Tarme commestibili, vino annacquato. L'Europa ci lasci la nostra millenaria cultura della tavola
Evviva. Dopo tanti fallimenti, strafalcioni e autogol, questa volta l’Europa ha fatto qualcosa che, immeritatamente scivolato nella distrazione generale, la rende invece degna di imperitura gratitudine. Pochi giorni orsono s’è finalmente pronunciata ponendo fine a un angoscioso dilemma: ebbene sì, le tarme della farina sono commestibili. Ne ha pertanto autorizzato la commercializzazione ad uso alimentare.
Sollievo enorme, specie per la comunità cremonese che, afflitta da recenti batoste, può consolarsi al pensiero che per una frisona che va c’è una tarma che arriva. Il pregiato insetto potrà essere cucinato e gustato come prelibatezza da riservare, ovviamente, alle grandi occasioni… cenone di san Silvestro, banchetti di nozze e così via. Se Dio vuole non dovremo più tirare avanti coi soliti marubini ai tre brodi, stinco arrosto, ossobuco e culatello. Ma non c’è gioia senza spine e prima di un succulento piatto di larve in umido occorrerà portare pazienza. La Comunità ha i suoi tempi e in materia tanto delicata giustamente procede coi piedi di piombo. Come per la lunghezza dei pesciolini da frittura o il diametro delle zucchine, ci vorranno parecchie sedute plenarie, diurne e notturne, per decidere quale sia la larghezza alare minima per dichiarare una tarma commestibile. Inutile aggiungere che la sentenza apre la strada a nuove, entusiasmanti promozioni. Se ce l’hanno fatta le tarme perché non gli scarafaggi che essendo più in carne avrebbero in cucina una resa migliore? Fino a ieri quando nelle notti d’estate li vedevamo vagare insonni per casa la domanda era con che insetticida abbatterli, in futuro ci chiederemo con che sugo cucinarli. Povero Artusi, una fortuna che la vita gli abbia risparmiato le desolanti implicazioni dell’esplosione demografica e della conseguente insufficienza alimentare. Tuttavia, volendo essere fiscali, un decisivo argomento in canna noi italiani ce l’avremmo. Perché non spararlo? Siamo o non siamo il fanalino di coda della natalità e dunque i benemeriti del pianeta? Si, lo siamo. Passi non essere premiati. Ma espiare, a suon di tarme nel piatto, il disastro demografico senza averne responsabilità alcuna è davvero troppo.
Ragioniamoci con calma: siamo vecchi, siamo pochi, preferiamo adottare cani che fare figli, lasciateci almeno l’estremo conforto di una bistecca e un Lambrusco. O, perché no, di due dita di Bordeaux, proprio lui, il cangiante rubino liquido dalle virtù taumaturgiche maliziosamente immortalate nell’Elisir d’amore’ di Donizetti: ‘Mirabile pel fegato, guarisce i paralitici, spedisce gli apopletici, corregge ogni difetto’. Ma figuriamoci se l’Europa è sensibile alla poetica di un derivato dell’uva di pur alto lignaggio: pollice verso e ‘vade retro Satana’ pure sul vino. Giusto in questi giorni ha deciso che va annacquato in bottiglia per abbassarne la gradazione alcoolica. Si chiamerà vino ma non sarà più vino. Che meraviglia. Una dopo l’altra le nostre millenarie eccellenze cadono come birilli abbattuti dai cecchini che da Bruxelles e Strasburgo vegliano sui nostri trigliceridi. Non bastava il teschio a fuoco impresso sul crudo di Parma, sull’ olio, sul grana e sul parmigiano reggiano trattati alla stregua di sigarette scadenti su cui stampare ‘nuoce gravemente alla salute’. E noi che pensavamo che il decalogo dell’ascetico dottor Mozzi, che a suo tempo irruppe nella valle del Po, fosse l’ultimo stadio del masochismo salutista. C’è di peggio.
Da non credere che l’Europa, madre di antiche e raffinate civiltà alimentari, sedicente promotrice e custode di cultura e bellezza, sia ridotta a tanta barbarie da strozzare in culla i più preziosi prodotti di una millenaria cultura materiale e contadina imponendoci il baratto con un piatto di tarme fritte o, incombente incubo, uno spiedino di cavallette.
Svegliamoci perbacco e a furor di popolo ritiriamo a questa remota cupola di euro ipocondriaci la facoltà di macellare quel che di sano e vitale ancora miracolosamente sopravvive sulle nostre tavole. E, soprattutto, nelle nostre vite.
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