L'altro Tarquinio, Enzo, che i cremonesi non conoscono ma gli americani ne hanno fatto un patrimonio nazionale
Sergio Tarquinio, classe 1925 è l'ultimo grande disegnatore italiano di fumetti degli anni d'oro. Ma, come tutti sanno, è anche un artista completo capace di passare dal disegno all'incisione, dalla litografia alla pittura, dall'lio alla punta secca e alla xilografia a colori. Sergio aveva un fratello, Enzo, sconosciuto ai più che aveva scelto un lavoro da artigiano del colore, un decoratore e che, qualche volta, dipingeva quadri (ad esempio le barche sul Po, bellissime). Il nostro Marco Bragazzi ha scoperto che Enzo Tarquinio è un mito degli americani, tanto che hanno dichiarato alcuni suoi dipinti realizzati a murales durante la prigionia nel Wyoming, patrimonio nazionale. Ecco la sua storia. (m.s.)
La matita, i colori e il talento del cremonese Sergio Tarquinio hanno saputo raccontare così bene ad intere generazioni la storia di quel lontano e selvaggio West tanto da farlo sembrare, agli occhi di un bambino ma anche di un adulto, ben più vicino di quanto non fosse in realtà. Con la Storia del West a Ken Parker le pagine del Corriere dei Piccoli o de il Giornalino si riempivano dei colori e dei racconti di quei luoghi lontani nel tempo e nello spazio, luoghi enormi e ostili, immersi tra le sconfinate praterie aride e ventose dove la desolazione era l'unica compagna di viaggio dei pionieri americani del XIX secolo. Giornali che si compravano alla domenica mattina dopo la Messa, sempre ammesso che la maestra Bice Maffi a scuola non ti avesse rifilato una insufficienza durante la settimana, giornali dove Sergio ha saputo raccontare il West ai cremonesi e agli italiani. Al pari di Sergio in quel selvaggio West suo fratello Enzo ha saputo raccontare l'Italia e una piccola parte di Cremona a quei pionieri che vivevano tra le tempeste di sabbia e il clima secco ed arido di luoghi ancora da scoprire. Per raccontare la storia di Enzo dobbiamo catapultarci in Sicilia, nell'estate del 1943 quando, con l'operazione Husky, gli Alleati metteranno piede in Italia per poi risalire lungo lo stivale. Enzo era un ufficiale che, dopo il gelo della campagna di Russia, venne destinato all'arido clima isolano, il suo ruolo era quello di osservatore, ovvero disegnare i profili delle coste per poi passarli ai topografi. In quella isola venne catturato dagli Alleati ma, a differenza di molti italiani, Enzo sapeva parlare un po' di inglese e aveva un talento, quasi come un "marchio di famiglia”, con le tavolozze dei colori. Il 29 settembre 1943 il giornale locale di Douglas, piccola appendice abitativa nel mezzo del Wyoming, raccontava dell'arrivo di 1000 soldati italiani destinati al campo di prigionia locale. Enzo è “uno dei mille” che viene spedito nel profondo West, tra le praterie sconfinate dove si raccontano le battaglie tra gli indiani e l'esercito statunitense e in lontananza si sente l'eco dei latrati dei coyote. In quella sterminata pianura con i contorni dell'orizzonte deformati dal calore Enzo e la sua prigionia diventeranno partecipi della storia del Wyoming, una storia vissuta come uno dei tanti prigionieri italiani oltreoceano ma raccontata dai muri della baracca dove Enzo passerà un paio di anni. “I muri che raccontano l'Italia” potrebbe essere il titolo della mostra statunitense di Enzo Tarquinio da Cremona, muri dove i disegni non sono quelli incisi di nascosto dai prigionieri di guerra in campi di concentramento dell'Est Europa o in Germania lasciati come piccoli ricordi davanti all'orrore della vita quotidiana, i muri della baracca di Douglas, Wyoming, sono opere d'arte dove il talento e i colori spiegano quella prigionia immersa nelle praterie lontano dai colori delle piazze e delle campagne italiane. Enzo letteralmente dipingerà le pareti di quella baracca con affreschi raffiguranti l'Italia, da Venezia a Santa Rita da Cascia ma racconterà anche la storia del West come protagonista diretto di quei racconti del XIX secolo.
Tarquinio sarà pure un prigioniero ma non è immune alla storia di quei luoghi e sui muri comparirà “L'ultimo massacro degli indiani del 1890”, opera dedicata al massacro dei nativi americani a Wounded Knee, fatto che ispirerà canzoni di artisti come Prince, Johnny Cash e i Red Hot Chili Pepper. Sui muri della baracca per gli ufficiali cominceranno a comparire anche dipinti della vita quotidiana nei ranch, tra cappelli da cow boy e mandrie da gestire con il lazo, dipinti che raccontano la vita di Enzo e dei suoi commilitoni. La baracca prende vita e colore, negli anni diventa una sorta di mostra d'arte pubblica paradossalmente circondata dal filo spinato e dalle torrette di avvistamento. La guerra finisce e Enzo torna nella sua Cremona, lasciando a Douglas un patrimonio di rara bellezza, patrimonio che la città deciderà di custodire come omaggio alla vita dei prigionieri italiani. Un omaggio che, nonostante la smobilitazione dell'enorme campo di prigionia destinato in totale a più di 3000 soldati italiani, vedrà la baracca degli ufficiali come intoccabile e, dopo pochi anni, la stessa si trasformerà in parte del patrimonio artistico dello stato del Wyoming, a perenne ricordo di quel West raccontato magistralmente da Sergio ma vissuto direttamente da Enzo.
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commenti
Maria Giovanna Tarquinio
11 marzo 2024 13:36
È il mio adorato papa', conoscevo poco della sua travagliata prigionia. Papà ne parlava poco, sapevo della sofferenza patita in Russia e che aveva dipinto in America ritraendo ufficiali e altro ed era stato molto apprezzato. Sapere che là ci sono le sue opere mi rende orgogliosa nel sapere che continuerà ad essere ricordato.