12 novembre 2022

Quelle donne socialiste cremonesi che la storia non ricorda

 […] caduto il fascismo venne l’epoca dei comizi, ne ricordo tantissimi. Alla fine degli anni quaranta passò da Cremona anche Angelica Balabanof, la social democratica russa amica di Lenin, con il quale fu poi politicamente in disaccordo. La ricordo già vecchia e un tantino incurvata. Si raccontava che avesse avuto una storia anche con Mussolini. Parlò al teatro “Filodrammatici”, presentata da Francesco  Guzzini, che parlando arrotava la “erre” come i francesi e fu vice direttore del settimanale Avvenire, organo del Fronte della Gioventù dei partigiani e dei reduci, quando il direttore ne era Fiorino Soldi. Lo conobbi al Partito Socialista Italiano, prima che se ne andasse, seguendo una delle tante scissioni che periodicamente svuotavano il partito. Sul giornale dei socialisti cremonesi “Eco del Popolo”, Emilio Zanoni dedicò all’oratrice un articoletto feroce, titolandolo La befana balabanova.

Tutti gli anni, il 20 settembre la sarta insieme ad altre donne del movimento femminile socialista, portava fiori alla lapide che ricorda “Giacomo Pagliari ucciso a Porta Pia nel combattimento che fu ultimo ad atterrare una dominazione sacerdotale non voluta da Cristo e dalla storia”.

Voglio ricordarne alcune di quelle donne, oscure e dimenticate militanti nel Partito Socialista Italiano quando il  simbolo era la falce ed il martello appoggiati su di un libro aperto e, nello sfondo, il sol dell'avvenire, delle quali nessuna storia del socialismo parlerà mai.

Saffo Serafini, maestra elementare, romagnola mangia preti con nonno “garibaldino, difensore della Repubblica Romana, ferito da piombo papalino” come sembra recitasse il cenotaffio. . Il pensiero della compagna Saffo Serafini affondava nel repubblicanesimo mazziniano, seguiva le teorie educative riconducibili a Francisco Ferrer, fondatore della “Escuela Moderna”. Saffo fu la prima a parlarmene. Francisco Ferrer fu giustiziato nel 1909, non gli venne perdonato il suo ribellarsi, in campo educativo, al predominio della chiesa spagnola.

Dirce Sala, maestra elementare, incubo di diverse generazioni di scolari, crocerossina volontaria al fronte nella guerra 1915-18, bissolatiana e anticomunista feroce ma attiva collaboratrice con loro nel Movimento dei Partigiani della Pace.

Giocasta Anselmi Malinverno, maestra elementare, figlia dello scultore Adamo che portava la cravatta alla Levalier e scolpì i monumenti a Ferruccio Ghinaglia ed Attilio Boldori, oltre a belle figure femminili. (“Ha riempito il cimitero di donne nude” era il rimprovero della sarta.)

Lina Canesi Manfredi, animatrice della Cooperativa Artigiana Femminile. 

Valeria Morandi Tajé, veniva da Torricella del Pizzo con la “littorina” delle tranvie provinciali, i binari correvano a lato della via Giuseppina. Dopo la deposizione dei fiori non mancava di dire, scuotendo leggermente il capo come a volere sottolineare il rimpianto per la morte dell’eroe, i primi versi del Cinque Maggio: “Ei fu. Siccome immobile, / dato il mortal sospiro”. In anni successivi, nella sua casa, incorniciate, teneva appese ad un muro liriche d’amore – Cet amour, Dejeuner du matin, Pour toi mon amour – che una voce sparse per lei in un giorno d' autunno),  

