Una triste illusione pensare di governare il proprio cuore da soli
Quante volte abbiamo immaginato di possedere un conto milionario in banca, una casa alla Bahamas, una schiera di servitori, migliaia di followers su Instagram o su Twitter… insomma di essere ricchi, famosi, invidiati. Eppure quel mondo dorato, che le riviste patinate ci fa così tanto anelare, nasconde esso stesso delle insidie: non è raro che attori e cantanti famosi cadano in depressione o addirittura si tolgano la vita perché insoddisfatti del loro successo o delle loro mete, perché non più in grado di soddisfare i propri fans o semplicemente perché soli e infelici.
Purtroppo neanche la ricchezza e la fama arginano quella bramosia insita nel cuore dell’uomo ad avere di più: uno ha 100 milioni in banca e ne vorrebbe 150, uno è cavaliere e anela a diventare commendatore, uno siede in dieci consigli di amministrazione diversi e fa carte false per entrare nell’undicesimo… non si è mai contenti. Come il ricco della parabola evangelica che, mai sazio, continua a costruire granai! D’altra parte il nostro cuore è fatto di Cielo, di infinito, di Dio e potrà trovare ristoro solo quando si abbandonerà all’Incommensurabile! E anche se cerca dei surrogati non potrà mai essere sazio: le cose non possono compensare questa sete di illimitato, di tutto! Su questo il Demonio ci gioca e lavora instancabilmente per favorire il nostro orgoglio, la nostra superbia, la nostra ingordigia… illudendoci che solo accaparrando cose, titoli, poltrone possiamo trovare la quiete.
La solennità della Santissima Trinità che celebriamo questa domenica ci riporta all’origine del nostro essere: siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio! Non un Dio solitario e musone, ma un Dio che è relazione, comunione: il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre e questo amore intenso, potente, totalizzante è lo Spirito Santo. Ognuno di noi completa, realizza sé stesso soltanto uscendo da sé stesso, amando gli altri, entrando in relazione con Dio, il prossimo, il Creato. Non sono le cose che riempiono il cuore, ma l’amore donato e ricevuto. Gesù, l’uomo perfetto, insegna che l’amore, lungi dall’essere una passione o un istinto, è un sentimento profondo, che sfida il tempo e le delusioni, e che va continuamente alimentato, coltivato, protetto. È l’amore che ci costruisce!
Il Vangelo di Giovanni che narra dell’ultima Cena ci consegna quel rito così laico eppure così sacro dalla straordinaria portata rivoluzionaria: la lavanda dei piedi. Un gesto che sovverte totalmente il modo di pensare umano: il potente che serve l’inferiore! Un chiaro invito a coltivare l’umiltà e lo spirito di servizio, due grandi armi – certamente non le uniche – decisive nel combattimento contro l’arroganza della superbia, la tirannia dell’avidità, il pervertimento dell’amore come ricerca del proprio piacere e della propria autorealizzazione.
L’umiltà è decisamente la virtù delle virtù, perché su di essa si innestano tutte le altre qualità interiori dell’uomo. L’umiltà è piena consapevolezza di sé stessi, dei propri limiti, delle proprie brutture, è capacità di sapere misurare ciò che c’è nel profondo del cuore e, se è necessario, di prenderne le distanze. L’umile si accontenta di quello che è e di quello che ha perché consapevole che la vera felicità, quella quiete del cuore che tutti bramiamo, non risiede nell’avere, ma nell’essere e nell’amare.
Nella Sacra Scrittura l’umile è il povero in spirito cioè colui che sa che tutto viene da Dio, che le proprie doti e qualità sono dono Suo e che se è arrivato a qualche traguardo significativo è perché Dio lo ha permesso. Solo l’umile sa rivolgersi a Dio in modo corretto perché riconosce la propria precarietà e fragilità ed è quindi capace di affidarsi. L’orgoglioso, il ricco, il potente non hanno bisogno di Dio: il successo ottenebra così tanto la loro mente da far credere loro di bastare a sé stessi! Una triste illusione pensare di poter governare il proprio cuore in solitaria…
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