Credo perché mi sento amato, amo perché sono amato!
“Attira più mosche un goccio di miele, che un barile di aceto”, soleva dire San Francesco di Sales, vescovo sapiente e lungimirante, sublime maestro di spiritualità, profondo conoscitore dell’animo umano e, non dimentichiamolo, giornalista ante litteram (è patrono, infatti, di questa “scalcagnata” categoria). Pastore dalla grande mitezza e benevolenza, aveva compreso che il Vangelo è essenzialmente gioia, dolcezza, amore, in un tempo – siamo nel XVI secolo - in cui regnava l’immagine di un Dio intransigente, arcigno, quasi vendicativo e la concezione di una fede ridotta ad una morale severa e inappellabile. Un modo di intendere il rapporto con Dio che, purtroppo, ha prevalso – tranne lodevoli eccezioni – fino al Concilio Vaticano II e anche oltre. Chi tra quanti hanno già i capelli bianchi non si è sentito dire da qualche catechista attempata: “Fai il bravo perché altrimenti vai all’inferno”, oppure “Se fai il bravo durante tutta la tua vita andrai in Paradiso”. Due espressioni che sottendono una mentalità distante anni luce dal vero senso dell’esperienza cristiana. Anzitutto non si fa i “bravi” per evitare la dannazione eterna – ciò che spinge l’uomo ad una vita buona e santa non può essere la paura di Dio e del suo tremendo castigo -, ma perché si è pienamente consapevoli di essere già destinata al Paradiso, alla contemplazione eterna del volto bello del Signore, alla gioia di poter vivere per sempre con chi, nella vita terrena, abbiamo amato, seguito, stimato. In pratica ci si comporta bene, cioè si vive cercando di seminare continuamente e testardamente amore, perché ci si sente immersi nell’amore, perché non c’è nulla che appaghi e perfezioni come l’amore, perché solo l’amore porta alla piena e duratura felicità.
La seconda espressione sottende, invece, che il Paradiso lo si può meritare, cioè lo si può guadagnare attraverso le opere buone: andare a Messa la domenica, praticare il digiuno dalla carne il venerdì, recitare le preghiere il mattino e la sera, seguire alla lettera i dieci comandamenti... Mentalità tipicamente farisaica che interpreta il rapporto con Dio come un meschino do ut des (anche gli antichi romani su questo aspetto erano dei campioni!) e che pretende di poter rivendicare la beatitudine eterna per qualche gesto compiuto in maniera encomiabile durante la vita. È da miopi e stupidi poterci ritenere in credito nei confronti del Signore: basterebbe contemplare solo un istante, con profondità e serietà, il mistero della Croce di Cristo, il suo soffrire nella passione e sulla croce, il peso enorme e terrificante del peccato del mondo che si è caricato sulle spalle e che ha offerto al Padre in un sublime gesto di donazione di sé stesso per provare vergogna e disprezzo di noi stessi! Nessuno di noi, pur santo che possa essere, potrà mai eguagliare l’amore di Gesù sul Calvario. Siamo sempre e solo dei poveri debitori: non possiamo far altro che alzare le nostre mani vuote, come fa il medicante in cerca di elemosina, affinché siano colmate della misericordia di Dio.
San Francesco di Sales - ma anche San Filippo Neri e una miriade di santi nel corso della storia della Chiesa – aveva compreso che la fede cristiana non può essere presentata come una serie di cose da fare, una morale da eseguire alla lettera, la promessa di una gioia futura condizionata però da un comportamento integerrimo, una serie di “no” che mortificano la libertà della persona. Egli aveva capito che il mondo ha una perenne sete di amore e che ogni uomo rimane stupito e ammirato quando percepisce su sé stesso questo amore, soprattutto se immeritato o non cercato! Quando una persona si sente amata sul serio, si riconosce più pregiata di una perla rara, più inestimabile di un monile di rara manifattura, è capace di compiere cose inimmaginabili. L’amore è più forte di ogni costrizione, l’amore è più potente di ogni minaccia di castigo, l’amore è una energia prodigiosa che vince ogni paura, che soggioga ogni ansia, che placa ogni preoccupazione, che ammansisce ogni senso di inadeguatezza. L’amore ci dice che non siamo soli nel nostro, duro ma esaltante, cammino della vita, che non siamo inutili o senza senso, che valiamo qualcosa, che in noi, nonostante tutto, c’è qualcosa di buono, che siamo preziosi!
Dove Gesù trova l’energia per affrontare gli uomini, la loro ostinazione nel male, la loro testarda incapacità di comprendere il suo messaggio così limpido e immediato? Dove trova il coraggio di affrontare la solitudine, la menzogna, la ferocia dei suoi persecutori, l’odio viscerale dei suoi accusatori, la vigliaccheria dei suoi seguaci? Dove trova la forza di subire i colpi dei flagelli, il dileggio dei soldati, l’infamia del legno della Croce?
Dove? Nell’amore di suo Padre!
Egli sa di essere abbracciato, sostenuto, nutrito da questo amore. Il Padre gli ha insegnato che l’amore è l’unica risposta sensata che si può offrire all’uomo, è l’unica rivoluzione che può sovvertire davvero il mondo senza distruggerlo.
Non per nulla appena uscito dalle acque del Giordano, dopo il battesimo ricevuto da Giovanni, Gesù sente la voce del Padre che squarcia i Cieli, una vera e propria dichiarazione d’amore: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. È come se il Padre rassicurasse il Figlio, è come se gli dicesse “Quanto sono contento di te, quanta consolazione mi offri Figlio mio. Scendendo nelle acque putride del peccato, condividendo fino in fondo l’amaro calice dell’uomo disobbediente e peccatore, facendoti tu stesso “peccato”, stai stabilendo, tra Cielo e terra, una nuova ed eterna alleanza che nessuno potrà mai rompere!”.
La forza di Gesù risiede proprio nell’amore potente del Padre che mai lo abbandona!
Questa stessa esperienza la possano fare tutti i cristiani, nessuno escluso: io credo perché mi sento amato, amo perché sono amato!
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