Alba Camozzi, (forse operaia all’A.T.A.-Pirelli), con Pietro Giazzi (Gip) e Cabrini il socialista che proveniva dall’Azione Cattolica. Morì giovanissima, quando tornai da militare non c’era più. “Vieni con me” mi disse Alba quella sera, dopo la riunione nella cooperativa allora sotto i portici della frazione Gera, tenuta in preparazione della festa per l’otto marzo; Rita Scagliola Sterzati, moglie del musicista, Maria Lazzari, Luigina Antoniazzi, Adelia Larini, Emilietta Rossi, che abitava in via Carso, Adelina Maggi (figlia del calzolaio Dismo, uomo di profonda spiritualità e grande bestemmiatore, il pittore cremonese noto come “Cavour” gli aveva dedicato un graffito e alcuni versi pubblicandoli sul giornale umoristico-satirico cremonese Padus). Lei, la Adelina, si definiva socialista umanitaria,  prediligeva Ignazio Silone. Dal nome della protagonista di un bella canzone argentina, presi a chiamarla Adelita.

Angela Balzi, operaia alla Ceramica Gosi si salvò dalla silicosi, abitava alla cascina Carbonera sulla strada per Porcellasco. Io uscivo dall’adolescenza, lei aveva qualche anno in più. Dopo il lavoro veniva in bicicletta alla storica sede del Partito Socialista Italiano, in via Manzoni 2, dove si parlava di politica e non di affari. Poi, innamorato come solo può esserlo un adolescente o chi si sente portare via il tempo, a piedi, l’accompagnavo verso casa. Camminavamo affiancati percorrendo sempre le stesse strade, sfiorando i muri delle stesse case, lei spingeva la bicicletta con le mani camminando sul marciapiede al margine dell’acciottolato. All’osteria del Bersagliere, passato il ponte sul canale, giravamo a sinistra, per quello spazio, oggi irriconoscibile, che fu anche di Padre Cristoforo. Largo e sterrato si apriva fra il Cavo Cerca, che scorreva al fondo di una profonda fenditura sotto passando la via per Mantova, ed il più lontano colatore Pippia, entrambi scomparsi, come è scomparsa l’antica fornace per la cottura dei mattoni. Del primo monastero cremonese dei frati minori cappuccini rimane chissà ancora per quanto, un tratto di muro d’angolo e un tetto. Ci lasciavamo oltre i binari di via Persico, alla santella che esiste ancora, come esiste ancora, chiusa ed abbandonata in attesa di diventare un’altra cosa o di scomparire per sempre, la cascina Carbonera. La santella era piantata ai margini della via in luogo solitario in uno spazio d’erba calpestata e  vecchie foglie  scricchiolanti al passo, fra la strada e il fosso, toccata dai rami bassi dai platani giganti. A quel limitare arrivavo prostrato, soffocato dal pudore che in tutto quell’andare mi aveva impedito e ancora mi impediva di mettere nelle parole quel che sentivo. Una sera d’estate al momento di lasciarci, Angela improvvisamente mi abbracciò con un abbraccio che ricordo infinito, appoggiò la guancia alla mia dicendomi: “lo so che mi vuoi bene”. Fu la prima e unica volta, come uniche furono le parole affettuose di quella sera che lei solo disse e che io non riuscii a pronunciare. Poi, chissà il perché, ci perdemmo di vista. Mi rimane di Angela la sua immagine in una fotografia di gruppo, dove a malapena si intravede, fatta ad una manifestazione di partito, e il ricordo che indelebile conservo .

Ennio Serventi


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commenti


claudio

12 novembre 2022 20:47

...grazie Serventi per aver menzionato la Maestra Giocasta Anselmi Malinverno che insegnò negli anni cinquanta alla scuola Elementare Realdo Colombo e moglie del dott. Rodrigo Malinverno, altra figura di spicco di Cremona.

Michele de Crecchio

19 aprile 2024 00:05

Splendido racconto che avevo già letto anni or sono ma che oggi, più anziano, riesco ad apprezzare ancora di più. L'ottimo scultore Anselmi, padre di Giocasta, progettò per abitazione della figlia la bellissima "villa del ragno" che più il tempo passa, ancora più ammiro fare la sua splendida figura a lato meridionale del viale Po!