Corso Garibaldi nel tratto dal Cittanova a Porta Milano: il deserto. "Papà com'era questa strada quando avevi la mia età?"
“Ma come era questa strada quando avevi la mia età?” Mia figlia guarda fuori dal finestrino mentre, insieme a due suoi compagni di classe, la sto portando a scuola; siamo nei primi giorni di dicembre e piove a dirotto mentre procediamo verso la nostra destinazione. Quando il clima è decisamente inclemente raccolgo lei e due coetanei e li porto verso via Palestro sbucando in corso Garibaldi di fianco al Cittanova. La strada è disseminata di insegne sparite, non è possibile non notarle, insegne che sembrano voler ricordare tempi andati. In realtà i negozi chiusi, nel tratto dal Cittanova fino a San Luca, sono più di una trentina, divisi su entrambi i lati della strada. I tre ragazzi hanno 15 anni, osservano le vetrine chiuse con l'ottica di coloro che non hanno mai visto quella stessa realtà in maniera differente, la cosa inquietante è il fatto che, per tre adolescenti, è quasi naturale vedere il fiorire di cartelli “Affittasi” o “Vendesi” appesi sotto le insegne ormai scolorite.
Spiego che, 40 anni fa, non tre secoli fa, quel tratto di strada aveva una vivacità commerciale e sociale ben differente, era parte di una città che vedeva il futuro con l'ottica rivolta al cittadino più che ai fantomatici “grandi progetti” che sembrano non mettere al centro le persone e la loro quotidianità. Mentre il traffico procede con ritmi molto blandi racconto un minimo di storia di quel tratto che strada che nei pressi di San Luca, più di un secolo fa, si innestava verso il dazio di Porta Milano, cosa siano i dazi magari lo sanno, che ci fosse una entrata in città dedicata a chi portava dei beni in città per venderli non lo sanno di certo. E' normale e ovvio, meno ovvio il fatto di vedere quel tratto di strada, fulcro del commercio di allora, abbondare solo di vetrine lasciate alla polvere. Non riesco a capire se i miei passeggeri sono attenti o se, verosimilmente, ai tre non frega nulla di quel piccolo racconto che sto portando avanti mentre seguo il flusso delle macchine; probabilmente i tre compagni di classe saranno più nervosi e concentrati per un compito in classe di latino, matematica o inglese che neanche per un pezzo di corso Garibaldi. Non posso biasimarli, a 15 anni anche io avevo interessi di certo differenti da quelli legati al commercio cittadino ma almeno camminavo lungo corso Garibaldi osservando quella continuità di colori che, dazio o non dazio, mi offriva un senso di calore e tranquillità. Oggi quelle sensazioni sono sparite, il passare degli anni c'entra poco, è quel futuro diviso tra negozi chiusi e luci spente che dovrebbe far riflettere, è quella parte di cultura e storia che viene messa in fondo ad un cassetto con o senza naftalina perché ormai superata e, evidentemente, considerata come retrograda.
Mi metto il cuore in pace convinto del fatto che nessuno mi abbia ascoltato quando, forse complice la pioggia battente, il trio sembra risvegliarsi da quel silenzio che avevo scambiato per disinteresse. Mia figlia ragiona sul fatto che meno negozi significa meno lavoro per dipendenti e proprietari ma anche meno possibilità di scelta per un acquisto soprattutto se i pochi negozi vendono in pratica gli stessi prodotti, a questo si aggiunge un minore interesse per il turismo in una zona sprovvista di commercio al minuto. Nella sua banalità è un ragionamento che tiene, non propone soluzioni perché il tema è ben più complicato ma si rende conto che una situazione di questo genere, che si sta sviluppando anche in altre zone, andrà inesorabilmente a colpire la città e quel futuro che – dovrebbe – aprirsi tra qualche anno davanti ai tre compagni di classe.
Sono passaggi che dovrebbero far riflettere, perché quel futuro, sempre più vicino e sempre più buio, parte anche da quella trentina di vetrine ormai destinate ad altro. Guardandosi intorno non è possibile non notare che corso Garibaldi ha le luminarie presenti solo fino al Cittanova, da lì fino “al dazio” le luci natalizie spariscono. In una sorta di limite invalicabile che parte dal buio ormai decadente del Cittanova la strada si snoda in un silenzio che non è solo quello di una giornata di maltempo, è un qualcosa ormai strutturato che non rende giustizia a quella piccola parte di un mondo ben articolato. Rifletto con loro sul fatto che i tempi e le esigenze sono cambiate, ci mancherebbe altro, ma che alla fine i bisogni sono sempre gli stessi a prescindere dal fatto di appartenere a generazioni differenti. Mentre scarico i tre davanti a via Palestro mi viene in mente che in corso Garibaldi una vetrina è stata ricoperta con un decalcomania per renderla “più viva” nonostante la chiusura. La decalcomania pubblicizza la mostra del Genovesino presso la Pinacoteca cittadina, la data della mostra è il 2018, negli 8 anni successivi, però, il futuro di quella strada è stato rischiarato da qualche panchina e alcune fioriere, mentre venivano chiusi molti negozi oltre al Cittanova.
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