16 dicembre 2025

Fede e scienza: l’eredità di don Agostino Cantoni

Il coraggio di inoltrarsi in sentieri nuovi, oltre “la stanca ripetizione della Scrittura e dei dogmi”, anche a costo di “scostarsi dall’ortodossia cattolica, o, meglio, da quanto in una certa fase storica è considerato ortodosso dalla Chiesa”.
Il coraggio di trasporre i “dogmi cristiani” in una “visione dinamica del mondo” superando la schizofrenia tra il “dato della fede” e “le acquisizioni del pensiero contemporaneo”.

Il coraggio di “ridire il Cristianesimo con un linguaggio e con un apparato concettuale capace di parlare all’uomo contemporaneo, figlio della rivoluzione scientifica, dell’illuminismo, di una cosmologia non più geocentrica, di una psicologia che ha scardinato una certa visione della coscienza, di una fisica e di una biologia che hanno spalancato scenari inediti sulla vita e sul cosmo”.

Un coraggio che don Agostino Cantoni - quale emerge dal bel libro di Romano Dasti, Un prete innamorato. Don Agostino Cantoni 1925-2008 (Centro Ricerca Alfredo Galmozzi, 2025) - ha dimostrato alla grande.
È stato Teilhard de Chardin - paleontologo, teologo, filosofo nonché poeta - che l’ha folgorato... sulla via di Damasco? Sembra proprio di sì: è stato lo scienziato/teologo francese che gli ha instillato l’urgenza di ripensare la teologia alla luce dei risultati scientifici. Uno studioso in odore di eresia il “gesuita proibito”? Sì. Di sicuro era pericoloso agli occhi dei custodi del tempo dell’ortodossia: pericolosa era l’idea di un Dio non più concepito come “trascendente”, ma “immanente”, non più inteso come un Ente che “è” (dall’eternità) ma che “diventa”, non più percepito come l’Alfa dell’universo, ma come l’Omega, il punto verso il quale l’evoluzione si dirige.

Una concezione, quella di Teilhard de Chardin, che metteva radicalmente in crisi l’intera dottrina cristiana come era stata codificata in primis dal “credo” di Nicea.
Una concezione che, arricchita da ulteriori ricerche scientifiche, è diventata quello che oggi viene definito “post-teismo (o trans-teismo), vale a dire una teologia che lascia alle spalle il Dio della tradizione (una lettura del cristianesimo che fa riferimento, in Italia, tra gli altri, a un altro gesuita, Paolo Gamberini che, col suo Deus due punto zero, ne ha posto le basi teoriche).

Il post-teismo è “destinato a diventare la grande via percorribile da tutti coloro che desiderano dare un futuro al Cristianesimo”, una vera e propria “offerta di futuro” al Cristianesimo perché lo libera dalle obsolete categorie culturali (geocentrismo, antropocentrismo, dualismo materia/spirito...) che hanno a lungo offuscato l’autentico volto di Dio o, meglio, che hanno rivestito di caratteri “umani” il “Mistero” che è Dio? È questa la teologia rinnovata auspicata da don Agostino Cantoni, la sua riscrittura dei dogmi con un linguaggio moderno, una teologia che, senza ridursi a sapere scientifico, tuttavia non può prescindere da esso?

È questo il cristianesimo purificato dalle incrostazioni che nel tempo hanno deturpato l’immagine di Dio? Ma... che cosa rimarrebbe del cuore del Cristianesimo una volta fosse bandito il soprannaturale? Che cosa rimarrebbe senza l’incarnazione di Dio (giudicato “un concetto fallimentare”) e, a maggior ragione, senza la risurrezione considerata da sempre il fulcro stesso del cristianesimo?
Davvero rimarrebbe “quasi tutto”? Rimarrebbe quasi tutto se concepiamo Dio come “l’umano portato alle estreme conseguenze”, come “la stoffa” di cui è costituito ogni uomo che ha, appunto in sé, “la sua autentica natura divina” da portare a compimento?

“Il più micidiale dei bombardamenti”

Rimarrebbe “quasi tutto” anche in seguito alla “tempesta critica che [...] ha sottoposto alle Sacre Scritture il più micidiale dei bombardamenti”?
Non sconcerta leggere che il primo racconto della creazione è una sorta di “parabola orientale che sicuramente ha rubato dalle culture di Assiri, babilonesi, Egiziani” e che il secondo è una costruzione letteraria finalizzata a rispondere all’esigenza di dimostrare che il Dio del popolo ebraico era più potente degli altri dèi perché a lui bastava una parola per creare?

Non sconcerta leggere che il monoteismo è stato imposto da un re per ragioni “politiche”, che i patriarchi sono “un’invenzione” avente come scopo quello di ottenere “un mito di fondazione pertinente ed autorevole”, che il re Davide e il figlio Salomone altro non erano che il frutto di “una propaganda politica” e che l’idea di Dio/Padre era “diffusa in tutto il Medio Oriente antico”?

Non sconcerta leggere che di nessuna parola dei Vangeli possiamo dire “con certezza che Gesù l’abbia detta un tempo così e non altrimenti”, che il vangelo di Marco è “un immenso capolavoro letterario e teologico”, che “i testi del Nuovo Testamento sono stati costruiti proprio per dimostrare l’adempimento delle scritture ebraiche in Gesù, che molti racconti evangelici altro non sono che il frutto della devozione popolare (non c’è mai stato, ad esempio, nessun massacro di bambini ad opera di Erode)?

Non sconcerta leggere che la verginità della Madonna è solo “una credenza che si inserisce [...] come momento di maturazione della fede dei primi cristiani che retrodatavano sempre di più la figliolanza divina di Gesù Cristo e che il racconto dei discepoli di Emmaus è “una felice creazione lucana” che non ha nulla a che vedere con una “visione sensibile” o con una “visione interiore”, ma solo con “riconoscimento di una presenza attiva con gli occhi della fede”, una visione del tutto simile a quelle percepite da figure bibliche quali Mosè e Abramo”?

L’“incarnazione”

Siamo di fronte a un cambiamento radicale di paradigma, a una rivoluzione culturale che spazza via tutto il “sacro” in cui per duemila anni i cristiani hanno creduto. Non è un caso che l’apologeta cattolico Vittorio Messori parli di una vera e propria bomba atomica che sta “distruggendo l’intera costruzione del cristianesimo”, come non è un caso che papa Ratzinger abbia attaccato con forza quegli accademici che non si preoccupano dei pericoli “per le anime” che la loro ricerca può provocare e lancia un appello ai “professori” perché leggano le Sacre Scritture anche alla luce della “viva tradizione di tutta la Chiesa”.

La sensazione è che ci troviamo in presenza di due mondi difficilmente comunicabili: da un lato i custodi della tradizione, dall’altro i liberi ricercatori che, pur cattolici, approfittando del clima di libertà che si è imposto nella Chiesa (nessuno più censura nessuno), non hanno alcuna remora ad applicare alla Sacre Scritture una metodologia “scientifica” valevole per qualsiasi altro testo storico, anche a costo di provocare dubbi sulla fede stessa.

Ci troviamo, inoltre, ancora una volta, di fronte alla “doppia verità”: la verità per i dotti (per chi ha gli strumenti raffinati per andare oltre la lettura letterale della Bibbia) e la verità per il volgo (che crede alla narrazione della tradizione considerata da non pochi esegeti cattolici priva di fondamento storico).
Don Agostino Cantoni, avendo studiato a fondo le opere (direttamente in francese) di Teilhard de Chardin ed essendo al corrente delle nuove vie che stavano battendo alcuni biblisti cattolici (che applicavano il tanto discusso, allora, metodo storico-critico), era perfettamente a conoscenza della situazione estremamente critica in cui versava la Chiesa, bersagliata com’era sia dai teologi che si proponevano di coniugare fede e scienza che dai nuovi biblisti e proprio per questo auspicava una riscrittura del cristianesimo alla luce del pensiero contemporaneo.

A un certo punto, tuttavia, la svolta: la scelta di abbandonare ogni tipo di speculazione dottrinale (forse la considerava del tutto improduttiva: chi mai del Mistero può dire qualcosa con certezza?) per sperimentare in concreto, con la comunità a lui affidata dall’autorità diocesana, una rinnovata “teologia vissuta”; la scelta di scrollarsi di dosso la figura dello studioso per diventare un “prete innamorato”.

Di qui la centralità della causa degli ultimi, dei più fragili, degli emarginati, dei disperati..., della revisione di vita, della conversione, dell’amore “incarnato” (non solo predicato) e incarnato dall’intera comunità.
Una scelta probabilmente ben ponderata, quella più “feconda”, più piena: la scelta alternativa non l’avrebbe isolato di fatto dalla sua comunità e magari non l’avrebbe esposto al sospetto, anche lui, come Teilhard de Chardin, di essere in odore di eresia?

Una scelta che coincide di fatto col “quasi tutto” che rimane, secondo il post-teismo, dopo la purificazione, pur traumatica, del cristianesimo: schierarsi “dalla parte di quel pazzo esagitato”, di quel “carpentiere che per amore si fece sovversivo”.
Una figura straordinaria, dalle capacità carismatiche, quella di don Agostino Cantoni, che ha saputo scendere dalla torre d’avorio dello studioso per condividere con i fratelli (tutti) della sua comunità un “amore” troppo spesso solo predicato e troppo spesso tradito.

Una figura che ci interroga ancora: interroga i cristiani sulla loro lealtà al messaggio radicale di Cristo; interroga i cattolici impegnati in politica col suo monito di anteporre sempre la solidarietà all’individualismo, la ricerca della verità alla sconfitta dell’avversario, la libertà effettiva a quella ipocrita; interroga i non credenti “pensanti” (don Agostino Cantoni è stato un punto di riferimento autorevole anche per molti di questi) perché ricerchino il tanto (ampia la gamma di valori) che li unisce ai credenti “pensanti” e si schierino insieme a fianco degli “ultimi” contro le troppe ingiustizie sociali che ancora permangono.

Con realismo, certo, ma senza “smettere mai di essere radicali, di pensare che il mondo vada cambiato”, senza mai arrendersi alla dottrina della inevitabilità della guerra perché questa non è che “un sacrilegio, che

fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra, la vita umana, l’innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato”.

Piero Carelli


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