27 marzo 2022

Unità del territorio, un canestro di parole

La diversità va forte. Ha il vento in poppa.  È ai vertici delle priorità di ambientalisti, sociologi, antropologi, politici.  È risorsa da conservare e tutelare.

La provincia di Cremona, suddivisa in tre aree, ciascuna con la propria storia, cultura, tradizione, dialetto è l’emblema della diversità, che però non è risorsa. È fregatura. Palla al piede. È staticità. Vuoto a perdere. 

Marciare divisi e colpire uniti è uno dei metodi migliori per sfruttare le differenze. Applicato con scientifica precisione dalla Democrazia Cristiana ha sortito effetti straordinari. Trasferita nel centrosinistra, questa tattica ha trasformato gli ex comunisti in democristiani dipinti di rosa pallido e non ha procurato risultati altrettanto brillanti.   

La provincia di Cremona non ci ha mai provato. Ha sempre marciato divisa e mai ha colpito compatta.

Cremonese, Cremasco e Casalasco procedono a ranghi sparsi, ognuno per sé, Dio per tutti, il quale spesso si dimentica della loro esistenza.  Quando si ricorda, concede le briciole. 

Crema guarda verso Milano. Cremona un po’ meno. Casalmaggiore altrove. Trovare un punto d’incontro è più arduo dell’interpretazione di una crittografia. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che il nostro territorio trovi l’unità. Non è il Vangelo, ma una fotografia ad alta definizione della realtà.

La provincia di Cremona ha idee confuse e nelle sedi decisionali è una comparsa. Quasi mai protagonista. Quasi sempre questuante.

Narcisista e supponente, si concentra sul proprio ombelico. Si autocompiace.  Si loda, che fa rima con s’imbroda. Quella di Mantova, larga di bocca e stretta di mano, le sfila egemonia e servizi.

La provincia di Cremona si atteggia a padrona, ma con la cessione di Lgh ad a2a è suddita di Brescia e Milano.  

La legge Del Rio, killer politico con il mandato di eliminare le province, ma impallinato dal referendum, non aiuta la coesione. Penalizza i piccoli comuni, favorisce i grandi.  L’elezione del presidente e del consiglio provinciale sono terreno di caccia dei partiti, iattura per la costruzione di un esercito vincente.

L’Area Omogenea cremasca è tale solo sulla carta. Idea non malvagia, senza un progetto è una pia illusione.  I cremonesi non se la filano. Probabilmente li irrita, ma non lo dicono. I Casalaschi sanno della sua esistenza e non molto altro. Se non è un Carneade poco ci manca. 

Consorzio.it, il braccio operativo dei comuni cremaschi, nato dalle ceneri di Scrp, è orfano di otto soci con i quali ha aperto un contenzioso finito alla Corte d’appello di Brescia. La logica e il bene comune, ai quali tutti si appellano, suggerirebbero un accordo e una ripartenza, concetto facile da esporre, difficile da applicare. Se sono rose fioriranno.

 L’Azienda sociale cremonese, che sembrava un monolito, ha mostrato la prima crepa dopo vent’anni (Cremonasera, 22 marzo). Il centrodestra si è astenuto sulla votazione del Piano di zona e l’isola felice è un po’ meno felice.

 L’Associazione temporanea di scopo (Ats) per l’implementazione del Masterplan 3c, proposta dall’amministrazione provinciale, concordata dalle segreterie di partito con l’Associazione industriali, non ha trovato un’adesione unanime da parte dei comuni delegati a finanziarla. L’Ats verrà presentata giovedì 14 aprile al teatro Ponchielli. Lo spettacolo si annuncia più triste che originale. Bolso ancora prima di iniziare.

Masterplan 3c disegna il futuro da Rivolta d’Adda a Casalbellotto, ma è già vecchio e superato.  Produce molto fumo, qualità non disprezzabile in politica. L’arrosto è una promessa. Non una certezza.

Crema, Cremona e Casalmaggiore dialogano poco. O non dialogano affatto. Questione di carattere. Di feeling. Di ego eccessivo. Di sfida a chi possiede gli attributi più duri, via maestra per giungere allo scontro e lasciare irrisolti i problemi.

I partiti in crisi d’identità e delegittimati dai cittadini a rappresentarli, ingannano se stessi e insistono ad agire con rituali dell’ancien regime, che non funzionano più.  Le segreterie hanno perso autorevolezza. Il centralismo democratico e altre forme verticistiche di direzione sono ammuffite. 

Spesso i partiti di Cremona indicano una via, quelli di Crema ne imboccano altre. 

La politica di oggi esalta i leader. In provincia abbondano gli attendenti. Scarseggiano i generali. Il guaio sono gli attendenti che si credono generali. I mediocri che si proclamano fenomeni. 

A Cremona è prevista la costruzione di nuovo ospedale e l’abbattimento dell’attuale, investimento da 330 milioni di euro.   A Crema si discute della casa di comunità, un moscerino.

