Un nuovo ospedale ma il problema è l'esodo dei camici bianchi
Le strutture contano, ma sono gli uomini a fare la differenza. Il finanziamento del nuovo ospedale di Cremona per 300 milioni di euro, annunciato dall’assessore regionale al welfare Letizia Moratti e con toni trionfali dal direttore generale dell’Azienda Giuseppe Rossi, non risolve il problema di fondo del Maggiore: l’esodo dei camici bianchi. La professionalità del personale e la sua valorizzazione sono essenziali in ogni ambiente di lavoro.
Nell’ambito sanitario tali requisiti assumono importanza massima in virtù del rapporto fiduciario tra medico e paziente. E’ una verità lapalissiana, ma ignorata quando altre motivazioni, perlopiù di ordine politico, prendono inopinatamente il sopravvento. Da tempo nel nosocomio cittadino si registrano dimissioni di responsabili di reparti, abbandoni che appaiono inspiegabili ai non addetti. Ma le voci di un disagio diffuso a più livelli corrono all’interno e si propagano all’esterno. Diventano di dominio pubblico e suscitano sconcerto tra la gente perché l’ospedale è molto più di un luogo di assistenza e cura. E’ il punto di riferimento di una comunità e il suo impoverimento sotto il profilo delle professionalità danneggia l’intero territorio.
Ben vengano l’ammodernamento e il potenziamento strutturale, necessari dopo mezzo di onorato servizio di un complesso che oggi denuncia limiti e inadeguatezza. Ma è più importante conservare un organico di medici e infermieri preparati e motivati.
La relazione sulle performance ospedaliere del 2019, presentata lo scorso luglio, sottolineava numerose criticità, a partire dalla carenza del personale. In Anestesia mancavano 14 unità e questo deficit provocava la contrazione delle sedute operatorie. Il che ha generato una grave situazione nel reparto e un forte calo di attività. In quella stessa relazione sulla situazione generale del 2019 si evidenziavano anche difficoltà nel ricambio di responsabili di unità operative complesse, tra le quali Otorinolaringoiatria.
Sempre due anni fa si è assistito al ridimensionamento di Cardiologia col taglio di 20 posti. Medici di lungo corso se ne sono andati anticipando la pensione o per svolgere la professione privata. Carenze si registravano anche in Ortopedia: nel 2019 si era dimesso il direttore dell’Unità operativa Piero Budassi, seguito da quattro specialisti. Una vera e propria fuga. Stesso percorso ha fatto Antonio Cuzzoli, primario dal 2014 e artefice dell’attuale struttura di Medicina d’urgenza, una realtà da mille dimissioni di pazienti l’anno e tremila osservazioni brevi con 14 posti letto.
Massimo clamore e una vera e propria sollevazione popolare con flashmob e raccolta di firme ha provocato la chiusura del reparto Utin, Unità di terapia intensiva neonatale.
E veniamo ai giorni scorsi. Tre stimate professioniste della Radiologia ospedaliera, specialiste in senologia, hanno annunciato a febbraio l’abbandono dell’ospedale, creando un vuoto di medici in un reparto multidisciplinare come la Breast Unit. Si sono dimesse Maria Bodini, già trasferita alla Poliambulanza di Brescia, Angela Tira e Maria Cristina Marenzi che approdano a strutture private. Da un anno Allevi ha lasciato l’Unità multidisciplinare di patologia mammaria per la pensione e a effettuare visite e interventi sono rimasti i medici Aguggini, Azzini e il responsabile Daniele Generali. L’emergenza dovuta al Covid 19 ha reso problematico il reperimento di sostituti.
La Breast Unit venne costituita da Alberto Bottini in un territorio ad alta incidenza di tumore alla mammella. Nell’ultimo anno ci sono stati rallentamenti dell’attività causati dall’emergenza sanitaria, ma la Breast Unit non ha mai smesso di funzionare. Non dimentichiamo che l’Unità operativa multidisciplinare di patologia mammaria e ricerca traslazionale diretta da Generali è un’eccellenza dell’ospedale di Cremona: sta rinnovando la certificazione Eusoma, la rete europea delle breast unit che soddisfano determinati livelli di qualità, multidisciplinarità e numero di interventi. Quella di Cremona è una delle 18 accreditate in Italia.
Si investe nella costruzione di un nuovo ospedale, anche se in questo momento è prioritario rilanciare la medicina del territorio, che in Lombardia è ridotta al lumicino come hanno drammaticamente messo in luce le carenze e i ritardi nell’affrontare l’epidemia del coronavirus. I cospicui finanziamenti ai privati hanno impoverito la sanità pubblica. Urge porre rimedio ai danni fatti cambiando radicalmente la politica sanitaria regionale, però i primi passi di Letizia Moratti non fanno ben sperare. Tanto più che il ritorno di immagine per i politici che sostengono il progetto di un nuovo nosocomio è di gran lunga superiore al ripristino di una medicina del territorio efficiente.
Ad una conviviale rotariana, lo scorso settembre il direttore Giuseppe Rossi ha teorizzato la necessità che nel limite del possibile i dirigenti di un ospedale provengano da strutture esterne per potere espletare al meglio le funzioni direttive. Disse anche che i medici che se n’erano andati da Cremona erano stati sostituiti da altri migliori di loro. Il che è tutto da dimostrare.
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