1 aprile 2023

Storia delle BR: può la questione ecologica divenire la nuova questione operaia?

Negli scorsi editoriali sui Servizi Segreti ho sfiorato più volte il periodo del terrorismo politico che ha caratterizzato più di un decennio della nostra storia. Un periodo talmente lungo, drammatico, unico,  complesso e ancora vivido in molti che richiederebbe fiumi di editoriali per essere raccontato ed anche un conoscenza dei fatti che io decisamente non posseggo. Mi soccorre la professione di archivista, in ragione della quale sono portato a occuparmi dei fatti storici non tanto nelle loro più note quanto tragiche espressioni, ma più cercando tracce del momento e delle condizioni e dei retroscena in cui essi si generarono. Cercare in archivio significa di fatto raccogliere indizi, analizzare prove, ricostruire retroscena inediti o meno conosciuti, insomma diffidare della fama buona o cattiva che i fatti acquisiscono a posteriori per dedicarsi con un certo feticismo a particolari che riguardino il fatto nel momento del suo accadere primigenio e prima delle sue conseguenze più note.

Dico questo perché anche pensando alle Brigate Rosse in primis (ma in generale a tutto quell’eterogeneo vastissimo magma di organizzazioni estreme nere e rosse che fiorirono in Italia alla fine del boom economico) mi interessano molto di più i motivi che le hanno originate e molto meno narrare le loro azioni, che peraltro sono arcinote a quasi tutti. E questo perché il male ha sempre, sempre, una origine “buona”: perfino la caduta di Lucifero secondo San Tommaso D’Aquino è frutto di un eccesso di amore che degenera in senso negativo, una gelosia verso gli altri angeli e verso Dio e del quale Satana voleva essere il preferito, il più amato. Insomma un eccesso di amore inziale che poi degenera in violenza verso l’oggetto stesso del proprio amore.

Ora, secondo la maggior parte degli storici e dei sociologi, all’origine del terrorismo politico italiano ci furono fondamentalmente due ragioni: una di ordine “offensivo” e cioè la dichiarata volontà di migliorare la società conquistando il potere con la lotta armata di ispirazione leninista, e una invece opposta di carattere “difensivo” ossia volta a organizzare dei gruppi paramilitari che impedissero un colpo di stato militare di matrice post-fascista come avvenuto nella Grecia dei Colonnelli. Della matrice offensiva furono geni originari raggruppamenti come il Collettivo Politico Metropolitano milanese da cui poi nacquero le BR, mentre i primi organismi della matrice difensiva furono realtà come i GAP di Giangiacomo Feltrinelli. Ebbero però di fatto un “humus” comune: il lavoro. Tutti i movimenti eversivi del quel periodo nascono dentro o attorno alla “questione operaia”,  e cioè ad un’agra presa di coscienza della fine di quell’incredibile periodo di benessere e sviluppo talmente impressionante da essere chiamato il miracolo economico italiano, quel “Boom” che aveva ribaltato tanto miracolosamente quanto rapidamente un’Italia devastata dalla guerra e da una ormai moribonda civiltà contadina e che alle fine degli anni ‘60 presentava un conto salato in termini di inflazione, disoccupazione, crisi energetica... Ci sono ovviamente moltissime altre ragioni, come in primis la questione  generazionale e i moti studenteschi che precedono la stagione del terrorismo, in particolare legati alla reazione quasi nauseata dei giovani figli del boom che non perdonavano ai padri i troppi abusi commessi in ragione del benessere e dall’uscita dalla miseria. Ma la questione centrale dell’epoca era di fatto la questione economica, molto probabilmente perché in essa la società si riconosceva maggiormente sovrastata e maggiormente incapace di incidere. E infatti si è detto spesso che vi fu una terza, e a mio avviso più vera matrice del terrorismo, di natura molto più diffusa e sociale: la sempre più marcata percezione di non poter incidere, di essere oggetti e non soggetti all’interno della società. Questa è la più pericolosa delle matrici terroriste, giacchè essa pur non trasformandosi in lotta armata, rappresenta in qualche modo la spinta e la giustificazione alle reazioni più estreme. Ed è la più pericolosa perché ha una base “democratica”, uno scontento assai diffuso nella classe media che la logora lentamente ma inesorabilmente fino a quando come un tappo in pressione scoppia una reazione estrema in frange elitarie e marginali della società che in qualche modo è giustificata largamente seppur non dichiaratamente. 

Si è discusso moltissimo in questi giorni dei vari “attacchi” di Ultima Generazione, il fronte ambientalista che a Milano Torino  e altre città ha imbrattato monumenti e bloccato la circolazione del traffico. Nelle loro dichiarazioni si legge spesso che la ragione degli attacchi è si ovviamente la questione climatica e ambientale, ma anche che essi sono giustificati dalla “sensazione di disperazione” in cui li ha gettati la impossibilità di incidere sul peggioramento del clima, che è oggettivamente sempre più una preoccupazione sotto gli occhi di tutti, che ci spaventa tutti ma contro la quale ci sentiamo completamente impotenti…non piove da mesi, la nostra aria è pessima, ma chi mai potrà far piovere? E continua a non piovere… E’ paranoia paragonare la questione climatica di oggi a quella operaia  e economica degli anni ’70? Non ne ho idea, sinceramente, troppe cose sono cambiate ed in primis l’omologazione e la globalizzazione portate della società dei social e di internet, e soprattutto il progressivo isolamento (e anche un po' di rincoglionimento)  degli individui nella società che questi mezzi hanno prodotto e  che poco fa immaginare la rinascita di così tanti gruppi organizzati di contestazione.

Ma mi è capitato un fatto che mi ha messo come una piccola pulce nell’orecchio: il grande giornalista Sergio Zavoli fece una storica intervista nel 1990 ad Alfredo Bonavita, operaio e fondatore delle BR, poi completamente pentito e rigoroso negatore di ogni risultato positivo del loro operato. Ecco in quella intervista che ho rivisto su YouTube un lucidissimo pacato e pentitissimo Bonavita dice a un certo punto che non si occupa assolutamente più di politica ma solo di ambiente, che il paese in cui vive è inquinatissimo e che legge tutto quello che può sull’inquinamento. Ecco, forse già 30 anni fa uno dei creatori della lotta armata per il lavoro aveva intuito che l’ambiente sarebbe stato il nuovo campo di battaglia?

E’ molto presto per dirlo, ma è innegabile che da Chernobyl fino a Greta Thunberg l’escalation della centralità del tema ecologista è stata impressionante, ed ha oggi forse il medesimo peso che 40 anni fa aveva il tema del lavoro e dell’economia. Ci sono oggi già segnali in questo senso che non vanno sottovalutati come invece ahinoi per troppo tempo si fece negli anni ’60, oppure si tratta di movimenti di mera protesta che non possono più trasformarsi in una minaccia violenta perché troppo è mutata la società? C’è o non c’è anche oggi un approccio massimalista alla questione del clima come vi fu allora alla questione del lavoro e che potrebbe scapparci di mano? Di certo c’è che dal Covid in poi la nostra condizione di soggetti liberi ha subito dei traumi devastanti, e che la attuale situazione in termini di recessione, inflazione, dipendenza energetica tantissimo somiglia a quella degli anni ’70.

La risposta non c’è ovviamente, ma come sempre guardarsi indietro aiuta a comprendere il presente e immaginare i possibili scenari che ci attendono.

(La foto del professor Martelli è di Daniele Mascolo)

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

Francesco Martelli


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