17 luglio 2021

L’Italia e l’Inghilterra: festeggiare senza farsi fregare

L’Italia è Campione d’Europa dopo un’impresa impossibile: vincere a Wembley contro l’Inghilterra nell’anno della morte del suo Re (inteso come marito della Regina, il Principe Filippo). Un successo sportivo eccezionale che però, sinceramente, mi ha lasciato più perplesso che soddisfatto. Chi scrive è stato per anni presidente di una piccola società di calcio ed è ben consapevole e di quanto e come il calcio sia, in tutte le sue sfaccettature, protagonista assoluto della società italiana. Ma quei festeggiamenti esasperati fino alle quattro del mattino, quel peana azzurro incontenibile dei media per tutta la settimana e i social strabordanti tricolori ovunque, beh, sinceramente, mi hanno dato una brutta sensazione. Non voglio usare paragoni offensivi, ma il sentore di paese sudamericano che non ha più niente altro che il calcio in un certo senso l’ho avvertito lungo la schiena. Tuttavia, se torno con la memoria agli anni’70 e alla scena grottesca della vittoria dell’Italia in “In nome del popolo italiano” di Dino Risi con Gassman e Tognazzi, beh forse in realtà non è poi cambiato molto, sia nell’eccessiva considerazione che gli italiani hanno del calcio, sia nell’eccessivo disprezzo di sé che gli italiani sanno avere guardando gli “altri” italiani festeggiare. Il caso vuole però che proprio in quella scena gli italiani si facessero beffe degli inglesi senza alcun ritegno: e a dire il vero, ciò che più mi ha infastidito in questa settimana è una diffusa lettura politica della vittoria contro l’Inghilterra come della vittoria dell’Unione Europea sulla Brexit, come della vittoria dei buoni (ma sempre un po' cenerentoli) italiani-europei contro gli altezzosi e sbruffoni inglesi-isolazionisti.

E invece agli Inglesi e all’Inghilterra dovremmo guardare con occhio molto più attento di come stiamo facendo. La Brexit ha ragioni ben più profonde di un mero isolazionismo o senso di superiorità inglese, o peggio ancora di una sopravvenuta stupidità diffusa del popolo inglese. Parlando con un affermato architetto milanese giorni fa, mi diceva che gli appartamenti che sta realizzando in Brera a Milano saranno venduti a 20.000 euro al metro: un cifra impossibile per un italiano, ma, diceva lui, assolutamente abbordabile per un ricco straniero abituato a pagare anche 60.000 euro al metro a Londra, città divenuta praticamente inabitabile per gli stessi inglesi, che per decenni l’hanno vista oggetto di speculazioni inarrestabili dovute sia ai vantaggi fiscali che hanno attratto ricchi da tutto il mondo, ma anche alla bonaria invasione di italiani e spagnoli e stranieri vari riversatisi laggiù a fare gli studenti e i camerieri. E forse gli inglesi ne avevano piene le tasche, rimaste vuote: meglio fare il cameriere a Londra vivendoci che fare l’impiegato a Londra vivendo a tre ore di treno dall’ufficio? Può essere. Oggi Milano, e per estensione la Lombardia, si candida energicamente a prendere il posto di Londra nell’Europa post Brexit, e tronfi di un successo sportivo rischiamo di non vedere che ciò che è accaduto agli inglesi potrebbe accadere a noi tra qualche anno, forse prima: di rimanere da un lato con le tasche vuote (perché le agevolazioni fiscali si fanno ai ricchi esteri che devono comprare, ma non certo agli italiani)  e dall’altro con prezzi gonfiati dalle “invasioni” dei super-ricchi e dei super-poveri da tutto il mondo, anche se fanno muovere gli affari e l’economia. Dimenticandoci anche che l’Inghilterra il mondo lo ha dominato per quasi duecento anni, e forse un po' di esperienza “globale” l’ha imposta, subita e maturata.

