San Carlo Borromeo, i suoi legami cremonesi, la sagra sul Listone di Casalmaggiore e la reliquia di Zibello Polesine
Ha preso il via a Casalmaggiore, e prosegue fino al 4 novembre, la fiera di San Carlo, patrono del capoluogo casalasco e di tutta la Lombardia. Fiera che comprende numerosi eventi, tra cultura, arte, gastronomia: su tutti, all’oratorio “G.Maffei”, la sagra del Cotechino e del Blisgòn, un appuntamento che golosi e gourmet non possono certo farsi scappare. La ricorrenza di San Carlo, che cade il 4 novembre, lega per altro le terre rivierasche. Infatti è festa patronale anche a Polesine Zibello. Il piccolo comune emiliano, nato pochi anni fa da una discutibilissima e grottesca fusione tra i due ex comuni di Polesine Parmense e Zibello (cancellati con un colpo di mano due comuni da 1800 e 1500 abitanti per crearne uno di 3200, qualcuno ci dica cosa può essere mai cambiato) che, al netto dei proclami dei soliti noti e di svariati incravattati dal deretano piatto e pelato (leggasi politici tanto di destra quanto di sinistra passando per l’immancabile centro), ad oggi non ha portato beneficio alcuno e sembra avvolta dal mistero (o dal giallo?) la pioggia di fondi che sarebbero dovuti arrivare (sembra vietato chiedere dove siano finiti e, quando ci si prova arrivano singolari e curiose risposte in politichese, incomprensibili ai più, su tutte quella che sarebbero vincolati), ha scelto come proprio patrono San Carlo per i suoi legami storici proprio con le terre del Po. Decenni orsono, a Zibello, la festa patronale portava numerosi appuntamenti, il luna park per il divertimento dei bambini e tanto altro. Tutto questo non esiste più, è una delle tante tradizioni che un po’ ovunque si sono perse, lasciando magari spazio ad eventi discutibili importanti da altri lidi. Resiste, almeno quella e almeno per ora, la messa che sarà celebrata lunedì, 4 novembre, alle 11 e, per l’occasione (e questo è di certo rilevante) sarà esposta ancora una volta, in chiesa parrocchiale, una preziosa reliquia dello stesso santo, gelosamente custodita nella stessa parrocchia. La reliquia in questione riguarda un lembo della veste di san Carlo Borromeo, che non ha certo bisogno di gradi presentazioni. Nato nel 1538 e morto appena 46 anni più tardi, fu creato cardinale a 22 anni e resse la vastissima Arcidiocesi di Milano. Difese sempre i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti (che all’epoca, come noto, spadroneggiavano) e riportò l’ordine e la disciplina nei conventi. Fu direttamente impegnato, in prima persona, durante una epidemia di peste, nell’assistenza agli ammalati e la sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici al punto che Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Per quanto robusto, era sottoposto ad una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare e senza dormire, pregando e insegnando. Fino all'ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo semplice ma chiarissimo motto: Humilitas.
Morì il 3 novembre 1584. Secondo la tradizione il Borromeo fece “tappa” anche a Zibello (e molto probabilmente anche nei centri vicini), in qualità di visitatore apostolico, durante il periodo delle grandi riforme operate nella sua diocesi milanese che, all’epoca, si estendeva anche sui territori di Veneto, Liguria e Svizzera. Va evidenziato che, sempre in quel periodo, Zibello era parte integrante della diocesi di Cremona e quindi, a livello ecclesiastico, dipendeva dalla Lombardia. La comunità rivierasca ha sempre avuto, nei suoi confronti, una particolare venerazione, al punto da dichiararlo appunto patrono del comune. In chiesa parrocchiale esiste inoltre uno splendido altare laterale, recentemente sistemato, dedicato proprio al santo. In occasione delle celebrazioni centenarie del 1910, l’allora parroco don Emilio Balestra chiese all’arcivescovo di Milano, il cardinale parmense Andrea Carlo Ferrari, una reliquia di san Carlo, da esporre alla venerazione dei fedeli nel giorno della sua festività, a ricordo anche, quindi, di quel particolare legame che il borgo rivierasco ha sempre avuto nei confronti del Borromeo stesso. La richiesta di don Balestra rimase tutt’altro che inascoltata. Infatti il cardinale Ferrari, da tempo Beato, inviò un prezioso reliquiario contenente un vistoso lembo che il suo illustre predecessore indossava il giorno in cui subì un vile attentato, dal quale uscì miracolosamente illeso. Attentato effettuato da tal Donato Girolamo, ex umiliato, che riuscì a penetrare