Servire o servirsi di Dio o degli altri?
Che zucconi sono questi due fratelli, Giacomo e Giovanni, soprannominati “figli del tuono” per il loro carattere impetuoso e irruente, tra i primi a seguire il Maestro di Nazareth nella sua strana pellegrinazione verso Gerusalemme, spesso chiamati a vivere esperienze privilegiate con Gesù.
Zucconi perché, subito dopo aver sentito Cristo annunciare, per la terza volta, la sua morte - che comprende anche il dileggio e la tortura - non trovano di meglio che chiedergli i posti d’onore accanto a lui! Egli parla di umiliazione e loro di gloria, egli profetizza dolore e sofferenza e loro fantasticano seggi privilegiati! Non hanno capito nulla di Gesù: le sue parole, i suoi gesti, la sua umanità, il suo stile di approccio alle persone e alla realtà non hanno minimamente intaccato il loro cuore e la loro mente. Essi restano avvinghiati ai loro pregiudizi e, come spesso accade a noi, si approcciano alla Rivelazione di Dio non con stupore e ammirazione, ma condizionati dalla loro mentalità, dalle loro aspirazioni, dai loro desideri. Quante volte facciamo dire al Sacra Scrittura quello che pensiamo noi o che ci piace di più?
Da una parte è bello che i Vangeli non nascondano questi episodi poco edificanti che hanno protagonisti i discepoli: ciò significa che non si tratta di fogli di propaganda dove sono descritti sempre e solo comportamenti lineari e cristallini, ma vere e proprie “storie di vita concreta” nelle quali si incontrano la libertà di Dio e quella dell’uomo, la pazienza e la fragilità, la fedeltà e l’incredulità, la misericordia e la malvagità, la grazia e il peccato.
Ed è confortate constatare la fatica di questi uomini nell’adeguare il loro modo di pensare a quello di Dio: la fede non è mai un dato per scontato, ma è un processo dinamico in divenire, una strada sempre nuova, un orizzonte sempre da esplorare. Quando pensi di essere arrivato ecco che un altro scenario si apre, un’altra sfida ti è posta innanzi. La fede cristiana è incontro con una persona, relazione, dialogo: va continuamente ripreso, rimotivato, riannodato, scoperto. L’Altro va accolto per quello che è, non per quello che desideriamo o pensiamo noi.
Giacomo e Giovanni invece di servire Gesù si servono di Lui per ottenere ciò che ogni uomo ambisce nel profondo della sua anima: l’affermazione di sé, il potere, la considerazione umana!
Non scandalizziamoci troppo perché così accade anche a noi. Proviamo ancora una volta a pensare alla qualità del nostro quotidiano dialogo con Dio: la nostra preghiera non è quasi sempre inficiata dalla pretesa che Dio faccia quello che vogliamo noi? Invece di essere un modo per sintonizzarci con il modo di pensare e di agire di Dio trasformiamo la preghiera in una sorta di elenco di richieste precise e circostanziate. Quel “vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo” che Marco mette in bocca ai figli di Zebedeo è, in fondo, l’atteggiamento costante di noi cristiani. E se Dio non ci ascolta? Non è inconsueto che tanti si ribellino, sbattano la porta e se ne vadano perché il Signore ha avuto l’ardire di non seguire i “miei” ordini. Come se il Padre celeste non sapesse qual è il vero bene per me, quali i tempi e i modi per attuarlo! Dietrich Bonhoffer, grande teologo protestante morto martire nel campo di concentramento nazista di Flossenbürg, ha sapientemente affermato: “Dio non realizza tutti i nostri desideri, ma tutte le sue promesse”. E la promessa di Dio per l’uomo è la vita eterna, cioè la felicità piena e duratura già su questa terra: sì perché la vita eterna inizia già oggi, nel momento in cui ci fidiamo del Vangelo e lasciamo che l’umanità di Cristo plasmi la nostra umanità.
E quando uno è “pieno di vita” è contento di quello che ha, nessuna cosa, avvenimento o persona potrà rubargli quella felicità e quella pienezza che gli viene dall’incontro liberante con Gesù.
Ecco perché, di fronte alla sconsiderata richiesta di Giacomo e Giovanni, Cristo non può che offrire loro un posto accanto a lui sulla Croce: l’immagine del calice e del battesimo rimandano infatti ad un destino di sofferenza e morte. Nella logica di Dio, infatti, la gloria sta nell’abbassamento, nel servizio disinteressato e gratuito, nell’umiltà. L’uomo si realizza sul serio e trova la felicità piena solo quando si smarca dall’insano desiderio di predominio sugli altri, dall’accaparramento spasmodico di cose e denaro, dalla ricerca continua del proprio piacere: veri e propri idoli che non lasciano mai soddisfatti, ma che spingono sempre a conquistare qualche cosa in più!
Un secondo grave sbaglio Giacomo e Giovanni lo compiono nei confronti della loro comunità. Essi con questa scriteriata richiesta rivelano non solo di volersi servire di Dio per i loro progetti, ma anche delle persone con cui condividono la quotidianità. Desiderando un posto d’onore, preminente, essi si sentono superiori agli altri e percepiscono gli altri solo come meri strumenti, anonime pedine, per scalare le vette del potere, del successo, della realizzazione di sé.
Si percepisce subito quando un volontario, una persona che riveste un ruolo nella pubblica amministrazione o esercita una responsabilità di governo, svolge il proprio compito solo per rivendicare un potere, il predominio sugli altri, l’autorità o se, invece, lo fa per puro spirito di servizio, solo per la gioia di poter essere di aiuto agli altri, per agevolare e non complicare la vita della gente, per semplificare e non per complicare gli iter burocratici, per risolvere e non per ingarbugliare certi problemi, per esaltare e non per umiliare la dignità delle persone.
Gli altri discepoli non sono da me di Giacomo e Giovanni, la loro indignazione rivela che anche per loro il potere, la gloria, l’autoaffermazione personale sono mete vagheggiate: i dieci non solo poi così diversi dai due. Questi hanno avuto la sfacciataggine di uscire allo scoperto, il coraggio di esternare le proprie ambizioni. Gli altri sono rimasti in silenzio. Tutti hanno covato nel cuore l’illusione di poter essere felici da soli, senza Dio e senza i fratelli!
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti