18 marzo 2022

Troppi punti oscuri su questa guerra. Li svelerà la Storia

Ininterrotta doccia scozzese sui negoziati fra Russia e Ucraina. Uno spiraglio di luce: Zelensky cede sulla questione Nato. Poco dopo è di nuovo buio pesto: no secco al modello di neutralità svedese o austriaca. E siamo daccapo. L’escalation di forniture militari cui anche noi massicciamente concorriamo procede intanto indisturbata. Art. 11 della Costituzione repubblicana: l‘Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Non si precisa però che l’intelligente proposito, non a caso maturato dopo l’inferno della seconda guerra mondiale, vale solo in tempi tranquilli. Come dire: obbligatorio avere l’ombrello, vietato aprirlo quando piove. Il pantano della via negoziale è evidente, il vero obiettivo dei contendenti, in continuo riposizionamento reciproco, non lo è altrettanto. In forza di piccole ma costanti riduzioni del livello di tolleranza occidentale pare farsi strada una specie di tacita rassegnazione collettiva a un più massiccio coinvolgimento militare dell’Occidente. Ma un rudimentale buon senso suggerisce che ad evitarlo dovrebbe bastare quel che non a caso chiamiamo ‘deterrente’ nucleare, spartiacque epocale rispetto a tutto il precedente ciclo storico pieno, sì, di guerre ma di guerre combattute con armi convenzionali. Deterrente di tale portata da mettere in crisi quello stesso concetto di ‘guerra giusta’ comunemente accolto per secoli e messo a punto proprio in area dottrinale cattolica: san Tommaso, tredicesimo secolo.

Per la prima volta all’orizzonte europeo s’affaccia lo spettro di mutua distruzione nucleare. Ma non basta a far tacere le armi e far vincere la reciproca ragionevolezza. Un Draghi di voce più fievole rispetto a quanto vorremmo, ultimamente sta facendo un po’ troppe concessioni all’ovvietà: Putin, ripete, non vuole la pace. Già. Ma è più interessante chiedersi se, a sua volta, veramente la voglia l’indomito agitatore Zelensky. Diversissime per storia personale e profilo caratteriale sono le personalità dei contendenti. C’è un aggressore che, refrattario a qualsiasi remora di ordine umanitario, va per la sua strada invadendo, terrorizzando e devastando. In lui si mescolano e potenziano a vicenda i più temibili ingredienti: totalitarismo sovietico, imperialismo zarista, ferocia mongola e una specie di tradizionalismo a sfondo mistico che appoggiato dai vertici della chiesa ortodossa evoca la guerra contro l’Occidente come suprema battaglia del bene contro il male, della civiltà dei valori eterni contro quella che s’è inventata il ‘gay pride’. Il che, sia detto per inciso, contiene un paradosso pur degno di qualche ironia. Putin e il patriarca Kirill ci incriminano come società lassista e sessualmente trasgressiva al punto da sdoganare e normalizzare l’omosessualità riservandole addirittura il diritto a orgogliose parate autopromozionali. Chissà cosa prova il povero Enrico Letta -che sulla preziosa sorte del ddl Zan era disposto a giocarsi quella del Pd – al solo pensiero che lui e Putin in fondo discendono, storicamente parlando, dai medesimi lombi dell’Internazionale rossa.

Ma veniamo a Zelensky: onore al coraggio, all’empatia col suo popolo, all’eccezionale tempra di combattente. Ma dirlo grande statista, o addirittura come qualche osservatore infatuato azzarda, il più grande statista che l’Europa vanti, questo no. Questo, al netto della pur modesta concorrenza europea, significa stravedere e non vedere. Ha impiegato venti giorni, scanditi dal calvario del suo popolo e dalla distruzione della sua terra, per riconoscere a denti stretti l’evidenza che le porte della Nato non gli saranno aperte. Quasi certo che anche quelle dell’Europa, pur se socchiuse e non sbarrate, prudenzialmente gli imporranno una lunga attesa. Il che prescinde dall’umana solidarietà alla sua causa e dall’apprezzamento per la forza da gladiatore con cui la difende. Il problema di Zelensky non è la storia, è la geografia. I problemi di confine non appartengono al passato. Sono tanto vivi e vegeti che si chiama Limes, cioè Confine, la più autorevole e informata fra le riviste italiane di geopolitica.

Trovarsi proprio sulla rovente linea di confine fra Oriente e Occidente, punto fra i più strategicamente sensibili del pianeta, inchioda l’Ucraina all’inevitabile ruolo di ‘stato cuscinetto’.

Definizione che la storia conosce da secoli perché secolare è il bisogno di interporre fra blocchi avversari territori neutrali con la funzione di abbassare e tenere sotto controllo il livello del loro attrito, a tutto vantaggio della sicurezza generale. E’ così da che mondo è mondo, piaccia o non piaccia a Zelensky. Il quale è per giunta un attore: ego notevole, oratoria trascinante, presenzialismo mediatico implacabile, eccellente uso della comunicazione. Ma, come la politica italiana dopo il caso Grillo ha imparato sulla sua pelle, essere un intelligente comunicatore non necessariamente significa comunicare sempre cose intelligenti. Ed eccoci al punto più delicato e alla conseguente domanda. E’ intelligente, in questo momento, mandare a pieno regime il ruolo di agitatore e imprimere al conflitto, esattamente come sta facendo l’avversario russo, i tratti di guerra di civiltà? Se Putin chiama Russia, Cina e Medio Oriente alla battaglia contro il ‘regno del male’, il leader ucraino incita l’Occidente a quella contro il ‘regno delle tenebre’. Ribalta gli argomenti dell’avversario ma, refrattario a ogni ‘moral suasion’ in proposito, ne ricalca lo spirito. E getta benzina sul fuoco. Guai se la faccenda tracima in guerra di religione esponendoci all’estremismo islamico e traghettandone da noi il potenziale terroristico insieme alle milizie siriane accorse a sostegno di Putin.

Strano. Quando Oriana Fallaci parlava di Occidente minacciato nelle sue preziose e non svendibili libertà fu letteralmente massacrata come pericolosa nostalgica delle crociate e visionaria predicatrice di inesistenti conflitti identitari. Evidentemente la questione, evocata da un differente pulpito, può oggi contare su un più disponibile uditorio. Vero è che regna il caos. Un’opinione pubblica comprensibilmente preoccupata per il potenziale allargarsi del conflitto è condannata a rivivere, su scala emotiva forse maggiore, la condizione psicologica che l’ha inchiodata nei due anni della pandemia. Vuole sapere, capire, cerca punti fermi. Ma i tentativi di capire questa fase di eccezionale complessità così come il vero ruolo giocato dagli attori in commedia – primari, comprimari, vere o apparenti comparse – restano confinati in un labirinto di dubbi senza risposta.

Come sempre accade, la vera storia di questi giorni si scriverà fra anni, a decorso compiuto, dossier desecretati, nodi sciolti e così via. Per ora la Storia, depositaria di verità meno friabili e precarie di quelle che s’accavallano in tempo reale nei notiziari, può e deve attendere.

Arrendiamoci dunque alla cronaca e al suo carico di quotidiana angoscia e irrisolte domande.

vittorianozanolli.it

Ada Ferrari


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti