Una provincia divisa. E sempre più profondo sud della Lombardia
Divide et impera. Così la nostra provincia è sempre stata la Cenerentola della Lombardia. E per il futuro non si intravedono cambiamenti nel metodo.
La morfologia del territorio, allungato, disomogeneo per storia, cultura, tradizione e refrattario alla compattezza, non aiuta ad unire, ma non è l’unica causa di divisione e conflittualità.
Cremonese, Cremasco e Casalasco, invece di essere un tutt’uno coeso, assomigliano a tre monadi che, se non si trovassero nell’area Schengen, imporrebbero ai rispettivi cittadini il passaporto per transitare da una zona all’altra.
Fattori politici, sociali e, non ultimi, quelli di categoria e di bottega, contribuiscono a rendere la provincia di Cremona un agglomerato, con spinte centrifughe e autonomiste, evidenti soprattutto nel Cremasco. Spinte titillate dalla legge 56/2014, nota come riforma Delrio, e culminate con l’illusione dei cremaschi di formare un’Area vasta con Lodi, tentativo perseguito con tenacia e convinzione, ma fallito.
In provincia di Cremona prevale la logica del mors tua vita mea. Tutti per uno e uno per tutti vale per i moschettieri del re. Non da noi. Se si vuole millantare di saperla lunga, si può ricordare che Unus pro omnibus, omnes pro uno, è il motto della Svizzera, modello di efficienza e precisione, caratteristiche che non rientrano tra le peculiarità principali dei politici di casa nostra.
Cremona si sente geneticamente superiore ai comuni che la circondano. Lei presente, gli altri scompaiono.
Crema e Casalmaggiore, con orgoglio, rivendicano la loro specificità. Non sopportano la supponenza del capoluogo, anche quando è più apparente che reale. Cremona ricambia e considera cazzate alcune sacrosante rivendicazioni di Crema e Casalmaggiore.
Per i propri interessi, centro e periferia spesso ciurlano nel manico. Dimenticano l’insieme.
Se ai confini dell’impero politici e pubblici amministratori sono un po’ paranoici, all’ombra del Torrazzo fanno poco o nulla per modificare l’abnorme percezione di Cremona matrigna.
La questione del Piano energetico provinciale, gestita in piena e totale autonomia dal sindaco Gianluca Galimberti, è stato considerato da alcuni il lancio del guanto della sfida. Un atto di arroganza nei confronti dei colleghi del contado.
Cremona si reputa il centro dell’impero. Crema e Casalmaggiore si vivono vassalli e alcune decisioni prese dal sovrano li irritano quanto certi parassiti che si insediano nelle parti intime degli umani.
Nessuno è senza peccato e i pregiudizi non aiutano.
Cremona tiene il banco e il banco vince sempre e si pappa tutto. È la narrazione corrente. Giusta o sbagliata, questa è. Nel prenderne atto, sarebbe auspicabile impegnarsi per modificarla.
La politica e i partiti ci mettono del loro per ingarbugliare il racconto e dividere il territorio.
La Lega di Cremona e Crema sono entità autonome. Prosperano su due pianeti diversi. Patiscono di molti black-out nella comunicazione interna, inconveniente che rende difficoltoso mantenere e trasmettere una linea univoca da Casalmaggiore a Rivolta d’Adda.
Il Pd non è messo meglio. Le recenti vicissitudini per la nomina del consiglio di amministrazione di Padania Acque hanno evidenziato una diversità di vedute tra i militanti che vogano sul Po e quelli che percorrono le ciclabili lungo il Serio. È un esempio. Uno dei tanti.
Forza Italia è costretta al braccio di ferro con una fronda interna cremasca e soresinese, un gruppo di dissidenti capace di imporre alcune scelte a livello provinciale con accordi non condivisi dalla componente ortodossa.
