Incubo in rete tra Covid e ambiente
Aiuto. Vagando senza meta nell’idraulica di Rete sono scivolata nel crepaccio di uno degli innumerevoli siti meteo colorati come libri per l’infanzia e seducenti come fumetti per lettori di buona bocca. Impossibile sottrarmi in tempo al crescendo rossiniano delle liete novelle. Per carità, niente d’inventato: reali ipotesi scientifiche grossolanamente rimodellate e convogliate nel limaccioso fiume del genere profetico catastrofico. Apprendo dunque che il futuro del Mediterraneo è mortalmente segnato da un destino di siccità e calura. I nostri raccolti saranno, per dirla con cauto ottimismo, destinati a crescente carestia. Idem per le riserve d’acqua dolce. Dunque, ogni sorso bevuto potrebbe essere l’ultimo. Ma tranquilli: se non riusciremo a morire di sete abbiamo ottime chances di morire affogati. Un epocale patatrac si prepara nell’Antartide occidentale dove il famoso ghiacciaio dell’Apocalisse presenta ormai vistose crepe, sicuro presagio di crollo imminente. Del resto, cos’altro aspettarsi da un nome tanto augurale se non una puntigliosa replica del diluvio universale? Ma, questa volta, senza Noè e senza Arca. Seccante dettaglio che piomba su quel che resta del buonumore natalizio guastandolo senza scampo. Mi chiedo se fra le due opposte profezie, desertificazione o diluvio universale, non si potrebbe intavolare qualche trattativa e, compensandosi a vicenda, non potrebbero riservarci il lieto fine di una sommatoria a costo zero. Sarebbe una generosa tregua concessa alla più tenace e forse irragionevole delle umane aspirazioni: campare e disporre di una pur modesta ipoteca sul futuro, quanto basta per provvedere a crescere e moltiplicarsi.
Ma tre righe più sotto ecco la prova che il mio tempo residuo non vale l’affanno. Mi imbatto infatti in un’autentica Leggenda Nera personalizzata a misura di noi padani. Il destino della fertile piana placidamente distesa lungo il grande Fiume avanza di buon passo verso l’infausto esito: scomparire dalla faccia della terra, sbriciolata come un decrepito guscio vuoto nell’effetto a tenaglia della pressione appenninica contro la muraglia alpina. Caspita, noi -umile gente della Bassa- accomunati al destino dei californiani, gente di mondo che notoriamente balla con hollywoodiana disinvoltura sulla faglia più pericolosa del pianeta.
Incerta di poter sopravvivere fino a stasera, visto quel che bolle in pentola, mi allontano dal luttuoso sito cercando il conforto di più casalinghi orizzonti. E in che m’imbatto? Nelle ultimissime sul covid, ovviamente. E nel quotidiano allestimento di una sceneggiatura mediatica tanto longeva e fertile di colpi di scena da tener testa alle mitiche commedie musicali del ‘made in Italy’. Se ‘Aggiungi un posto a tavola’ tiene banco da più di quarant’anni, l’attuale ‘Aggiungi una variante al virus’ pare infatti ben avviata per puntare all’eternità. Il cast dei virologi è eccellente e, in balìa di legittimi dubbi scientifici e conseguenti divergenze, sta producendosi in quella perfetta esecuzione di canto e controcanto che la manipolazione mediatica provvede poi a drammatizzare trasformandola nell’avvincente romanzo popolare che ben sappiamo. Omicron contagia di più ma uccide di meno. Più educato di chi l’ha preceduto si arresta ai bronchi e non osa varcare i polmoni. A occhio e croce, una buona notizia. C’è chi ne conclude che il virus perde potenza e la pandemia è entrata nella fase declinante. Ma il sollievo non è che un attimo fuggente. Ed ecco il controcanto: Omicron non è una variante ma è un nuovo virus. Quindi questa non è la quarta ondata di covid ma la prima ondata di una nuova pestilenza. Parte un frenetico riconteggio: s’affaccia il dubbio che terze e quarte dosi siano inutili armi pensate per il nemico di prima ma forse impotenti sul nuovo venuto. E dunque? E dunque non si sa. Ma perché diavolo vado avanti a leggere e continuo a farmi del male, sballottata come inerme pallina da ping pong in un palleggio senza fine fra opposte verità? La risposta è semplice. Perché sono umana e dunque per natura condannata al costante bisogno di sapere, conoscere, pervenire a qualche affidabile certezza che mi consenta di posizionarmi rispetto al mondo e maturare un punto di vista che mi guidi nelle piccole e grandi scelte della vita.
Ma c’è di più. Sono di rito occidentale cioè figlia di una civiltà che da secoli ha fatto del famoso ‘Sapere è potere’ il proprio mantra fino a identificare progresso e democrazia con la possibilità data a quote crescenti di popolazione di accedere a quote crescenti di informazione. Senonché qualcosa nel meccanismo si dev’essere inceppato se oggi, anno di grazia 2022, mi ritrovo a covare un gigantesco dubbio. Mi chiedo se si può ancora definire ‘informazione’ la sassaiola di messaggi grossolanamente sensazionalistici che, uscita da improbabili cucine, senza tregua mi punta, assedia e stordisce, confondendomi le idee e appannandomi la vista come una gigantesca colata di schiuma che occulta forme e dimensioni della realtà fino a renderla inaccessibile ai miei occhi.
Possibile che la grande macchina delle comunicazioni di massa originariamente imparentata ai destini di cose serie come democrazia, libertà, diritto individuale a un’autodeterminazione
adeguatamente informata, si stia convertendo in una gigantesca macchina di distrazione di massa? Eppure l’impressione è proprio questa, che la cosiddetta informazione troppo spesso si stia riducendo a puro rumore. Rumore tanto invadente, arrogante e palesemente refrattario al problema morale della verità, da far rimpiangere il superiore decoro del silenzio. L’effimero podio del vincitore, nella nuova Bisanzio delle comunicazioni di massa, spetta ormai a chi la spara più grossa e semina più sconcerto e confusione. Strano. Le dittature del passato funzionavano imponendo ai sudditi il dominio di un’unica verità e certezza. Le anomale e sempre più esangui democrazie del presente si reggono imponendo, con la babele delle lingue, il dogma di una diffusa incertezza. In preda ai marosi di un momento storico d’eccezionale difficoltà, cosa può fargli più comodo di una sterminata e remissiva platea di confusi e disillusi? Milioni di uomini e donne giunti, dopo anni di adeguato trattamento, alla frustrante conclusione che la verità non esiste. Se esiste non è raggiungibile. E se non è raggiungibile tanto vale smettere di cercarla e ripiegare sul rassegnato qualunquismo del famoso ‘Questa o quella per me pari sono’. Stiamoci attenti. Ridendo e scherzando, questo rischia d’essere il demoralizzante approdo di un’evoluta e orgogliosamente celebrata democrazia liberale.
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