Ecco quello che accadde a Cremona quel 4 novembre 1918 quando tacquero le armi
Erano le quattro del pomeriggio di quella domenica del 4 novembre 1918, quando le armi tacquero definitivamente. L'armistizio a Villa Giusti che poneva fine alla prima guerra mondiale era stato firmato, in realtà, il giorno prima con la clausola che sarebbe entrato in vigore 24 ore dopo, alle 15. La notizia era però attesa dalla fine di ottobre e, quando finalmente arrivò, finestre e balconi di Cremona si tappezzarono di tricolori e la gente scese in piazza applaudendo e gridando di gioia. Una festa del tutto spontanea cui sarebbe seguita, il giorno dopo, una manifestazione più organizzata. Sin dalle prime ore di lunedì mattina le bandiere si erano moltiplicate alle finestre e regnava nelle strade un'animazione insolita. Un gruppo di studenti, riunitosi al mattino all'uscita dalle scuole sull'angolo di via Cavallotti, stabilì di rinnovare le manifestazioni di giubilo del giorno precedente e verso mezzogiorno gli attacchini comunali iniziarono a tappezzare i riquadri delle affissioni con manifesti tricolori che invitavano i cittadini “che si sentono veramente italiani” a trovarsi alle 16 ai giardini di piazza Roma. Altri manifesti, invece, recavano motti e frasi che inneggiavano ai martiri uccisi dagli austriaci ed alle città redente, al re e al duce, come era stato definito Vittorio Emanuele III in qualità di capo supremo delle forze armate ed ancora nel bollettino della Vittoria. Manifestini che invitavano a partecipare alla manifestazione venivano distribuiti sui tram e nelle vie.
Sin dalle 14 i corsi principali della città sono affollati, operai ed operaie avevano lasciato il lavoro ed indossato gli abiti della festa, con coccarde tricolori bene in evidenza sugli occhielli e sul busto: si formano crocchi, si improvvisano canti. Gli studenti, che hanno ottenuto la chiusura pomeridiana delle scuole, arrivano con le bandiere nazionali e con quelle di Trento e Trieste. Tutti i negozi abbassano le saracinesche, dove vengono appesi cartelli con scritto “Per giubilo nazionale”. Si fermano i tram, completamente imbandierati, chiudono tutti gli uffici pubblici e privati ed, improvviso, giunge il suono a festa della campana maggiore del Torrazzo e scoppia il boato della folla. Alle 16,30 risuonano le note della marcia reale, che la gente ascolta a capo scoperto, prima di esplodere con un fragoroso applauso e grida di gioia. Al balcone del palazzo del bar “Aquarium”, all'angolo tra corso Mazzini e via Solferino davanti al Credito Commerciale, si affaccia l'avvocato Piazza che con voce commossa pronuncia un inno alla patria “che oggi gioisce perchè vede due nuove gemme brillare sulla sua corona: al re soldato, al Duce supremo che ha saputo condurre i suoi eroi alla vittoria”. Termina con un'acclamazione all'Italia e ai suoi soldati, prima di scomparire dal balcone e poi tornare sventolando un foglietto con il bollettino della vittoria firmato da Armando Diaz, che legge in un silenzio religioso: “La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d'Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.
Il tono enfatico del bollettino porta l'entusiasmo al parossismo, mentre la banda intona gli inni delle nazioni alleate. Da un balcone del palazzo del bar Roma si affaccia allora la professoressa Ida Ghisalberti, che recita anch'essa un'orazione alla patria, interrotta frequentemente dagli scroscianti applausi del pubblico.
Poi il grande fiume di gente si riversa su corso Campi e corso Garibaldi. “Per dare un'idea del corteo - osserva il cronista – diremo che quando la testa giunge al monumento a Garibaldi, la coda era ancora innanzi alla chiesa di S. Agata! Da gran tempo Cremona non aveva visto tanta letizia, tanta folla percorre le sue vie, e non è esagerazione affermare che non meno di cinquemila persone hanno partecipato alla manifestazione”.
La folla, accompagnata da una selva di bandiere, si dispone sul piazzale davanti alla stazione intorno al monumento di Giuseppe Garibaldi. Sul monumento salgono con le loro piccole bandiere i Giovani Esploratori. Poi sul piedistallo, pregato dagli organizzatori, sale anche Alfonso Mandelli, il vecchio garibaldino, accolto da un grande applauso. Nel suo accorato discorso spiega come lo spirito di Garibaldi esulterà in questa giornata, vedendo la conclusione delle guerre risorgimentali da lui iniziate. Cremona, dove vi è ancora un gruppo di reduci dei Mille, ha dato un pesantissimo contributo alle battaglie garibaldine, e Mandelli ricorda con le parole di Carducci la commemorazione dell'eroe dei due mondi: “Nella luce rosea dell'aurora, un'ombra comparirà sulle montagne, e indicherà al Re d'Italia che non ancora tutta l'Italia è libera”. Un invito a a cui ha risposto il re Vittorio Emanuele III “il re eroico, il re soldato”, così che oggi Trento e Trieste italiane non sono più un sogno ma “una palpitante realtà. Io, vecchio garibaldino, mi sento commosso innanzi a tanta gioventù plaudente, innanzi a tanta gioventù festante; sì, esultate: il nostro grande sogno si è avverato! Viva l'Italia, viva il re!”. Un lungo, scrosciante applauso accoglie la fine appassionata del discorso, mentre la banda intona l'Inno di Garibaldi.
Il corteo si dirige allora in via Palestro, sotto la casa dell'onorevole Guido Miglioli, colpevole di essere stato risolutamente contrario all’intervento in guerra, esponendosi ai violenti attacchi degli interventisti cattolici e a minacce e aggressioni da parte dei nazionalisti. Dalla folla si alzano grida di “abbasso Miglioli”, “abbasso i disfattisti” e fischi acuti. Poi ci si sposta nuovamente verso l'Orfanotrofio femminile ed il Passeggio, davanti ai fabbricati adibiti ad ospedale dei soldati britannici e si acclama all'Inghilterra ed agli alleati, mentre risuonano le note di “God save the Queen”. La marcia reale risuona nuovamente davanti all'Ospedale Ugolani Dati, dove sono ricoverati i feriti dell'esercito italiano, poi da corso Campi, attraverso via Curzia la folla, ingrossata da altri soldati festanti, si porta in piazza del Comune disponendosi ai piedi dell'arengario. Parla per primo il commendator Grasselli Barni, che inneggia alla vittoria “miracolosa” dell'esercito italiano. Poi, chiamato a gran voce dalla folla, prende la parola Roberto Farinacci, che, nonostante i suoi slanci interventisti, allo scoppio della guerra era stato esonerato dal servizio militare poiché le ferrovie non intendevano sguarnire il personale, e solo nel 1916 era riuscito a farsi assegnare come volontario al fronte fino al marzo del 1917 quando, a causa di una legge che richiamava in servizio il personale delle Ferrovie, era tornato a fare il capostazione a Cremona. Farinacci ricorda la scelta fatta dai socialisti riformisti del 1915 a favore dell'intervento in guerra contro l'Austria, marchia a fuoco i disfattisti e conclude il suo intervento al grido di “Via l'Italia, viva l'esercito”.
Finiti i discorsi la folla, sempre accompagnata da una selva di bandiere, attraverso piazza Roma arriva in via Cesare Battisti, di fronte alla Banca Popolare, dove ha sede l'Associazione fra i mutilati e gli invalidi di guerra. Viene invitato a parlare il ragionier Mombelli, in rappresentanza dei mutilati, ma è talmente commosso che riesce a spiaccicare solo poche parole di saluto e di augurio, accolte da fragorosi applausi- Sono le 18,30 quando la manifestazione si scioglie.
Alla sera si tiene una fiaccolata degli studenti, a cui ben presto si uniscono alcuni soldati che, cantando inni militari, si avviano verso la Prefettura in corso Vittorio Emanuele. Viene chiamato a gran voce il Prefetto che si affaccia al balcone e improvvisa un discorso ispirato “plaudente ai soldati che hanno compiuto da eroi il loro dovere e ringraziando i giovani che aveva dimostrato di comprendere tutti i sacrifici compiuti dai loro fratelli al fronte, ed incitò a voler perseverare in tali sentimenti nobilissimi”. La comitiva si trasferisce poi davanti alla caserma Manfredini e presso il Distretto militare di via Colletta, illuminato a festa. L'ultima tappa della giornata è ancora sotto le finestre di Guido Miglioli, con un nuovo lancio di fischi ed urla. Poi alle 22 tutti a casa. La giornata della vittoria è finita.
Nella generale euforia del momento c'è spazio anche per un'aspra polemica che oppone, come quattro anni prima, le forze interventiste, che raccolgono ora esponenti democratici e repubblicani, radicali e socialisti riformisti, radicati sostanzialmente nella buona borghesia cittadina, alla giunta comunale, guidata dal primo sindaco socialista Attilio Botti, proveniente dalla corrente neutralista, sostenuta dal pacifismo cattolico di base operaia e contadina. All'indomani della celebrazione della vittoria la giunta pubblica un manifesto in cui invita i cittadini a “sentire il dovere di dare il maggior aiuto possibile ai fratelli redenti che nella guerra hanno sofferto tutti i disagi, tutti gli orrori. L'appello della Civica Rappresentanza si rivolge specialmente ai negozianti di tessuti, ai ricchi, ai possessori di indumenti, di cibi in scatola, di tutto quanto insomma può essere facilmente e rapidamente trasmesso”. Ce n'è abbastanza per dare fuoco alle polveri e riaccendere la polemica contro i “disfattisti”, portata avanti da “La Squilla”, il settimanale interventista in cui aveva fatto le prime prove il giovane di Farinacci, a cui si accoda ora anche “La Provincia”, che scrive: “I cremonesi avrebbero certo fatto il loro dovere anche senza l'appello del signor Sindaco, come l'hanno fatto sempre e largamente da quattro anni con varietà d'iniziative, con slancio di generosità, con tenace abnegazione, mentre invece il signor Sindaco si divertiva a firmare dei libelli villani e sconvenienti contro le iniziative stesse, quali il non dimenticato e non dimenticabile contro ricorso al Consiglio di Stato nella vertenza all'Associazione dei proprietari di case e terreni, in cui le benefiche iniziative sorte nella cittadinanza per i molteplici bisogni della guerra, i comitati e gli istituti e le stesse persone che li componevano erano gratuitamente scherniti e vilipesi”. Il riferimento è ad uno dei provvedimenti più impopolari della giunta Botti, una tassa di carattere progressivo sul valore locativo degli immobili introdotta alla fine del primo anno di guerra ed a una nuova tassa di famiglia nel maggio 1916, finalizzate a far gravare il peso dello sforzo contributivo sulle classi di reddito più elevate per finanziare gli interventi destinati a mitigare il disagio sociale più acuto, aggravato dalla guerra. Provvedimenti mal digeriti dalle classi sociali più abbienti. “La amministrazione socialista ufficiale -a aggiunge “La Provincia” - stampa nel suo manifesto che oggi è giorno «in cui il cuore di ogni italiano esulta per le raggiunte aspirazioni». Anche, dunque, il cuore del signor Sindaco o quello degli assessori del Comune avevano le aspirazioni che oggi ha potuto raggiungere il valore eroico dei nostri soldati, sostenuto dal mirabile esempio di fede e di costanza del paese? Molto bene. Ma meglio assai era dirlo quando queste aspirazioni, purtroppo, erano ancora lontane! Meglio assai era dirlo quando la speranza di raggiungerle era stata così angosciosamente offuscata dal tentativo parricida di chi – del colore stesso del signor Sindaco e degli assessori, e dello stesso pensiero fino a meno d'un mese fa sull'ordine del giorno del Congresso del partito di Roma – di chi, diciamo, ci diede Caporetto”.
Ancora più aspro e violento l'attacco portato dalla Lega Patriottica, dove Farinacci propone un suo ordine del giorno, approvato dall'assemblea, che invita i soci della Lega patriottica Ferrari e Lanfranchi a dimettersi dalla carica di consiglieri comunali per far sciogliere l'intero consiglio e “togliere di mezzo i bolscevichi che imperano a palazzo”. Nel clima infuocato del dopoguerra maturano gli eventi che, un anno dopo, avrebbero portato a Cremona la costituzione del Fascio di combattimento, l'11 agosto 1919.
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commenti
michele de crecchio
13 novembre 2022 23:20
Tutte cose che non conoscevo e per le quali ringrazio Loffi e Cremonasera. Di mio posso solo aggiungere che Farinacci, al quale la funzione di ferroviere presso la stazione di Malagnino aveva di fatto risparmiato (non saprei dire con quanta effettiva soddisfazione dell'interessato) gran parte del servizio militare proprio durante il periodo bellico, fu dileggiato dalla stampa satirica di sinistra con il soprannome di "onorevole tettoia". La pur piccola stazione di Villetta-Malagnino era, in effetti, allora dotata di una "tettoia" per il carico e scarico delle merci.