8 settembre 2025

Il mio 8 settembre alla “Manfredini”. Una squadra di calcio per dimenticare. Poi la fuga tra i partigiani inVal di Susa

Ecco quel che accadde alla Manfredini l'8 settembre del 1943 nella testimonianza di Enrico "Kiro" Fogliazza pubblicata nel settembre 2010 sul quotidiano "La Cronaca".

Nel 1942 ero alla Caserma Manfredini come recluta, favorito nella scelta della località in quanto doveva sposarmi con la mia ragazza incinta. Grossi e grandi problemi per ragazzi ventenni ignari della vita, e soprattutto durante un periodo di guerra. Parlare di aborto era una bestemmia, un reato grave condannato dallo Stato e soprattutto dalla Chiesa sovrana. Sposarsi senza possedere niente, altri tre fratelli alle armi, genitori poveri, poveri. Mio padre, bergamino, unico sostegno con altri quattro figli minorenni a carico. Che fare! Ci siam sposati con le prospettive più incerte. Era pure un giorno di pioggia ed in bicicletta giunsi dalla sposa con il finale in cascina, raggiunto a piedi da Cremona a S. Savino, per il pranzo di nozze. Senza entusiasmi ma con tante preoccupazioni. Dove passare la notte? La sorella, con il marito militare, viene ospitata dalla suocera, per lasciare a noi il suo letto. Non ho potuto che assistere a una notte di pianto. Lo sposino viveva militare, la sposina nelle casa di due stanze, orfana di padre e madre, con altri cinque fratelli dei quali tre militari, uno disoccupato. La mia posizione di impiegato alla Banca Popolare, ove venni considerato “richiamato”, mi garantì lo stipendio. Sarebbe stato un salvataggio completo, se si avesse avuto almeno un letto, una casa dove collocare la moglie e il nascituro. I tre cuori senza capanna infatti rimasero divisi sino al 25 aprile 1945.

Tra questo groviglio di problemi, la sera rientravo in caserma dalla libera uscita fuori orario. Spesso finivo in camera di rigore su tavolaccio e senza coperte . Ebbi la fortuna di conoscere il Capitano Nava di Cremona che, conoscendo la nostra situazione, qualche volta riusciva a lenire le punizioni. Vi erano Valli, Virginio Mori, il sergentino di ferro Sanclementi, tipografo di vicolo San Tommaso, che dagli uffici del Comando non mi facevano mancare qualche segno di solidarietà.

Tra le marce di addestramento, il campo a Clusone, i viaggi sul trenino Clusone–Bergamo-Cremona per seguire la gravidanza, noi militari avevamo creato una squadretta di calcio composta da Dernini portiere della Cremonese, Bonaglia ala destra della Casalese, Marchi terzino del Cantù, Marabotti Vlady della squadra dell’oratorio di S. Imerio, Bianchi dell’Ostiano, la cui attività “agonistica” mi aiutava in parte a superare i particolari stati d’animo che gli amici capivano e mi aiutavano, come Ercole Bertoli che dalla casa dalla casa di Brazzuoli di Pozzaglio mi portava del buon miele per la futura mamma.

Finito il campo di addestramento venimmo trasferiti a Casalbuttano nella filanda Jacini, in un distaccamento di complemento del 3 regg.to artiglieria di C.A. della Caserma Manfredini: qui conobbi tra gli altri il sergente Aldo Protti, non ancora baritono famoso ma già cantante che ci divertiva con i suoi canti durante la libera uscita alla osteria della Pinuccia. Da ragazzo allegro diventava una peste quando era sergente di giornata: urla, brande rovesciate alla sveglia, poi marce stressanti, punizioni senza criterio. Se capitava che qualcuno criticasse la guerra o il duce, si era alla intemperanza impossibile. Fascista convinto, fanatico, farinacciano si oppose all’armistizio dell’8 settembre 1943. Il suo “Foglio Matricolare “ conferma il suo comportamento. Sarà uno dei primi ad iscriversi al partito fascista repub- blichino dopo l’8 settembre 1943.

