Salman Rushdie: la fatwa e la cancel culture
L'atroce accoltellamento di Salman Rushdie dopo una caccia durata più di trent'anni in cui ciascun musulmano era autorizzato a farsi carnefice, non ha suggerito una riflessione centrale, un collegamento evidente di cui si preferisce tacere.
Dalle università soprattutto e dai giornali, dai teatri, dalle mostre, dai dibattiti sono ormai sistematicamente bandite le opere e le posizioni giudicate dai nuovi censori non politicamente corrette dal punto di vista politico, religioso, sessuale, linguistico. Sono esclusi o messi in un angolo nelle librerie anche i capolavori di scrittori, drammaturghi e pittori scomparsi da centinaia di anni le cui opere sono passate al setaccio retrospettivamente in un infantile intento di giudicare il passato con i valori del presente e di trattare i lettori come se fossero dei bambini senza facoltà di giudizio.
Si cade sotto la mannaia della censura da Dante con il suo Maometto all'inferno, che assomiglia ai Versetti satanici dello scrittore “blasfemo”, a Shakespeare, classista, a Joseph Conrad, imperialista, sino ai fumetti di Tin Tin, razzisti.
Con questa sottocultura l'Occidente si autodemolisce, in un impeto di odio contro sé stesso poiché tra i suoi valori fondanti vi sono la libertà di espressione, la libertà di pensiero, la facoltà di critica. La cancel culture prefigura una società non lontana dal totalitarismo culturale e psicologico descritto da George Orwell nel suo capolavoro “1984”.
In Italia, dove per ragioni storiche la cultura è più scettica e le università non forniscono quasi più classi dirigenti e contano ben poco, il fenomeno stenta ad attecchire ma ve ne è stato un esempio nella ridicola genuflessione avvenuta con la copertura delle statue di epoca classica in occasione della visita a Roma del presidente iraniano.
Che tra i due fenomeni, il radicalismo ideologico e la nuova censura occidentale vi sia una stretta assonanza e quasi una parentela è indicato in modo singolare da un fatto. Dopo l'aggressione allo scrittore sono partite minacce contro J.K. Rowling, l'autrice delle storie di Harry Potter, colpevole di aver solidarizzato con lui. Proprio la Rowling che in Occidente molti vogliono condannare all'esilio sociale perché “omotransofoba” avendo dichiarato, giusto o sbagliato che sia, non è questo il punto, che una donna non è un uomo e viceversa.
Ma il paradosso è appunto solo apparente. Quello che unisce alla fine i settari religiosi e i settari della cancel culture è l'odio per la libertà di parola e la libertà di coscienza. I fondamentalismi, anche se apparentemente opposti vanno, come si sa, spesso a braccetto.
In Italia il tentativo di sgozzare Rushdie, che tra l'altro nel 2020 aveva firmato un manifesto sui pericoli della cancel culture, non ha suscitato molte reazioni. Per molti probabilmente se l'è cercata, come i giornalisti di Charlie Hebdò. Nessuno ha protestato, nessuno ha manifestato sotto i consolati iraniani. C'era da aspettarselo, non è poi una causa tanto “giusta” per i progressisti nè popolare per i populisti.
In quel caso quello che muoveva era l'odio verso la scienza, quelle che non esisterebbe senza libertà di espressione e di ricerca, quella che si vorrebbe sostituire con complotti e credenze. E’ anche questo in fondo un richiamo distanza tra quei due mondi che detestano la libertà. Infatti nei paesi teocratici la scienza, come la cultura, è negletta, a meno che serva per scopi militari. Meglio ripetere versetti, cioè credenze, a memoria.
Lo scrittore Javier Cercas ha detto che “difendere Salman Rushdie significa difendere noi stessi, il suo caso ci riguarda tutti, non solo gli scrittori”. Non sembra che molti l'abbiamo capito
Oggi a Milano è una bella giornata, la città è quasi vuota, sotto il consolato iraniano non c'è nessuno, nemmeno con un cartello. Solo un paio di soldati un po' annoiati.
Tanti auguri Rushdie.
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