Cecil Rodhes, prototipo dell’inglese vittoriano colonialista e negriero, ma anche fondatore di uno stato intero in Africa, la Rodhesia appunto, diceva che l’Imperialismo “is a bred and butter question”, è una questione di pranzo da mettere in tavola. Da un certo punto in poi, diceva, o accetti la guerra civile in casa, o diventi imperialista, cioè vai a cercare il pane in casa d’altri. E’ esattamente quello che sta facendo una Cina che non potendo più permettersi di tenere in povertà centinaia di milioni di persone, va cercando in giro per il mondo nuove conquiste commerciali, ad ogni costo, pandemia compresa, per poter governare un miliardo e 300 milioni di persone che ormai il benessere lo hanno intravisto e lo vogliono. E chi scrive resta convinto che qualcosa di poco chiaro in questa pandemia, così devastante per l’Occidente e così ben gestita dell’Oriente, rimanga... 

In effetti, se ci pensiamo, le dinamiche imperialiste sono sempre contraddittorie: democratiche al loro interno e assolutiste all’esterno. Roma, Atene, Londra, perfino Washington: tutte capitali di imperi che al loro interno sono state pioniere della democrazia e della dialettica politica, ma che all’esterno hanno sempre imposto con la forza la loro volontà, che poi era anche quella di portare in patria le ricchezze o i commerci stranieri. Unica eccezione furono i sovietici a Mosca (assolutisti dentro e fuori)  ed ora i cinesi, che a Pechino suppliscono alla carenza di democrazia interna con una iperbole supercapitalista: peraltro mi pare che quanto alla carenza di democrazia interna anche noi stiamo abbastanza agevolmente adeguandoci senza troppo stracciarci le vesti, tanto che settimana scorsa perfino il Senatore Pizzetti proprio su Cremonasera ha affermato che ormai non siamo più una democrazia parlamentare ma in una “democrazia governativa”.

L’Inghilterra è oggi il paese europeo che più di ogni altro rappresenta l’orientamento libertario ( o meglio liberatorio) nella gestione del post covid: liberi tutti e il prima possibile. L’Europa continentale invece sembra accodarsi a un Macron che propugna il green pass ( e quindi la doppia vaccinazione obbligatoria)  perfino per andare al ristorante: nella settimana dell’anniversario della presa della Bastiglia avrebbe fatto meglio a ricordarsi che i francesi hanno un modo tutto loro di reagire alle limitazioni della libertà, e che in un paese come il suo (che viene messo a ferro e fuoco da ormai due anni) tirare la corda rischia di farlo finire molto più male di quanto possa immaginare, e lui a differenza di Luigi XVI non è nemmeno unto dal Signore. L’Europa continentale ha poco da starnazzare contro gli inglesi: la gestione delle campagne vaccinali nella UE è stata lentissima e a tratti imbarazzante, non abbiamo più disegni imperialisti ma anzi stiamo divenendo oggetto degli appetiti esteri e la nostra burocrazia è rivolta più contro di noi che in nostra difesa dagli altri. 

Come diceva Napoleone, Perfida à Albione, è vero, e Britannia Imperat è ormai solo una vecchia marcia di Edward Elgar, ma invece di sbeffeggiare gli inglesi “tout court”, buttiamoci un occhio attento, male non ci farà.

E intanto e comunque, Viva gli Azzurri.

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

   

Francesco Martelli


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commenti


Annamaria

17 luglio 2021 10:45

Analisi (quasi) totalmente condivisibile. A mio parere non sarebbe risultato fuori luogo anche un cenno all’episodio che ha preceduto la sfilata del bus scoperto, altro tassello che contribuisce al quadro d’insieme. Ovviamente mi riferisco alla scena trasmessa da alcuni tg nazionali che documenta lo “scambio di opinioni” tra uno dei calciatori e i responsabili della sicurezza di Roma in occasione dei “festeggiamenti” per il risultato calcistico. Trovo sconcertante la calata di braghe delle autorità davanti ai “capricci di un tizio in mutande” che dettano legge più del diritto alla salute e delle regole che dovrebbero valere per tutti. Ci si può meravigliare dello stato delle cose quando lo Stato per primo cede ai ricatti da prima elementare di individui viziati e iper stipendiati e, dopo ciò, conferisce loro onoreficenze come se piovesse?