27 agosto 2023

Si può vivere un Cristianesimo senza Cristo!

Cosa ci chiede l’esperienza cristiana? Di prendere una posizione chiara e netta di fronte a Gesù, figlio di Dio e figlio dell’uomo! L’adesione alla sua persona – non ha una idea, non ha una morale o un sistema filosofico – è davvero discriminante. Se c’è una domanda che attraversa tutto il Vangelo, ogni epoca storica, ciascun cuore pensoso è proprio questa: “Chi sono io per te?”. Cristo ci chiede di prendere una posizione, di bandire ogni neutralità: se c’è una cosa che ferisce tutti, forse anche Dio, è proprio l’indifferenza! Anche chi è avverso, chi è nemico in fondo prende sul serio Cristo, ne esamina accuratamente la proposta, poi la respinge, ma a quella domanda offre a suo modo una risposta! L’indifferente, invece, ritiene la questione di Dio inutile, ininfluente per la propria vita, non gli dà alcun valore: il Cielo non è degno di nota! Ferisce più l’indifferenza che il rifiuto!

Rileggendo il brano di Vangelo di questa ultima domenica di agosto, il quale segna un momento decisivo nel rapporto tra Gesù e i suoi apostoli, emerge sempre, dall’intimo del mio cuore, una domanda: “Vivo la mia fede per inerzia, per tradizione, per convenienza o cerco di rimotivarla, di rinvigorirla ogni giorno ritrovando le ragioni profonde della mia adesione a Cristo?”. 

Ogni giorno, in realtà, dovrei, con coraggio e sincerità, rispondere a questa domanda: “Chi è Gesù per me?”. Nella fede, così come nell’esperienza amorosa, non bisogna mai dare nulla per scontato. Il rischio di cadere vittime dell’abitudinarietà, del formalismo, dell’autoreferenzialità, del moralismo fine a sé stesso è altissimo! Si può vivere anche un Cristianesimo senza Cristo, che altro non è che una sorta di narcisismo spirituale col quale si ricerca solo consolazione, conforto, la pace per la propria coscienza, una quiete interiore, il traguardo definitivo di ogni cammino. Il rischio è quello di vivere un’ideologia e non una fede!

Ma il cristiano non può e non deve mai sentirsi un arrivato: Dio è sempre un passo avanti a lui e quando al credente sembra di averlo conquistato egli gli sfugge! D’altra parte se Dio fosse totalmente conoscibile, incasellabile dentro le nostre categorie umane, totalmente comprensibile all’umana ragione non sarebbe Dio, ma un idolo da manipolare a proprio piacimento. Dio è così tremendamente affascinante perché è nello stesso tempo così prossimo all’uomo ma anche fuggevole, comprensibile ma allo stesso tempo misterioso: è il Dio intriso di sangue e di fango appeso alla Croce, ma anche il Signore degli eserciti seduto sul trono di gloria.

Don Mazzolari sosteneva sapientemente che il cristiano “non è un uomo di pace, ma non in pace”! Una sana inquietudine deve sempre caratterizzare l’animo del discepolo: l’inquietudine che sorge dall’enorme distanza tra l’amore che Dio riserva costantemente all’uomo e la fragile risposta di quest’ultimo. C’è un amore che ci avvolge e che ci sovrasta e che noi non potremo mai comprendere e accogliere fino in fondo, se non nella luce del Paradiso. 

Chi sono io per te?” è dunque una domanda che diventa anche un salutare atto di purificazione di fronte ad una fede ridotta a feticcio che serve solo a tranquillizzare e assolvere!

E in base alla risposta che si dà a questa domanda la vita ne viene coinvolta e sconvolta! Perché se rispondo, come Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, allora la mia vita non potrà che essere rivoluzionata da questo incontro. Se Dio mi ha visitato e l’ho riconosciuto come tale, se il mio destino si è intrecciato con il suo, allora non potrò pensare, agire, relazionarmi come prima! La risposta – pena l’ipocrisia e la falsità – è un’esistenza che si lascia rapire dal trascendente e che vede nelle cose del mondo non più il fine ultimo, ma uno strumento per amare di più e meglio Dio e i fratelli, così come l’occasione per saggiare se la mia libertà è nel segno della responsabilità e di una progettualità più grande e più alta o è solo mero arbitrio.

Chi sono io per te?” è una domanda che deve attraversare tutte le stagioni della nostra esistenza. Come si diceva la fede non può essere mai un dato acquisito! Essa va coltivata costantemente, alimentata da un rapporto vitale con Dio nella preghiera quotidiana, nella frequentazione assidua della sua Parola e dei Sacramenti, nella testimonianza di tanti fratelli più avanti di noi nella sequela a Cristo, nello stupore di un amore che sempre ci precede e che è sempre foriero di novità belle e luminose. 

Ogni età dell’esistenza conserva delle sfide per la fede: anche ha ottanta o novant’anni, quando sembra che ormai tutto sia acquisito e conquistato, Dio chiede di prendere posizione, di ritrovare le ragioni della propria speranza. Infatti nel momento in cui uno si sente arrivato sta già perdendo terreno!

Beato è l’uomo che conserva sempre un cuore docile, pronto a mettersi in gioco, a non cullarsi nelle proprie certezze che a volte diventano barriere all’azione sempre inaspettata e nuova di Dio.

Forse dirò un’eresia ma anche i dubbi possono essere salutari trampolini di lancio verso una fede più sofferta e consapevole! Ho sempre avuto timore delle persone dalla fede granitica, incrollabile: dietro tale perfezione spesso si cela una intransigenza, una superbia e un’alterigia che creano giudizi e condanne, che fomentano distanze e divisioni! Chi, viceversa, si lascia interpellare – non vincere – dai dubbi possiede un cuore umile, sempre in ascolto, sempre in cammino, sempre pronto a comprendere la direzione di quel vento gagliardo che è lo Spirito Santo, l’unico capace di abbattere confini e tracciare strade sempre nuove, inedite.

 

Claudio Rasoli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Giuseppina Fieschi

27 agosto 2023 08:15

Riflessioni profonde, si dovrebbe leggerle tutti i giorni