nella cappella privata del cardinale nel momento in cui questi si raccoglieva in preghiera assieme a tutti i curiali. Il silenzioso e profondo momento meditativo, d’improvviso fu interrotto da una forte detonazione causata da un’arma da fuoco, nello sbigottimento generale. L’unico a rimanere impassibile fu proprio il cardinale Borromeo che, anzi, con tranquillità si alzò dall’inginocchiatoio, guardò attorno, e vide ai suoi piedi un proiettile d’archibugio, che a lui era stato diretto. La sua veste color porpora si presentava bruciacchiata e perforata dal proiettile stesso. Ma il corpo rimase incredibilmente e miracolosamente illeso. Un fatto prodigioso in seguito al quale il cardinale tornò semplicemente alla preghiera, invitando tutti i presenti a fare la stessa cosa. L’attentatore fu poi acciuffato e svelò anche i mandanti che, messi alle strette, ammisero le loro colpe. Il Borromeo tentò di attenuare le responsabilità di Donato Girolamo, col solo obiettivo di salvargli la vita. Ma ogni tentativo fu vano e, oltretutto, la congregazione degli Umiliati, cui l’attentatore apparteneva, fu soppressa con bolla pontificia nel 1571. Come informa sempre la storia, il cardinale Borromeo conservò, con gratitudine e profonda fede, quella veste che gli ricordava, chiaramente, il fatto prodigioso di cui era stato al centro quel giorno. Il cardinale Ferrari, ben a conoscenza del legame fra Zibello e il santo, decise quindi di fare dono alla comunità di rivierasca questa preziosa reliquia, testimonianza di un fatto prodigioso e misterioso, gelosamente custodita in un luogo sicuro. Alla pubblica venerazione viene esposta solo il 4 novembre di ogni anno, per la ricorrenza di san Carlo Borromeo. Sul retro, con iscrizioni sul legno, si trovano la citazione della lettera d’accompagnamento (documento conservato nella corrispondenza dell’archivio parrocchiale). Un’altra iscrizione è ormai pressochè illeggibile. Un’altra ancora riporta invece la seguente dicitura: “Benedictio Dei Omnipotentis, Patris, et Filii, et Spiritus Sancti et per intercessionem Sancti Caroli Protectoris Nostri defendat Nos Deus, a rosione Padi, et ab omni malo….R.Amen”. E’ evidente (nella dicitura “arosione Padi”) la richiesta di intercessione e protezione al santo contro le esondazioni del Po e contro ogni male (ab omni malo). Sulla base della parte frontale si legge infine “De exteriori veste qua S.Carolus Borromeus tunc erat indutus quum igneo ictus globulo plumboe divinitus a nece est servatus”.
Lunedì, nel corso della celebrazione patronale, sarà certamente ricordato anche il commissario capo della polizia locale Giorgio Bodini, a lungo in servizio nel Comune di Cremona (e per alcuni anni anche a Crema e Trigolo) comandante della polizia locale di Polesine Zibello, improvvisamente scomparso un anno fa ma ancora molto vivo nel cuore dei tanti che lo hanno conosciuto e stimato. Chissà, tornando alla reliquia, che questa un domani non possa ulteriormente legare le due sponde del Grande fiume, e in particolare Polesine Zibello e Casalmaggiore, magari portata in processione, lungo il Po valorizzando ulteriormente l’appuntamento del 4 novembre.
Infine merita di essere evidenziato il legame tra il Borromeo ed il cremonese Nicolò Sfondrati, che fu papa (unico cremonese a salire al soglio pontificio), col nome di Gregorio XIV, dall’8 dicembre 1590 al 16 ottobre 1591. Nato, sembra, a Somma Lombardo (Varese) l’11 febbraio 1535, da Francesco Sfondrati e da Anna Visconti apparteneva ad una nobile famiglia di origine totalmente cremonese ed è quindi del tutto corretto l'Annuario Pontificio che lo segna “di Cremona”. Fu familiare e soprattutto amico in casa di Carlo Borromeo e, appena 14enne, il 21 marzo 1549, subentrando al padre divenne abate commendatario del monastero olivetano di Civate, presso Lecco, alle cui rendite si aggiunsero 700 scudi di pensione sugli introiti della mensa vescovile di Cremona trasmessigli dal padre stesso. A Civate il giovanissimo Sfondrati si dedicò alla riforma della vita religiosa, al restauro dell'abbazia, al rinnovo delle suppellettili e degli arredi sacri. Opera, questa, che rimarca il suo zelo religioso ed è forse anche espressione dell'influsso del barnabita Alessandro Sauli, futuro vescovo e santo. A questi anni, oltre ai contatti con gli ambienti milanesi più emblematici della riforma pretridentina, risalgono i rapporti con figure in seguito importanti nell'episcopato postconciliare, quali Guido Ferrero e, soprattutto, Carlo Borromeo.