Fratelli d’Italia è il partito messo meglio. Apparentemente non esistono contrasti significativi tra la segreteria centrale e quelle periferiche, ma la compagine usufruisce del vantaggio di transitare in un cono di luce che procura consenso e quando gli affari vanno bene anche le divergenze sono meno divergenti.
I cinque stelle sono una galassia a parte. Nessuno però può negare che il consigliere regionale Marco degli Angeli, usi l’aspersorio in maniera salomonica e incurante della località di celebrazione del rito. Benedice quelle che ritiene le porcherie da esorcizzare senza controllare il colore o la casta di appartenenza.
Divide et impera non è un modo di dire.
Sulla revisione in corso del sistema socio-sanitario regionale, normato dalla legge 23/2015, imperatore e vassalli viaggiano in direzioni diverse. Non per forza opposte, ma di sicuro non coordinate tra loro.
Matteo Piloni, consigliere regionale Pd, ha ipotizzato la costituzione di un Ats Crema-Lodi-Melegnano. La proposta non ha suscitato molti commenti. Nessuno si è stracciato le vesti. Pochi hanno condiviso l’idea, ma in privato.
Non si è trattato di un silenzio assenso, piuttosto di un modo per esprimere un’incazzatura galattica senza esporsi. Il coraggio non alligna dalle nostre parti.
Piloni non è l’ultimo dei pischelli. Quando parla lo fa a ragion veduta. L’Ats cremasca-lodigiana può essere intesa come una provocazione. Se così fosse, si cerchi di capire il motivo. Il silenzio aumenta le incomprensioni e amplia la frattura tra Crema e Cremona.
Gianni Rossoni, sindaco di Offanengo e molto altro, nel suo sublime e impareggiabile stile democristiano ha sottolineato che la strada imboccata sulla sanità locale porterà Crema ad essere fottuta da Cremona. Ops, ha fatto intendere che Crema rischia d’essere penalizzata. Un grido nel deserto. Tutti allineati e coperti, formula infallibile per aumentare la distanza tra capoluogo e periferia.
Divide et impera non è un modo di dire.
L’autostrada Cremona-Mantova è molto di più di una infrastruttura. È una questione politica, sociale, economica. È un simbolo che discrimina. È anche ideologia.
Ha diviso in due l’opinione pubblica, i partiti e il territorio con i cremaschi scettici, i casalaschi più favorevoli all’intervento, ma tutt’altro che granitici.
Nei giorni scorsi De Angeli ha scritto «Ad oggi l'autostrada costituisce non una, bensì due spade di Damocle sulla testa dei cittadini cremonesi, mantovani nonché di tutti i lombardi. Una è il rischio che l'autostrada fantasma col buco di 8,5 km blocchi il raddoppio ferroviario e la seconda che Regione Lombardia, il 31 ottobre, compri con soldi pubblici un progetto irrealizzabile e già da modificare prima di iniziare. Il tutto alla modica cifra di 25 milioni di euro». (Cremonasera, 12 agosto).
Se è vero, dove stanno i partiti, la Provincia e gli altri organismi coinvolti nel progetto? Non hanno nulla da precisare, controbattere? E, perché no, smentire?
Divide et impera. E la provincia di Cremona è terra di nessuno. Terra di conquista. Brescia, Milano e Mantova l’hanno capito e ne approfittano. Noi litighiamo, ci facciamo delle pippe, ci accontentiamo delle promesse. Veniamo colonizzati. Padroni a casa nostra. Ma dove?
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commenti
Pasquino
15 agosto 2021 06:25
La supponenza e la presunzione di Cremona è evidente sempre. Si pensI ad esempio alla liuteria dove ha anche ottime ragioni di poterlo essere ma lo è e lo dimostra a tal punto da fottersene del controllo della qualità della produzione per sostenere solo la importanza che gli strumenti siano fatti a Cremona per poter godere del...patrimonio dell' UNESCO e in tal modo non fa che inimicarsi tutte le altre scuola italiane di tradizione e non parliamo di quelle delle altre nazioni