Il mio 8 settembre quindi ero a Casalbuttano all’ufficio maggiorità. Durante una breve assenza del maggiore comandante, telefonai al collega di servizio a Soresina. Mi comunicava, preoccupato e piangente, che i tedeschi con i carri armati erano giunti in zona e portavano via tutti i giovani. Andai di corsa nelle camerate della filanda dove vi erano i militari sbigottiti che non sapevano che fare, tra l’ordine che bisognava sparare contro chi volesse occupare il territorio, o fuggire, tenendo conto che l’arma in possesso consisteva nel fucile 91, che non sarebbe servito a niente contro i tedeschi coi carri armati. Riferii quel che mi era stato detto e tirai la mia conclusione: “io me ne vado e scappo subito”. E scappai con vestiti borghesi e bicicletta, ai quali avevo da tempo provveduto, ed assieme a Ninetto Bonvicini di Cremona e Walter Bonaglia di Casalmaggiore prendemmo le stradicciole del naviglio civico e giunti al Migliaro per via Capezzagne giungemmo a Gazzuolo S. Savi- no, tra le preoccupazioni dei famigliari e di tutti. Ci siamo sistemati nel migliore dei modi sui fienili. Ci raggiunse, nel pomeriggio, Carletto Mazzolari di Casalbuttano, della squadra di calcio avversaria, per avvisarmi che il Capitano La Civita del comando mi cercava con la pistola in pugno per arrestarmi per alto tradimento. Dopo qualche mese ero in valle di Susa tra i partigiani. Eravamo oltre 130 cremonesi ammassati alla Frassa di Favella, l’uno all’insaputa dell’altro con grande meraviglia, e stupiti di trovarsi così tanti e nello stesso posto.

Eravamo stati reclutati dal gen. Giuseppe Perotti del Comando partigiano Piemontese, tramite Pola Ghilardotti, operaio cremonese in fabbrica a Rivoli, con rapporti di attività con la Resistenza cremonese, per organizzare azioni di sabotaggio sulla linea ferroviaria Torino-Modane molto utile ai tedeschi. Durante questa operazione il Comando Partigiano Piemontese venne arrestato il 5 aprile 44 e furono tutti fucilati al Martinetto. Farinacci in coordinamento con le truppe tedesche dislocate ad Avigliana organizzava per lo più rastrellamenti. Venuto in possesso degli elenchi dei nostri nomi dal servizio di spionaggio, passò subito all’azione coinvolgendovi la Leonessa di Brescia, le SS italiane e la GNR. Il rastrellamento programmato era per il 2 luglio, così come avvenne ci viene descritto nel libro di Corbatti e Nava sulla storia della SS italiana, col risultato vhe 26 ragazzi di 18-20 anni, disarmati ed affamati, vennero catturati e giustiziati barbaramente al Col del Lys.

Grandi scontri, grandi rastrellamenti (circa 40) 15 cremonesi morti, 2024 i partigiani uccisi nelle sole 4 valli di Susa, Sangone, Chisone e Lanzo. Le formazioni fasciste non avevano perso tempo. Avevano saputo utilizzare bene i dieci mesi di permanenza ad Avigliana, dal 10 luglio 44 al 28 aprile 45.

Ritornai come ANPI alla Caserma Manfredini il 25 aprile 2007 per festeggiare e ricordare, invitato dal Colonnello comandante, le fasi della “Resistenza” ai Militari, ai sott’Ufficiali ed Ufficiali ospiti della caserma. Vi ritornai l’8 settembre e il successivo 25 aprile con il Sindaco e le autorità civili ad una manifestazione in omaggio del Ten. Flores morto l’8 settembre 1943 a difesa della caserma dagli assalti dei tedeschi. Sono stati tra i giorni migliori della mia vita politica.

Prima di chiudere la “Manfredini” ricordiamo che è stata di esempio per una politica di unità e amicizia tra il Popolo e i Militari di quella stessa Patria.

Nella foto la squadra di calcio della Caserma Manfredini nel 1943. Il primo a destra in seconda fila è Enrico “Kiro” Fogliazza

Già artigliere della “Manfredini”

Enrico Kiro Fogliazza


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