La provincia di Cremona, capitale del mondo intero e patria di eroi, secondo la narrazione dell’informazione locale, è soprattutto terra di omologazione e di quieto vivere.

La protesta è educata.  Edulcorata è più aderente al vero.  È al rosolio.  È composta. È minimalista, nel senso di ridotta all’osso. È un racconto di Raymond Carver o un film di Abbas Kiarostami, ma privi del fascino dell’insignificante elevato a protagonista. Ad arte.

L’adrenalina è arrivata a Cremona nei giorni scorsi con la protesta contro la chiusura dell’Area donna. I sindacati hanno contribuito alla scossa con una manifestazione sulle eccessive esternalizzazioni dell’ospedale (Cremonasera, 25 marzo). Una rondine non fa primavera.

Il quotidiano cartaceo locale, storico riferimento della stampa provinciale e influente costruttore di opinioni, non aiuta il territorio a crescere. A contare. 

Lo presenta grande anche quando si dimostra nano. Lo magnifica, anche quando una critica non stonerebbe. I degni di lode sono i soliti noti, gli unti dal signore e dalle cariche ricoperte. Sono un mantra noioso e irritante.

Un giornale, secondo lo storytelling più caro, coccolato e veicolato da cinema e letteratura, dovrebbe essere da stimolo, cane da guardia delle istituzioni, della democrazia, del potere nell’accezione più ampia del termine. 

Dovrebbe essere il mastino che azzanna le istituzioni quando sbagliano. Che le costringe a ritornare sulla retta via. Che non teme lo scontro.

Dovrebbe essere l’antitesi del trombettiere pronto a diffondere i proclami del re, dei suoi tirapiedi e della corte dei miracoli che campa all’ombra del castello e del principe.

Dovrebbe essere se non imparziale, almeno non eccessivamente partigiano.

Nell’editoriale, a pagina 3 del magazine Mondo Business,  del 25 settembre 2021, il direttore Marco Bencivenga, precisava: «Il salto in avanti nella distribuzione nella diffusione della rivista è reso possibile dallo sforzo comune di quattro associazioni di categoria: Confindustria, Cna, Libera artigiani di Crema (le tre case fondatrici di Sit, la società editrice di MB) e Libera Agricoltori cremonesi (la new entry)».

Il magazine è supplemento de La Provincia, quotidiano di proprietà - attraverso la Sec - dell’Associazione Libera Agricoltori, la quale, nell’operazione Mondo Business, è partner dell’Associazione industriali e di due associazioni artigiane. 

Il direttore il medesimo per quotidiano e magazine.  

 Credere che La Provincia morda i compagni di avventura e di cordata del suo editore è un atto di fede che non si può escludere. Ma atto di fede rimane.

«Pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina», ammoniva Giulio Andreotti, uno che misurava le parole.

L’ipotesi che il cane da guardia sia un cane da salotto è plausibile e non è una bocciatura o un giudizio negativo. È una deduzione scaturita dall’editoriale di Mondo Business.  Pezzo che merita un grazie e un plauso all’estensore. 

Atto di coraggio e trasparenza, l’editoriale mette le carte in tavola. Indirettamente fornisce ai lettori un importante elemento per valutare e pesare con maggior cognizione di causa gli articoli relativi alle associazioni in questione e pubblicati dal quotidiano.

Questo è il nostro territorio. Piaccia o meno, è tutti insieme appassionatamente senza disturbare il manovratore e un canestro di parole sull’unità che non esiste. Un sogno mai decollato, forse neppure nel cassetto.  È poca cosa. Gnagnera.

Antonio Grassi


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commenti


ALZ

27 marzo 2022 10:03

Alla divisione del territorio della provincia di Cremona si è ben adeguato il territorio Cremasco. Con la caratteristica che da noi, i nostri politici locali non riescono nemmeno a "marciare divisi e colpire uniti".
Ad esempio si può citare la fine che ha fatto il vecchio "consorzio cremasco" sorto per svolgere servizi associati: raccolta rifiuti, gas... Ai tempi quando fu costituito gli amministratori locali di allora, alle parole "tendere al bene comune" hanno associato i fatti.
Ora da noi l'area omogenea sembra più un luogo di scontro politico che un luogo dove i sindaci discutano e portino avanti all'unanimità delle soluzioni concrete per risolvere le criticità dei cremaschi. Ad esempio i disagi che devono affrontare per raggiungere le sedi istituzionali di Cremona: tribunale, sanitarie, associazioni di categoria ecc..
Ciò quando vicino a noi ce ne sono altrettante di altre province e meglio servite da servizi di trasporto pubblico.
L'auspicio è che dopo le prossime elezioni, il comune di Crema assuma la leadership del territorio, si faccia interprete di tutte le criticità dei comuni (soprattutto piccoli) e le affronti forte di un sostegno unanime nelle sedi opportune.
Sognare questo è un'utopia?