9 luglio 2022

Dopo l'esaltazione dei media, sui 5 Stelle c'è l'indietro tutta. I bravi ragazzi non bastano, se non c'è la sostanza identitaria

L’amore è il trionfo dell’immaginazione sull’intelligenza. Parole sante che, tolte di peso dal Pantheon delle frasi celebri, non userò per infierire su quello stadio deliziosamente irragionevole dell’innamoramento i cui danni collaterali restano in genere a esclusivo carico del diretto interessato. Mi riferisco invece a ben altro genere di trionfo dell’immaginazione, assai più temerario e distruttivo. Si verifica quando milioni di elettori, in preda ad accecamento amoroso per il primo ‘piacione’ che gli promette mari e monti, si consegnano con plebiscitaria arrendevolezza a un partito di immaginarie facoltà taumaturgiche. Il tutto senza il minimo riscontro concreto circa quel che effettivamente potrà, vorrà e saprà fare nell’interesse del Paese. E’ quel che accadde nelle indimenticabili elezioni del 2018 che regalarono il 33% dei consensi al comico genovese Beppe Grillo e alle sue ruspanti truppe di “bravi ragazzi”.
Un trionfo dell’immaginazione dell’elettore sulla sua intelligenza consentito, se non incoraggiato, da un’eccezionale sovraesposizione mediatica. Fior di giornalisti ronzavano intorno ai pittoreschi pentastellati come api sul miele, ingegnandosi a regalare senso e mirabili profondità concettuali a ovvietà da bar. Chiunque è in grado di imbastire una filippica su quel che va male. Ma quanti sono realmente in possesso degli attrezzi per invertire la rotta?
Pochissimi.
 
Ormai siamo al classico ‘indietro tutta’. I cantori di ieri sono gli stessi che oggi allestiscono il funerale mediatico con battute fin troppo facili sulla notte delle stelle cadenti anticipata quest’anno dal 10 agosto al 21 giugno, giorno della clamorosa scissione. Battuta brillante ma scientificamente imprecisa. Le stelle cadenti si dissolvono nei cieli senza lasciarci in eredità ingombranti detriti. L’epilogo dell’avventura grillina ci lascia invece concretissimi
effetti collaterali e macerie di non agevole rimozione. E’ il caso di un ambientalismo fanaticamente ideologico che ha stoppato ogni iniziativa in grado di consentirci quel minimo di autosufficienza energetica che oggi ridurrebbe il peso delle nostre bollette. E’ il caso di un parlamento che, nell’ora più difficile dal dopoguerra, risulta scollato dal Paese e politicamente non lo rappresenta più.
Ulteriore croce nel quotidiano calvario di Draghi e situazione anomala che oggettivamente confligge con le fisiologiche procedure di una vitale democrazia parlamentare. Per non dire del reddito di cittadinanza, gigantesca e indisturbata operazione di voto di scambio che consegnò a Grillo il Meridione senza colpo ferire. Ha creato lavoro? No. Anzi, sì. Ma solo alla Guardia di finanza impegnata a tempo pieno a scovare i troppi percettori indebiti. E la turbativa, in questo caso, riguarda il fisiologico andamento del mercato del lavoro e del gioco domanda – offerta. Non c’è settore, dai balneari alla ristorazione, dagli ospedali agli albergatori che non lamenti mancanza di personale disponibile.
 
L’esperienza servirà a renderci più cauti nell’attimo fuggente ma decisivo in cui mettiamo una croce su un simbolo politico? Si dice che sbagliando si impara. Mi risulta che dagli errori non si impara, ma ci si condanna a ripeterli, se non si riflette criticamente sul perché li abbiamo commessi. E in questo caso il quadro delle responsabilità è di malinconica ampiezza. Inadeguatezza morale e professionale di tanta classe dirigente che aveva deluso ed esasperato l’opinione pubblica, deliri di onnipotenza di tanti magistrati, infatuazione grillina di tanti media che hanno cavalcato senza ritegno il pirotecnico cavallo pazzo che improvvisamente irrompeva a incuriosire e divertire sospendendo i grigiori del solito politichese praticato nei soliti palazzi. Quale bilancio trarne? Che un partito senza sostanza identitaria e radicamento in una riconoscibile cultura politica può far volare l’immaginazione dei semplici ma non regge alla prova del tempo e delle concrete difficoltà di governo. Come non regge, al netto di convincenti eccezioni, quel campionario umano di gommosa consistenza che, da Conte a Di Maio, nella disperata determinazione di restare a galla s’adatta a tutto e al suo contrario, riducendo la politica a un disinvolto equilibrismo fra indolori abiure ed estemporanei atti di fede.
 
I nodi vengono al pettine con impietosa evidenza. I “bravi ragazzi” – sbrigativa credenziale con cui Grillo garantiva agli italiani le eccezionali doti delle sue creature- sono probabilmente restati, appunto, ‘bravi ragazzi’. Cosa umanamente pregevole ma politicamente irrilevante. Pateticamente ingenuo il commento di uno di loro al recente tracollo elettorale: alle amministrative andiamo sempre male, ma alle politiche ci rifacciamo. Tradotto: dove gli elettori hanno modo di vederci e misurarci da vicino siamo bocciati, ma dove parole e promesse possono ancora qualcosa sull’immaginario collettivo, lì andiamo alla grande. Autogol da incorniciare.
 
Un punto dell’intera vicenda appare tuttavia meritevole di specifica riflessione. Concerne il generoso contributo dato dal grillismo, non a caso originato dalla costola di un uomo di spettacolo, alla contaminazione di genere fra la professione del politico e quella, oggi gettonatissima, dell’influencer. L’anglicismo rende più sopportabile, velandolo, il brutale significato della parola che, tradotta alla buona, altro non vuol dire se non manipolatore. Uno che per portarti vicino ai suoi interessi quasi sempre ti allontana da una corretta percezione della realtà: lavaggio del cervello, per dirla in breve. Lo stesso vizio di certo salvinismo semplicistico, istrionico e spaccone. Con la capitale differenza che dietro a Salvini c’è uno
strutturato e collaudato partito con fior di governatori e colonnelli in grado di riprenderne il timone. Guai se chi governa ripiega sul semplicismo mentre un mondo di crescente complessità gli richiede sempre più elevati livelli di professionalità.
 
Come se ne esce? La politica ritroverà la capacità e il coraggio di spiegare alla gente che la realtà è complicata e che il famoso ‘sociale’ -parolone in perenne fioritura sulle labbra dei demagoghi di ogni colore- non significa solo distribuire ricchezza ma anche e soprattutto creare le condizioni per ricominciare a produrla? Domanda scomoda, virtualmente conflittuale e dunque accuratamente rimossa nella nuova cultura politica del ‘tutti insieme appassionatamente’. Vedi Letta che, benché professionista largamente ‘imparato’, versa ormai in piena sindrome della calamita e si tiene stretto ogni detrito a portata di mano vedendoci materiale utile al leggendario ‘campo largo’. A forza di allargarne il perimetro e misurarne gli ettari non
dimentichi che, ai fini del raccolto, l’operazione più importante è e resta la semina. Semina di idee e programmi realisticamente condivisibili dall’eterogenea armata di variegato piumaggio. Ma in questo caso più che di vittoria dell’immaginazione sull’intelligenza, parlerei di vittoria dell’immaginazione sull’evidenza.
 
 
vittorianozanolli.it
Ada Ferrari


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti