7 dicembre 2022

Cappotti, la strage degli innocenti

Oggi sui nostri centri storici si sta abbattendo una pericolosa tempesta. Hanno ragione da vendere il Soprintendente Gabriele Barucca e Anna Maramotti: siamo alla presenza di una vera e propria pandemia. Mi spiego.

Il settore delle costruzioni era già in crisi profonda dopo la batosta del 2008 e stava cercando di riprendersi quando è comparsa la scure della pandemia, così i nostri governanti hanno pensato bene di stimolarlo a partire da due anni fa con l’elettroshock dei numerosi bonus. Il risultato è stato il drogaggio spensierato del settore che, in seguito, è stato strozzato dalle perentorie disposizioni antifrode del novembre dell’anno scorso. Come al solito nel Bel Paese del melodramma prima si esagera senza limite e poi si reprime duramente. Insomma, una tempesta perfetta per distruggere un comparto già ammalato da qualche tempo. Era impossibile solo poter minimamente immaginare una tale batosta. Certo, solo in pochi abbiamo denunciato sui media da molto tempo queste disgrazie. Anche su Cremona Sera. (vedi il mio Uno spettro si aggira per la città: il cappotto del 6 aprile 2021). Ma, le critiche non sono servite un fico secco: tutti sono stati ammaliati e accecati dal business, quante esagerazioni, quanti entusiasmi interessati. La cosa grave è che si sono eseguiti interventi spesso non necessari se non inutili solo per accedere ai bonus e gli edifici che necessitavano veramente d’interventi restano desolatamente abbandonati. Ora, che i nodi sono venuti al pettine si è aggiunta la conseguenza degli aumenti esagerati delle materie prime (con le inevitabili speculazioni) e la guerra in Ucraina. Ci troviamo in uno strano limbo, dove non si trovano i materiali, le maestranze sono dileguate, gli artigiani sono spariti, tutto costa il triplo, i lavori sono fermi e quelli non ancora fermi si stanno fermando. Insomma: un bel disastro.

Di fronte a tutto ciò dobbiamo anche interrogarci su come sono concepiti i progetti di restauro, e non solo quelli che riguardano i beni vincolati che bene o male sono tutelati, ma sul grande patrimonio come quello dei centri storici che, in questa esaltazione edilizia, rischia veramente di sparire per sempre. Esso è a rischio di stravolgimento con interventi dotati della stessa delicatezza di Jack lo Squartatore. Cappotti di plastica fatti con derivati del petrolio che tra qualche anno dovranno essere smaltiti come ci ha insegnato la vecchia storia dell’Eternit, serramenti in ottimo stato che sono rottamati e i nuovi che sigillano la condizione dell’aria indoor e che spesso apportano minuscoli miglioramenti energetici, consolidamenti poderosi di piccoli organismi edilizi, lucide superfici dei pannelli fotovoltaici sugli opachi tetti di coppi… Insomma, tutto questo assomiglia a un’ingiustificata strage degli innocenti e lo pagheremo molto caro, dall’aumento eccessivo dei costi già in atto, dallo spreco esagerato di risorse (con la scusa della transizione energetica), dai danni che causeremo alla durata degli edifici con conseguente necessità di futuri interventi (una specie di catena di Sant’Antonio per le imprese), alla gigantesca speculazione ingenerata, al contenzioso legale infinito con l’agenzia delle entrate, all’enorme bolla che, come previsto, è scoppiata. Come al solito la furbizia italica del legislatore, anziché copiare provvedimenti che funzionano in altri stati (ad esempio in Francia), al contrario ha partorito un mostro-trappola che ha fatto deflagrare ancora di più un settore già in coma da tempo. Risultato: tutti i giorni sono purtroppo testimone d’interventi immotivati, spensierati, esagerati e spesso completamente sbagliati, dei veri e propri boomerang. È paradossale come un’esigenza sacrosanta come il miglioramento energetico sia attuato in maniera così smemorata facendosi beffa degli altri aspetti più importanti come la durata di vita dei manufatti, la facilità di manutenzione, la bellezza, la storia, il criterio del minimo intervento o, se vogliamo, di evitare lo spreco di risorse. Così, per evitare lo spreco di risorse nell’energia da consumare nella vita dell’edificio, si sprecano le risorse nella sua smemorata ristrutturazione senza costatare che, in realtà, la maggior parte dell’energia è utilizzata nella costruzione e non nella gestione successiva. Conseguentemente aumentare di una classe energetica vuole dire un guadagno spesso minuscolo.

I centri storici delle nostre città e gli edifici rilevanti hanno saputo mantenere, in gran parte, le loro caratteristiche architettoniche anche in tempi bui come le due guerre mondiali, non mi sembra proprio il caso di metterle a rischio per l’applicazione disinvolta di norme tanto smemorate.

Sembra di assistere a quanto avviene per le automobili: ci spingono a cambiarle per diminuire le emissioni di qualche frazione centesimale. La normativa Euro 6 prevede per i motori a benzina valori limite di CO, HC, PM invariati rispetto a Euro5. Il grande Ennio Flaiano affermava che: “Interessi economici molto forti possono modificare non soltanto il gusto, ma la biologia di un popolo che cade in questa impasse”. È un vero peccato che l’occasione di mettere mano al patrimonio del costruito del nostro paese sia degenerata a tal punto. Forse nel Bel Paese siamo troppo saturi del presente, dimentichi dei padri e noncuranti dei posteri. É un’amara constatazione essere caduti nel “provincialismo del tempo” che scambia il contingente con l'essenziale, l'effimero col durevole... (Eliot).

Facciamo chiarezza: non si tratta di congelare il passato ma di trasmetterlo al futuro. Il problema essenziale, dunque, si può intendere come governo del cambiamento, il che comporta ogni volta una riflessione sui ‘limiti’ da assegnare al cambiamento stesso. È una  questione di misura e di capacità d’analisi del problema la cui soluzione va ricercata, in modo intelligente proprio partendo da quella comprensione storica che è il fondamento di tutto. In realtà conservazione e trasformazione sono, sì, opposti ma non fra loro contraddittori, quindi in grado di convivere specie in architettura che è sempre una realtà viva e non un manufatto da contemplare.

Certo, forse questa piccola battaglia è difficile ma forse anche la nostra minoranza attiva può far entrare in crisi e modificare le opinioni date per scontate dai più e far capire di smettere di comportarci in modo spietato verso il passato adottando, al contrario, un criterio di valore sapendo apprezzare le testimonianze materiali dei nostri predecessori. In realtà esse sono il risultato coagulato della sapienza di tante generazioni che si sono succedute e vanno comprese con attenzione. Quindi nessuna supponenza, nessuna dose di superiorità, nessun passatismo, proviamo a pensare a come saremo giudicati noi stessi dalle generazioni future. Il nostro pudore ritrovato e il recupero del principio di parsimonia ci possono quindi aiutare ad avere gratitudine e rispetto delle testimonianze della ricchezza del passato perché il passato ci insegna costantemente, anche se noi spesso lo consideriamo solo un magazzino dal quale rubare costantemente.

Marco Ermentini, architetto


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commenti


anna maramotti

7 dicembre 2022 11:22

La specificità dell'analisi tecnica, che si confronta con la teoria della "conservazione attiva" atta a salvaguardare al contempo la memoria storica e lo sviluppo autentico della città, è il segno della grande professionalità di Ermentini.
Ancora una volta si afferma che la cultura è l'unico strumento adeguato per amministrare il bene pubblico e preservare i beni privati.

Danilo Codazzi

7 dicembre 2022 20:22

E direi anche quelli pubblici, che però non fanno capolino con le bandiere come quelli privati, e che sembra non debbano essere tutelati, vedi torrione , mura alla porta Caracena e via dicendo ..........anche se sono testimonianze e parte evidente della nostra storia .