6 aprile 2021

Uno spettro si aggira per la città: il cappotto

La qualità delle nostre città è costituita da una serie di elementi che concorrono a renderle uniche. Tra questi le facciate hanno una grande importanza. Così come per noi la faccia è la caratteristica di ciascuno, allo stesso modo la facciata lo è per l’edificio nella scena urbana. Camminando per il centro di Cremona ci si accorge che certe facciate sono mute, sorde mentre altre parlano fluentemente, mentre altre ancora, che sono le più rare, cantano. La grande varietà delle forme, dei materiali, delle finiture, dei colori, degli aggetti e delle decorazioni rende unico questo paesaggio, considerato giustamente come una caratteristica unica e preziosa. Ogni epoca storica lascia una traccia sulla superficie, ogni progettista opera con una sensibilità diversa, ogni nuovo materiale contribuisce a questo palinsesto articolato e stratificato, dove si aggiungono i segni dell’azione dei nostri predecessori. Inoltre il segno del tempo che passa lascia le sue tracce nelle patine, nella polvere, nelle ossidazioni, nelle croste che si aggiungono sulle superfici. A volte si vedono le cicatrici, le rughe. La grande Anna Magnani a una truccatrice che le proponeva di nascondere le numerose rughe disse: “Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele!” È una bella lezione contro la nostra voglia di sembrare tutti giovani utilizzando la chirurgia estetica e i lifting estremi. Non c’è niente da fare il tempo, purtroppo, è irreversibile così la nostra identità è fatta di tutta la nostra storia, delle stratificazioni, dei segni del tempo che passa. Ha perfettamente ragione Anna Maramotti che proprio su questa testata ha iniziato il dibattito sul tema.

Questa preziosa identità è minacciata oggi da un nuovo pericoloso nemico: la moda del cappotto termico. Si tratta di una tecnica recente che è favorita dalle nuove norme del superbonus energetico del 110%. Il cappotto, costituito perlopiù da lastre di materiali sintetici derivati dal petrolio da incollare sulle facciate, servirebbe per risparmiare proprio lo stesso petrolio (un vero e proprio paradosso).  Si tratta di una tecnica destinata agli edifici degli anni ‘60 e ‘70, come tanti condomini e villette costruite senza nessun criterio legato al consumo di energia che sono francamente energivori. Il cappotto, che funziona bene per le nuove costruzioni, non produce particolari vantaggi su vecchi edifici che hanno caratteristiche totalmente differenti.  Anzi, il suo uso è di solito negativo e può ingenerare molti problemi. La gran parte del patrimonio edilizio dei nostri centri storici possiede murature in mattoni pieni di grande spessore dell’età di centinaia di anni con un equilibrio termo igrometrico consolidato. L’utilizzo del cappotto altera questo equilibrio e quasi sempre impedisce la transizione del vapore dall’interno all’esterno con pessime conseguenze dell’insorgere di condense e muffe. Poiché normalmente insieme alla realizzazione del cappotto vengono anche sostituiti i serramenti con eliminazione di fessure, il ricambio dell’aria e la traspirazione delle murature sono eliminati. Per evitare altri problemi diviene quindi indispensabile in tali casi provvedere a realizzare un costoso e complicato impianto di ventilazione meccanica controllata con recupero del calore. Capite bene che si entra in un circolo vizioso che comporta ulteriori spese, una specie di pessima catena di S. Antonio. In questi casi il cappotto non migliora il benessere interno dei fabbricati e il valore presunto del risparmio energetico è surrogato da altri costi ingenerati dall’intervento stesso. Se nella visione della norma c’è la finalità di sostenere il ceto medio e i piccoli produttori si vede che l’attuale versione va corretta. Nel meccanismo in atto solo le grandi aziende possono assumersi il vantaggio fiscale. Così tutti i piccoli operatori artigianali sono tagliati fuori dal mercato. Certo, questo fa aumentare il PIL ma penso che i cittadini non siano degli allocchi e che sia giunto il tempo di non farsi abbindolare dalle sirene del consumo, è giunto il tempo di sostituire all’egemonia della quantità l’egemonia della qualità, dall’ossessione del più all’ossessione del meglio. 

Ma c’è di più, oltre ai problemi tecnici i cappotti distruggono tutte le caratteristiche che fanno la bellezza delle nostre facciate storiche: il cotto, le cornici, le modanature, le lesene, gli scuretti, gli sfondati, le tinteggiature a calce... Inoltre 15-20 cm in più sull’involucro esterno ne cambiano le proporzioni. Così, nell’indifferenza si cancella un patrimonio di secoli d’intelligenza costruttiva e se ne sovrappone uno nuovo di “plastica”. Che cosa succederà a queste lastre tre venti o trenta anni quando le colle cederanno e tutto cadrà di sotto? Capite che andando avanti così siamo di fronte ad una nuova Disneyland, incentivata dalla normativa che, ha un buon obiettivo (il risparmio di energia) ma in realtà produce per i vecchi edifici una vera e propria sciagura. 

Anche la Soprintendenza si è accorta di questo pericolo incombente, oltre che a interventi locali dalla sede di Mantova anche a livello centrale il Ministero ha recentemente emanato una serie d’indicazioni per cercare di limitare i danni che può comportare.

Cremona ha saputo mantenere, in gran parte, le sue caratteristiche architettoniche anche in tempi bui come le due guerre mondiali, non mi sembra proprio il caso di metterle a rischio per l’applicazione disinvolta di una norma tanto smemorata.

Architetto

Marco Ermentini


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commenti


anna maramotti

6 aprile 2021 15:24

Ai problemi tecnici, con conseguenze economiche non certo da sottovalutare, vanno aggiunti anche quelli di salute degli abitanti. Non è certo salutare mettersi in ambiente potenzialmente umido (es.muffe) e senza un ricambio d'aria. Salute dell'edificio e salute dell'uomo sono due aspetti che non possono essere disgiunti.

Michele de Crecchio

7 aprile 2021 17:14

Parole sante!