del pareggio di Puskas all’86’, pur entrato in campo zoppicante, venne annullato, dopo essere stato convalidato dall’arbitro, per intervento del guardalinee. Casualmente, il pubblico svizzero a fine partita applaudì i magiari e non i tedeschi.

Casualmente, numerosi giocatori tedeschi della finale (tra cui il capitano Fritz Walter, Ottmar Walter, Morlock, Rahn, l’eroe della partita autore di due reti), furono colpiti da itterizia e rimasero lontano dai campi da gioco per un lungo periodo). Sospetto anche il ritrovamento di fiale di una sostanza dopante - usata dai nazisti durante la II Guerra Mondiale - negli scarichi dei bagni dell’albergo dove erano ospitati. Scrisse alcuni anni fa “Il Sole 24 ore”, commentando recentissimi studi dell’Università di Berlino del 2013, sull’uso sistematico di doping dei giocatori tedeschi dal 1950 al ’70: “il giorno successivo alla finale i campioni del mondo festeggiarono con un ricovero ospedaliero per problemi di fegato. Per la prima volta l’ombra dell’abuso di farmaci allungava sul mondiale la sua triste mano”. D’altra parte sappiamo bene quanto doping fu usato dalla DDR in molti sport per decenni, tra cui l’atletica leggera, per propagandare le superiori capacità dei paesi socialisti rispetto al resto del mondo. Il tutto emerse con chiarezza dopo la caduta del Muro di Berlino (1989).

Nella seconda parte del 1954 e per tutto il 1955 la “Squadra d’oro” continuò la sua marcia trionfale: nel settembre ’54 con la Romania 5-1, nell’ottobre con la Svizzera, quella che aveva eliminato l’Italia ai Mondiali, 3-0. Nel maggio ’55, 5-0 con la Norvegia, 7-3 con la Svezia, 6-0 con la Danimarca, 9-1 con la Finlandia. Ne cito solo qualcuna.

Ma i venti della politica soffiarono contro l’Ungheria, in vicende che si svolsero dal 23 ottobre all’11 novembre 1956, in cui per una rivolta antisovietica morirono 2.700 ungheresi tra filo e antisovietici, e 720 soldati dell’URSS durante il loro intervento in territorio magiaro. Circa 250.000 ungheresi abbandonarono il loro paese per rifugiarsi in Occidente. Tutto ciò segnò la fine anche della “grande Ungheria” del calcio. Quella nazionale si dissolse e i più importanti giocatori si trasferirono nelle squadre europee, soprattutto in Spagna, nel Real e nel Barcellona. 

Puskàs, come detto, militò nel Real Madrid, contribuendone al mito, insieme al grandissimo argentino Alfredo di Stefano, che lo definì il migliore giocatore di tutti i tempi. Negli ultimi anni della sua vita ritornò in Ungheria, ricevendo un vitalizio dal governo ungherese per i suoi meriti sportivi. Nel 2002 il Népstadion è stato rinominato in suo onore Puskàs Ferenc Stadion. La giusta memoria va rispettata e onorata. Speriamo che si estenda a questioni e drammi ben più seri. Il mondo ne ha davvero bisogno. Come tutti noi, del resto.

 

 

Carmine Lazzarini


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