Sanità, Cremona e Crema ognuno per sè. E il cremasco rischia grosso
La nostra provincia viaggia a due velocità, soprattutto sul fronte sanitario.
Cremona non è una gazzella, ma nei momenti di necessità corre, consapevole che in caso contrario soccomberebbe.
Crema si crede ghepardo, ma si comporta da bradipo.Traccheggia. Cammina. Tuttalpiù trotterella.
Cremona, aristocratica in disarmo e con qualche pezza sul culo, rimane però nobile nel tratto e nelle relazioni. Usa buone maniere e atteggiamenti consoni al rango. Gentile, ammicca ai critici. A parole, concorda con l’interlocutore ostile. Al momento del commiato, lo saluta con il sorriso. Girato l’angolo, dimentica bon ton e promesse e si fa gli affari propri, in sintonia con il principio reso celebre dall’ex parlamentare abruzzese Antonio Razzi.
Crema, ruspante e un po’ rozza, gonfia il petto. Mostra i muscoli. Alza la voce. S’illude di vincere, ma troppe volte prende sonore legnate, concetto che la plebe illustra con un’efficace metafora sessuale e lessico di infimo lignaggio.
Cremona punta al sodo, con pazienza, passi felpati e scarsi proclami. Non convoca molte assemblee di pubblici amministratori. Anzi, ne convoca poche, ma nei momenti topici è compatta, falange macedone. Non è autarchica, è solidale. Ma pro domo sua, metodo che non sempre le riesce con Mantova.
Crema, un po’ grafomane e logorroica, predilige comunicati e ordini del giorno. Va fiera di un consesso che riunisce i sindaci della Repubblica del Tortello. È l’Area omogenea che è tale di nome, non di fatto.
Istituito per progettare il futuro, l’organismo vive nel passato. Nato per diventare lo squadrone che tremare il mondo fa, non procura neppure solletico.
Concepita come gruppo di Avengers, l’Area Omogenea è simile a un’associazione di reduci e relative badanti, ma senza disporre della piscina miracolosa e rigenerante di Cocoon, nella quale immergersi e uscire tonici ed energici come atleti olimpici.
Facile agli entusiasmi, se in Regione vengono approvati i suoi proclami e felice, se qualche anima pia risponde alle missive, lo squadrone non protesta con incisività se Milano respinge le richieste concrete che lui stesso ha inoltrato.
Per accontentarla basta un buffetto. L’Area Omogenea guarda il dito e non la luna. Coerente con la repubblica d’appartenenza, spesso si comporta da tortello, modo di dire, slang che non significa da coglione, ma da sempliciotto. Da bonaccione. Ma in politica le anime candide sono perdenti e già ai tempi di Carosello una pubblicità di biscotti avvertiva: tempi duri per i troppo buoni.
Cremona ha ottenuto un ospedale nuovo, Crema la mancia. Cremona siede alla mensa del ricco epulone, anche se in posizione defilata. Mantova è più vicina al padrone di casa.
Crema è Lazzaro che raccoglie le briciole. L’Area Omogenea ha chiesto la riconversione dell’ex tribunale in una struttura per impieghi sanitari. La Regione non s’è filata la proposta. Neanche di striscio.
Gianni Rossoni, sindaco di Offanengo, presidente del Consiglio delle autonomie locali (Cal), politico di lungo corso, esperto di segreterie di partito e un master sui meccanismi dei palazzi milanesi, ha ammonito i colleghi della possibile fregatura che può rifilare al Cremasco, la riorganizzazione in atto della sanità lombarda.
Rossoni ha lanciato il grido d’allarme martedì, 3 agosto, durante l’assemblea dell’Area Omogenea, convocata per discutere sulla revisione della legge regionale 23/2015. Revisione presentata il 22 luglio da Letizia Moratti, vicepresidente della Lombardia.
Con un linguaggio mai esplicito, ma abbastanza intellegibile per essere compreso, Rossoni ha consigliato il Cremasco di svegliarsi, altrimenti sarà fottuto. Non è l’espressione letterale da lui impiegata, ma sintetizza alla perfezione la preoccupazione che ha spinto il bucaniere della politica locale ad allertare i sindaci vicini di casa. Defcon 2, ha fatto intuire il generale di Offanengo. A un passo dalla catastrofe.
In separata sede Rossoni ha precisato che a Milano non si trovano santi protettori per la Repubblica del Tortello. Parlare con la vicepresidente diventa la priorità assoluta. Per salvare le chiappe non bastano le mail. Per farsi ascoltare è necessario modificare strategia e impiegare mezzi più convincenti, ma non ha specificato quali.
Nel corso della stessa riunione, il consigliere regionale piddino Matteo Piloni è andato oltre. In maniera diretta e provocatoria e con ammirevole coraggio, prima ha chiesto: cosa stiamo a fare con Cremona? E poi ha proposto: andiamo con Lodi e Melegnano.
Poche ore dopo ha scritto «È così difficile immaginare una Ats unica tra questi territori a cui attribuire le funzioni di programmazione e prevenzione?» (Cremonasera, 4 agosto).
Il carico da undici lo ha calato la Comunità socialista cremasca con un documento firmato da Virginio Venturelli e Alberto Gigliotti. «Se le ATS esistenti – sostengono i due socialisti - rivelatesi degli uffici decentrati tutt’altro che indispensabili, non verranno abolite, per il Cremasco irrinunciabili dovrebbero essere gli obiettivi dello spostamento della sede, oggi a Mantova, in luoghi più baricentrici della nostra Agenzia di Tutela della Salute, nonché quello della ridefinizione dei confini della nostra ASST» (Cremonasera, 6 agosto).
È solo l’aperitivo. Si potrebbe continuare con il numero dei distretti, uno ogni 100 mila abitanti. Il Cremasco si ferma a 160 mila.
Se Crema e Rivolta sono sede sicure di distretto, dove verrà ubicato il terzo, se la Regione lo concede? Al di là del luogo, dovranno essere richiesti rinforzi oltre i confini della Repubblica del tortello. E via di questo passo.
Milano vuole chiudere in fretta. Il tempo è limitato. I sindaci dell’Area Omogenea si ritroveranno a settembre per esporre le loro osservazioni sulla proposta Moratti, la quale probabilmente sarà già ai titoli di coda del film o agli ultimi fotogrammi.
Ancora una volta torna buono il vecchio adagio, campa cavallo che l’erba cresce e l’Area Omogena non si smentisce. Arranca.
Prima di chiudere sia concessa una domanda: perché non concordare una strategia comune tra Cremona e Crema? Due piccole entità contano poco. Anche insieme non farebbero la rivoluzione. È però innegabile che unite peserebbero qualcosa di più di poco, forse quel tanto sufficiente per evitare a Mantova di comandare nella sanità (e non solo) anche in provincia di Cremona.
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