Va bene Draghi, ma rischia ancora il ceto medio
Non è il momento di aumentare le tasse agli italiani. Parola di Draghi. E vogliamo credergli. Ma sul breve sollievo cala, come un secchio d’acqua gelata, la realistica consapevolezza che le casse dello Stato sono affamate. Fame atavica e incattivita da un trend di eccezionale malasorte, aperto con la crisi finanziaria del 2008 e culminato nella pandemia regalata al pianeta dall’inquietante formicaio cinese. Un incremento del gettito fiscale attraverso una revisione degli estimi catastali resta dunque fra le opzioni possibili e concretamente adottabili, anche se non subito. Alla domanda ‘Aumenteranno le tasse sulla casa?’ uno sfuggente pidiessino o forse pentastellato (ormai parlano a reti unificate) non a caso ha risposto che ‘Occorre abbassare le tasse sul lavoro’. E un pur rudimentale esercizio di psicanalisi del linguaggio porta in superficie le verità che la reticenza del politichese ha facoltà di eludere ma non di rendere invisibili.
Primo: non si vede come aiutare l’impresa intervenendo sul costo del lavoro se non con un nuovo giro di vite nello strangolamento della casa. I conti dello Stato hanno l’acqua alla gola. Così non sarebbe se avessimo messo mano, anche parzialmente, a una delle tante Spending review che nei decenni i governi hanno commissionato, pagato e cestinato. I rivoli in cui si perde il danaro pubblico, gli appetiti vitalissimi nel magico universo degli enti pubblico-privati, vedi telenovela delle Partecipate, sono ancora tutti lì, a testimoniare che le morti annunciate dal bisturi dei buoni propositi si sono trasformate in potenti elisir di lunga vita. Il massimo responsabile della crisi finanziaria dello Stato è dunque lo Stato stesso per l’insieme di inefficienze, opacità e lentezze che ne affliggono la macchina amministrativa sia centrale che periferica. Ciò non toglie che buttare un occhio alla questione del patrimonio immobiliare degli italiani abbia un senso e sia, per molti versi, altamente desiderabile. L’evasione fiscale del settore è elevatissima. L’Erario non riesce a riscuotere il dovuto e incrociando i dati del patrimonio immobiliare con quelli del gettito fiscale il buco che emerge non ci fa onore. Non fa onore agli evasori ma ancor meno allo Stato che non riesce a stanarli e ad estendere in maniera territorialmente e socialmente omogenea a tutta la popolazione il suo legittimo potere impositivo. E questo si chiama fallimento. Ma alla luce di quale logica le conseguenze di tanti doveri disattesi devono essere caricate sul conto di chi, invece, i doveri li assolve e le tasse le
paga? Infierire sugli innocenti per dare una lezione ai colpevoli è pratica storicamente cara ai dittatori e come tale indegna di una moderna civiltà fiscale.
Seconda considerazione: una revisione degli estimi catastali appare non solo opportuna ma urgente purché circoscritta alla vasta platea di immobili che tuttora godono di rendite catastali irrisorie e scandalosamente incoerenti rispetto alle loro attuali condizioni. Un caso da manuale: il fienile trasformato in attico superlusso ma tuttora accatastato come bicocca. Non saremo tuttavia tanto distratti da ignorare che prima beneficiaria del lungo letargo del catasto è, da tempo immemorabile, proprio la casta che oggi ci rivolge lezioni di moralità. Politici, amministratori, vip di varia estrazione con relativi amici e amici degli amici. hanno goduto per anni di succulente prelazioni su vecchi ma appetibilissimi palazzi dei centri storici di Milano, Roma e così via: proprietà pubbliche, affitti risibili, estimi catastali antidiluviani. Quindi, stiamo attenti ad innescare un contenzioso fra presunto buon costume pubblico e presunto malcostume privato… Retorico chiedere chi ne uscirebbe con le ossa più rotte.
Una cosa è comunque chiara. Lo Stato non è in grado di coniugare la revisione degli estimi catastali a un convincente criterio di giustizia tributaria che richiederebbe enorme sforzo investigativo, risorse ed elevate capacità operative. E se non può lavorare di precisione col bisturi quale alternativa gli resta se non il machete di un indiscriminato aumento di aliquote? E su chi mai può abbattersi?
Ovviamente sul ceto medio. Il processo realisticamente immaginabile è dunque l’esatto opposto di quel che la fiera propagandistica montata a sinistra va raccontando quando presenta il suo estemporaneo repertorio di nuove patrimoniali come mano tesa a sollievo del ceto medio e ‘Dies irae’ per i malvagissimi super ricchi. Le tosature fiscali realmente utili ai conti pubblici si ottengono, da che mondo è mondo, tosando le platee numericamente consistenti. Il conclamato proposito di tosatura punitiva delle élites è puro fumo ideologico utile a nascondere la vera natura dell’arrosto. La grande ricchezza da anni ha preso il largo dalla proprietà immobiliare, specie in Italia, e dispone di sistemi di autodifesa patrimoniale di ben altro calibro e disinvoltura. Antiche ragioni storico culturali inducono invece tuttora il ceto medio alla fedeltà al mattone, ereditato o faticosamente acquisito. E tanto basta a farne l’ideale vittima sacrificale di un fisco la cui voracità ha come unico freno l’atavica pigrizia.
Senonché, partiti da roba materiale come mattoni o catasto, eccoci approdati al cruciale e immateriale piano dei valori e delle libertà personali e sociali su cui comincia a tirare una gran brutta aria. La proprietà, a cominciare da quella della casa, è infatti un evidente proiezione e un decisivo presidio della nostra libertà personale. Cosa declinata a chiarissime lettere in specifici articoli della nostra Carta costituzionale che si impegnò a incentivarla nel saggio sottinteso che se hai di che vivere non sei ricattabile, non gravi sulla società, non devi sottostare alle vischiose pratiche del clientelismo politico che ci vuole sudditi vincolati a debito di riconoscenza Altri tempi quelli in cui si ‘costruiva’ il ceto medio come chiave di volta, anche morale, del sistema Paese. Ora, all’interno di un ciclo storico diametralmente opposto e governato dalle dinamiche economico sociali della globalizzazione, si può evidentemente procedere alla sua ‘decostruzione’ con piani di redistribuzione della ricchezza che ne travasino i risparmi in altre direzioni. Per esempio in un coraggioso piano industriale che rimetta in sicurezza il mercato del lavoro? Neanche per sogno. Piuttosto, in una gigantesca piramide assistenziale che spazia dal reddito di cittadinanza, esemplare caso di morto che tuttora cammina, ai regalucci ai diciottenni in nebulosa veste di ‘dote’ e viatico per l’ingresso in società.
Spettacolo demoralizzante quello di una sinistra che ancora pianifica la sopravvivenza economica in forma di saccheggio di ricchezza privata da convertire in spesa pubblica improduttiva e nuovo debito. Ma veniamo al dunque. Da uno a dieci, quante possibilità hanno i nostri eroi di riuscire nella vagheggiata tosatura del ceto medio
camuffata da punizione delle élites? Per ora meno di zero. Fantasie politiche da ora di ricreazione puntualmente spente dal suono della campanella. Si rientra in aula. Draghi docet. E il resto è silenzio.
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