8 marzo 2022

Una festa per le donne? Guerra, abusi, pregiudizi e una speranza

Per alcuni sembra quasi surreale nel 2022 parlare della “Festa della Donna” ma, in realtà, molta strada deve ancora essere fatta. L’8 marzo, con dati alla mano, rischia di trasformarsi in un giorno di lutto e di dolore perché il numero dei femminicidi è inquietante. In Italia numeri da incubo. Esistono centri antiviolenza, case rifugio ed organizzazioni a cui chiedere aiuto. Nonostante tutto, però, nella società c’è ancora molta indifferenza e paura. Abusi, soprusi, violenza psicologica, ormai, sembrano diventati un qualcosa all’ordine del giorno e, allo stesso tempo, di lontano finché non ci colpisce da vicino. Questa giornata non può non vederci accanto anche a tutte quelle donne che sono vittime dei più assurdi crimini di guerra. 

I riflettori del mondo, nelle ultime settimane, sono puntati sulle donne ucraine. Il ministro degli esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, ha denunciato che ragazze e donne sono già bersaglio di sevizie e stupri come nelle peggiori realtà criminali. Impossibile non rimanere colpiti dalle migliaia di testimonianze. Non sono racconti di un film, è realtà. Donne che combattono tra le fila della resistenza, qualcuna in prima fila, qualcuna nelle retrovie. Donne che decidono di imbracciare fucili come uomini per combattere. Donne che imparano su internet come fabbricare bombe molotov. Vanno alla ricerca di bottiglie e di tutto l’occorrente per fermare il nemico. Non esiste limite di età, esiste solo tanta tenacia e spirito di sopravvivenza. Tra loro ci sono madri, figlie, nonne che lottano per le proprie famiglie. C’è Nikole, la prima bimba Ucraina nata a Rho, vicino a Milano, nata grazie al coraggio della madre che è fuggita in Italia mentre il marito è rimasto a combattere. Ci sono le madri che hanno partorito i loro figli nei rifugi antiaerei di Kiev, sottoterra. Mentre in superficie le bombe colpiscono edifici, mentre le truppe combattono ed i carri armati russi continuano la loro devastante attraversata; nel sottosuolo la vita tenta di continuare. In un tweet, Hannah Hopko, ex deputata, scrive il 25 febbraio: “Mia è nata in un ambiente logorante. Sua madre è felice dopo questo parto difficile. Putin uccide ucraini. Chiediamo a tutte le madri della Russia e della Bielorussia di protestare contro la guerra russa in Ucraina. Difendiamo la vita e l’umanità”. Ci sono poi i racconti delle mogli che decidono di combattere al fianco del proprio marito, figlie che lottano unite ai loro genitori. Sul versante russo è impossibile non sottolineare la prova di coraggio che le donne di tutte le età stanno sostenendo manifestando contro il volere di Putin. Disposte ad essere picchiate, sottoposte alla scarica elettrica del taser. Tutti i media del mondo hanno diffuso l’immagine dell’arresto di Yelena Osipova, anziana signora, artista e attivista conosciuta per essere sopravvissuta all’assedio di Leningrado dei nazisti che, con grande temerarietà e compostezza, manifestava contro la guerra in Ucraina sorreggendo due grandi cartelli con la scritta: “Soldato, lascia cadere la tua arma e sarai un vero eroe”.

Ancora una volta l’ideale racchiuso nella parola libertà sembra essersi dissolto nel vento. Ogni volta, in ogni epoca, per ogni guerra diciamo che non dovrà mai più accadere, oggi, sta nuovamente succedendo. Solo nell’agosto 2021 il mondo si era indignato per le immagini di donne, bambini schiacciati nella calca in fuga da Kabul, bersaglio di colpi di kalashnikov, sottomesse in una città portata allo stremo dalla politica del terrore perché, lo abbiamo scritto molte volte, la guerra non ha mai i guanti di velluto. Lo sanno bene le donne di Srebrenica, in Bosnia, testimoni viventi del peggior massacro avvenuto, fino ad oggi, in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1995 le forze serbe della Bosnia trucidarono quasi ottomila uomini e ragazzi musulmani e le donne, senza alcuna distinzione di età, furono vittime di stupri e violenze indescrivibili. Forse, le parole di questo articolo, potranno sembrare racconti di violenza di guerra, ma sono i fatti di oggi e solo alcuni. 

La nascita dell’8 marzo ha origini non così lontane nel tempo. Ci fu un avvenimento che delineò il cambiamento per le donne. Nel 1908, quindicimila donne marciarono per New York chiedendo orari di lavoro più brevi, una paga migliore ed il diritto di voto. Nel 1910 Clara Zetkin, attivista comunista e sostenitrice dei diritti delle donne, presentò la sua idea a Copenaghen ad una Conferenza internazionale di donne lavoratrici e le donne presenti, rappresentati ben 17 paesi, accettarono. Nel 1975 le Nazioni Unite iniziarono a celebrare la giornata della donna. Perché l’8 marzo? Perché nel 1917, in tempo di guerra, le donne russe scioperarono per quattro giorni chiedendo allo zar  “pane e pace”. Lo zar, alla fine, fu costretto ad abdicare ed il governo provvisorio concesse il diritto di voto.

Forse l’emancipazione della concezione della donna, in quanto essere vivente con capacità uguali all’uomo, resta, ancora, un tema oggetto di profonde contraddizioni. Sarebbe bello essere valutate, in primis, come persone al riparo da ogni forma di pregiudizio e di sottomissione; come professionisti capaci, all’interno di un qualsiasi contesto lavorativo e non per la necessità di avere una “quota colorata”. Charlotte Whitton, politica canadese, sottolineava spesso questa frase: “ Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà. Per fortuna non è difficile”. 

Beatrice Ponzoni


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