20 febbraio 2022

Vuoi essere come Dio? Cristo offre il “frutto proibito”: la misericordia!

Gareggiare con Dio, prendere il posto dell’Onnipotente, scalzarlo dal suo trono è sempre stata la grande tentazione di angeli e uomini. Povero Signore! Non fa tempo a creare spiriti e mortali che subito deve difendere le proprie prerogative… Lucifero - e con lui tanti membri della Corte Celeste - si è lasciato corrompere dalla sua superbia e, con tracotanza, ha sfidato Dio, come se lui, creatura, potesse davvero prevalere sul suo Creatore: “Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo” (Is 14, 13-24). 

L’orgoglio lo ha talmente soggiogato da ottenebrargli l’intelligenza: preferisce soffrire in eterno piuttosto che riconoscere la propria totale dipendenza all’Eterno. John Milton, scrittore inglese del XVII secolo, nel suo controverso poema epico “Il Paradiso perduto” (1667) pone sulle labbra del demonio quella tremenda frase che è stigma di tutta la vicenda luciferina: “Meglio regnare all’inferno piuttosto che servire in paradiso”.

Sconfitto dall’Arcangelo San Michele al grido tremendo “Quis ut Deus?” (“Chi è come Dio?”), Satana ha iniziato ad ingaggiare una estenuante lotta che mira a intralciare i piani di salvezza dell’Onnipotente strappandogli più anime possibili. In che modo? Irretendo l’uomo con un falso miraggio di libertà, spingendolo a credere che Dio è solo un fardello inutile, un giudice severo, uno spettatore indifferente di fronte al dolore del mondo, un sadico legislatore che gode nel vedere l’uomo affrontare le proprie fragilità. Geniale, a tal proposito, il monologo del protagonista dell’ottimo film “L’Avvocato del Diavolo” (1997), magistralmente interpretato da Al Pacino, che, guarda caso, si chiama John Milton: “A Dio piace guardare, è un guardone giocherellone, riflettici un po’… Lui dà all’uomo gli istinti. Ti concede questo straordinario dono e poi che cosa fa? Te lo giuro che lo fa per il suo puro divertimento… Per farsi il suo bravo, cosmico spot pubblicitario del film. Fissa le regole in contraddizione, una stronzata universale. Guarda ma non toccare, tocca ma non gustare, gusta ma non inghiottire. E mentre tu saltelli da un piede all’ altro lui che cosa fa? Se ne sta lì a sbellicarsi dalle matte risate! Perché è un moralista! È un gran sadico! È un padrone assenteista, ecco che cos’è! E uno dovrebbe adorarlo?! No, mai!”.

Satana, in fondo, è il più grande illusionista della storia, perché fa credere all’uomo non solo di poter fare a meno del Creatore, ma addirittura di prenderne il posto. Ad Adamo ed Eva insinua l’idea che Dio voglia negar loro la libertà e li invita a mangiare di quel frutto dell’albero che aprirà loro gli occhi permettendo di scegliere, in autonomia, ciò che è bene e ciò che male. L’intento di Satana è che l’uomo rifiuti la propria creaturalità, cioè quella relazione vitale con Dio che consente all’uomo di sapere chi è, dove sta andando, qual è il fine della propria esistenza. L’albero proibito, in fondo, rappresenta il limite da non oltrepassare, il confine tra il senso e il non senso, tra l’onnipotenza distruttiva e la comunione che edifica, tra armonia e bellezza e caos e orrore, tra la relazione che umanizza e la solitudine che tormenta. Dopo il fattaccio Adamo si ritrova “nudo”, cioè fragile, vulnerabile, solo.

Paradigmatico è anche l’episodio della Torre di Babele, al capitolo 11 della Genesi: il peccato originale dei progenitori reinterpretato a livello comunitario, il primo grande peccato sociale. In questo caso, infatti, c’è addirittura un popolo che si mette d’accordo nel voler conquistare il Cielo, nel voler scalzare Dio dal suo trono di gloria. Questa frenesia collettiva che rifiuta il limite porta, alla fine, all’incomunicabilità, all’incomprensione e quindi al conflitto. Dove imperversa Satana domina la solitudine e il caos.

Questa pretesa assurda è assai presente anche nei miti pagani: la tracotanza degli uomini che fa credere loro di poter competere con gli dei dell’Olimpo è chiamata da greci hybris. Pecca di superbia Icaro che con le sue ali di cera si spinge troppo in alto verso il sole, o, come ci racconta Dante nel XXVI canto dell’inferno, Ulisse che, per sete di conoscenza, si ostina nel voler superare le colonne d’Ercole.

Quanti progetti, quanti sforzi, quanta superbia! L’uomo che ha preteso di diventare Dio ha solo seminato violenza, lacrime e dolore: le ideologie totalitarie del secolo scorso sono terribili testimoni di questa assurda presunzione, il relativismo narcisistico di oggi che sdogana senza ritegno il “suicidio assistito” o l’“aborto a fini eugenetici” è un’ulteriore prova di questa sostituzione!

L’uomo vuole realmente diventare come Dio? È Gesù stesso che gli insegna la strada, che gli apre le porte perché possa entrare in Paradiso e regnare. Nel Vangelo di questa domenica è racchiuso il segreto! In questi versetti del capitolo sesto di Luca, Cristo, infatti, ci offre, finalmente, l’albero proibito che nessuno può toccare, la torre altissima che arriva a conquistare il Cielo, le ali resistenti al calore fortissimo del sole, la nave capace di affrontare anche i flutti più perigliosi: la misericordia.

Vuoi essere come Dio, vuoi davvero essere padrone della tua esistenza, vuoi regnare? Ama! Ama senza misura, senza calcoli, senza pretese. Ama anche chi non ti ama, chi ti perseguita, chi ti sparla alle spalle, chi sobilla gli altri con di te. E non accontentarti di perdonare, ma lavora dentro di te perché la misericordia abbia sempre la meglio sul rancore, sull’odio, sul desiderio di prevalere sull’altro. Certo ci vuole allenamento, una forte ascesi interiore, una continua mortificazione del proprio io e soprattutto una solida vita spirituale perché un amore così è sovraumano, è divino, è dono del Cielo!

La misericordia è l’unica strada che ci permette di avvicinarci a Dio, di essere come Lui! È quell’albero “buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza” (Gn 3, 6).

 

 

Claudio Rasoli


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