La consacrazione episcopale avvenne solo dopo la morte di papa Paolo IV Carafa che non si dimostrò disposto a concedere al troppo giovane Nicolò la dispensa necessaria per ricevere la dignità episcopale che ottenne il 13 marzo 1560 all’inizio del pontificato di papa Pio IV, il cui cardinale nipote era proprio quel Carlo Borromeo con il quale Sfondrati era già da anni in relazione ed al quale sembra fosse legato anche da non meglio precisati vincoli di parentela. Il 29 nov. 1560, Pio IV riconvocò il Concilio di Trento per la terza e ultima fase dei lavori e lo Sfondrati, da vescovo di Cremona, fu tra i primi ad aderire alla convocazione e il primo padre conciliare a raggiungere Trento, il 31 marzo 1561. La ripresa dei lavori sembrava ovviamente, al giovane vescovo cremonese, una buona occasione per ingraziarsi i favori del papa e del Borromeo in vista dell'elevazione al cardinalato, in ciò sostenuto dal fratello Paolo, che allora risiedeva a Roma. Il contributo di Nicolò Sfondrati ai lavori conciliari sembrò inizialmente produrre i frutti sperati, ma nella primavera del 1562 la sua posizione sulla questione cruciale dell'obbligo della residenza doveva far tramontare la speranza della promozione cardinalizia. Lo Sfondrati, convinto, come dichiarava al fratello, di dovere anteporre "la verità e il servizio di Dio a qualsivoglia altro mio rispetto particolare" (L. Castano, G. XIV, Niccolò Sfondrati, 1535-1591, Torino 1957, p. 71), si era espresso a favore dell'origine divina dell'obbligo della residenza, in contrasto con gli ambienti curiali romani. Egli stesso giudicò quindi più prudente evitare di mettersi in mostra e il suo apporto ai lavori conciliari divenne irrilevante. Alla conclusione, il 4 dicembre 1563, del Consilio, il vescovo Sfondrati rientrò a Cremona e da allora la sua principale occupazione fu l'applicazione del programma tridentino. Pur dimostrandosi sempre pastore solerte e impegnato, la sua azione mancò talvolta di incisività: gli difettavano la necessaria energia di carattere e le condizioni di salute per affrontare fatiche e disagi di un'opera che richiedeva anche resistenza fisica. Pochi mesi dopo il suo ritorno in diocesi, convocò, secondo quanto previsto proprio dal Concilio, il sinodo diocesano per il 5-6 giugno 1564.
Il concilio di Trento aveva infatti imposto la convocazione annuale del sinodo che si era tenuto a Cremona circa ottant'anni prima. Lo Sfondrati ne convocò soltanto tre nel corso del suo trentennale episcopato. Il secondo fu nell'agosto del 1580 e il terzo e ultimo nel settembre del 1583. Poco dopo la sua promozione cardinalizia, avvenuta il 12 dicembre 1583, fece stampare il complesso della legislazione da lui promulgata. Tra le ragioni che possono averlo spinto a disattendere la norma, ignorata tra l'altro dalla maggioranza dell'episcopato italiano, vi fu probabilmente il timore che la riunione potesse divenire occasione di coalizioni ostili alla riforma. Nel caso dello Sfondrati la cosa può essere spiegata anche con la presenza di un'ampia e dettagliata legislazione provinciale emanata dall’arcivescovo metropolita di Milano, il cardinale Carlo Borromeo (protagonista anche di una importante visita pastorale a Cremona) che fu uno dei pochi arcivescovi della penisola ad adempiere alla prescrizione della triennalità del concilio provinciale: ne indisse sei tra il 1565 e il 1582 e sempre con la partecipazione del vescovo Sfondrati. Borromeo fu sempre prodigo di consigli e di incoraggiamenti, ma anche di ammonimenti; pur senza sottovalutare gli sforzi dello Sfondrati, avrebbe però desiderato da lui un'azione più incisiva, come traspare anche dalla loro corrispondenza e dagli atti della visita apostolica del Borromeo del 1575.
Nel complesso, una pagina importante di storia cremonese intorno alla figura di un Santo che, chissà, anche in virtù della preziosa reliquia conservata a Zibello, potrebbe unire maggiormente le due sponde del fiume.
Eremita del Po
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