6 febbraio 2022

Repubblica di Salò, quando Cremona aveva 45 magistrati ed era sede della Corte de' Conti e del Tribunale Militare

Antonino Tringali Casanova è un nome che non viene associato alla città di Cremona anche se questo politico e avvocato, il primo novembre del 1943, a Cremona ha passato gli ultimi attimi della sua vita. Antonino Casanova era il Ministro della Giustizia della neonata Repubblica di Salò lui, toscano di origini, si era da sempre dimostrato un perfetto burocrate fedelissimo di Mussolini tanto da inveire ferocemente arrivando a minacciare pene severissime per i gerarchi che, il 25 luglio 1943, firmarono l'ordine del giorno Grandi determinando la conseguente caduta del Duce sollevato a maggioranza dall'incarico di Presidente del Gran Consiglio del Fascismo.

Casanova non era a Cremona per caso o per turismo quando venne ricoverato in condizioni disperate per un malore, era a Cremona per lavorare a quel progetto, nato l'8 settembre 1943, di trasferire il Governo della Repubblica Sociale Italiana a Salò e di destinare il Ministero della Giustizia nella città del Torrazzo. L'ottica iniziale della neonata Repubblica, secondo i gerarchi, doveva essere quella di accentrare tutti gli uffici in una sola città ma il trasferimento nella piccola cittadina del Lago di Garda venne deciso per svariati motivi ben più importanti secondo Mussolini. Innanzitutto Salò era fuori dalla portata delle azioni di partigiani, ben presenti invece in Piemonte e in Emilia Romagna, inoltre era in una posizione più consona per i flussi di materiali e uomini da e verso la Germania ma, soprattutto, non era un luogo industriale come Milano destinato alle attenzioni dei bombardamenti alleati così come la romantica Venezia era in posizione appetibile per eventuali sbarchi alleati. A margine di queste motivazioni pratiche decisamente poco contestabili, la scelta di Salò avvenne anche grazie alla fitta presenza di hotel e alberghi destinati ai vacanzieri che, da quel momento, avrebbero visto la loro destinazione d'uso per i dipendenti dei ministeri e i soldati.

A Cremona si era inizialmente ipotizzato di trasferire in toto il Ministero della Giustizia che vedeva in Casanova il guardasigilli designato ma, una volta siglato il trasferimento dello stesso a Brescia, sotto il Torrazzo venne deciso di portare la Corte dei Conti oltre, in futuro, ad alcune sezioni del Tribunale Militare e della Corte di Cassazione. La città aveva uffici e strutture recettive, era relativamente piccola e poco dispersiva e, soprattutto, il tenore di vita era mediamente alto, tutti fattori che avevano determinato l'arrivo di quella parte di uffici che prima erano a Roma in Piazza Venezia.

Nell'ottobre del 1943 la stazione di Cremona venne presa d'assalto dall'arrivo di frotte di famiglie che si trasferivano per rimpinguare i palazzi in zona Via dei Tribunali, il passaggio burocratico era deciso e avrebbe portato le maestranze in città con loro tutti gli annessi e connessi; ben 45 magistrati e decine di funzionari ministeriali con annessi familiari stretti attraversavano le strade del centro cittadino per trovare nuova sistemazione professionale e familiare. A rimorchio dei primi funzionari si presentarono anche molti altri operatori e dipendenti ministeriali a vario titolo i quali, lasciata Roma, vennero costretti o scelsero il trasferimento nella Repubblica di Salò.

La creazione di questa nuova Repubblica non poteva passare però passare solo dall'aspetto formale, anche gli aspetti quello organizzativi e burocratici andavano affrontati e, possibilmente, superati. Più facile a dirsi che a farsi, la Repubblica Sociale Italiana aveva disperso gli uffici in diversi paesi compresi nel triangolo tra Brescia, Verona e Cremona, ma se Mussolini aveva deciso di cambiare parte della storia italiana con una nuova Repubblica, i presupposti burocratici e organizzativi rimanevano quelli creati nel ventennio passato a Roma.

Gli uffici dei vari ministeri sparsi tra Salò e dintorni, Brescia, Verona e Cremona non erano l'esempio più illuminante di organizzazione burocratica, i documenti dovevano viaggiare per chilometri dando origine ad uno sviluppo dei costi esponenziale oltre a ritardi nella pianificazione e applicazione dei decreti. A Cremona, nei palazzi destinati al ministero, si cominciava fin da ottobre 1943 a fare i conti, quelli precisi, di come quella burocrazia “importata” dalla capitale potesse trovare applicazione nella neonata RSI.

Il risultato ottenuto dai magistrati “cremonesi” non era esattamente quello previsto, un dirigente ministeriale di medio livello aveva uno stipendio mensile di quasi 20.000 lire al mese, un generale al fronte che si confrontava con le divisioni americane superava di poco le 18.000 lire, un dipendente ministeriale viaggiava sulle 8.000 lire, un tenente delle unità combattenti poco sopra le 3.000 lire, un operaio ne riceveva 1.200. I dipendenti delle strutture ministeriali avevano diritto a possibilità di vitto e alloggio che spesso potevano essere destinate solo ai diplomatici esteri, andando a creare una sorta di voragine nelle già malmesse finanze ministeriali.

Ad inizio 1944 la Corte dei Conti scriverà al Consiglio dei Ministri che i pasti compresi come benefit per i dipendenti dei ministeri erano totalmente fuori controllo, gli oltre 15000 dipendenti repubblicani che affollavano le sponde del lago di Garda costavano, a testa, quasi 30 lire per ogni pasto – di solito consumati nei migliori locali dispersi tra Desenzano e Riva del Garda con bottiglie di vino da matrimonio – fatto che rendeva ancora più sofferenti le già esangui casse della RSI. Al ricevimento della missiva un rapido calcolo dell'economato fece capire che un servizio di mensa interna costava, per ogni pasto con conti alla mano, neanche 10 lire, luce elettrica e tovaglioli compresi. Nella burocrazia repubblicana di Salò, ma forse non solo in quella, gli abusi sui rimborsi spese da parte di dipendenti poco fedeli erano all'ordine del giorno, la fame era talmente diffusa da diventare un problema enorme ma, evidentemente, anche il proliferare di parenti spesso mai dichiarati nemmeno quando si sedevano a tavola con i funzionari. Era un problema enorme quello della gestione della burocrazia di Stato, un problema che rischiava di congestionare la struttura socio economica delle aree interessate a questo fenomeno, con il rischio di creare profondi attriti tra la popolazione residente e quella legata alle strutture ministeriali. La Corte dei Conti raccontava una verità lontana da quella della propaganda, una realtà più terrena che spiegava di come gli stipendi troppo elevati potevano finire nei rivoli del mercato nero, mercato ormai sempre più presente perché facilmente alimentato dai più abbienti ma, soprattutto, la verità raccontata dalle calcolatrici era che, in un periodo di razionamento alimentare, certi benefit non potevano essere mantenuti nei confronti della popolazione stremata dalla fame. - La burocrazia è la morte di tutti i lavori importanti - scriveva Albert Einstein negli Stati Uniti mentre a Cremona la Corte dei Conti scriveva relazioni che davano direttamente ragione al premio Nobel per la fisica.

Marco Bragazzi


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