“Scusatemi se da sol mi presento, io sono il Prologo”, cantava in maniera unica Aldo Protti ne I Pagliacci per poi far partire l'opera e duettare con Mario del Monaco. Altri tempi verrebbe da dire, perché con due cantanti come quelli anche chi non era esattamente un melomane riusciva ad apprezzare le loro arie. Del Monaco e Protti, come pochi altri, avevano talento e riuscivano a raggiunge con facilità coloro che, ignoranti come me quando si parla di melodramma, ascoltavano altri generi musicali. Oggi quel “Scusatemi se da sol mi presento, io sono il Prologo” non è solo parte di un'opera, sembra il motto pre elettorale, motto profondamente rivisto in quanto si trasforma in “Io ci sono” o “Sono disponibile”; qui però spariscono le scuse e sparisce la elegante quanto necessaria formalità di una presentazione che molti aspiranti politici danno per scontata, come per scontate danno fin troppe cose. Oggi la comunicazione e lo “status sociale” sono diventati la politica stessa, i programmi sono gli accessori utili ma non necessari, un accenno al debito pubblico, uno al lavoro e pensioni, uno alla sanità e la frittata è servita, che poi sia mangiabile per gli elettori è un altro discorso.
Si punta su una famelica quanto fine a se stessa dietrologia nei confronti degli avversari, avere un influencer per raccattare voti vale di più di un programma, del resto il problema non è ciò che si fa, ma come lo si dice di volerlo fare. Un po' come dire che Michelangelo sapeva dipingere perché così dicono tutti, mica perché ha dipinto la Cappella Sistina, nella classica soluzione molto social per giustificare la odierna carenza di talento nella pittura. “Io ci sono” detto tra amici quando ti cercano per giocare a calcio va anche bene, ma quando il programma è quello farti giocare in porta invece che in attacco o si ha un talento per quel ruolo o si trovano motivazioni enormi altrimenti si diventa l'estremo difensore di una squadra destinata alla sconfitta. Di solito finisce che si litiga tra amici perché, al terzo gol subito, si vorrebbe mollare la porta e andare in attacco ma i compagni di squadra mica sono fessi, “Sono disponibile” per giocare a calcio significa che devi stare dove ti abbiamo messo, ovvero in porta, per fare i gol ci dovrebbero pensare altri. Dire “fare squadra” quando tutti puntano solo al ruolo più visibile non è una soluzione, si rischia di creare aspettative troppo alte per i tifosi quando in campo i giocatori sono di caratura mediamente troppo bassa, ovvero far pensare che la soluzione di problemi enormi passi attraverso lo status symbol e non dalla capacità di fare scelte, scelte che non rientrano nel DNA di molte persone. Il talento è merce rara nella politica odierna puntellata dal mondo della comunicazione, i giocatori di talento, quello vero, sanno valorizzare anche quelli più scarsi di loro, rendendo piacevole giocare a calcio o guardare una partita; in politica, dato che si decide per tutti anche per tifosi delle altre squadre, il processo dovrebbe essere più rivolto agli elettori che neanche a se stesso. Anni fa, parlando con un ex attaccante della Cremonese dei primi anni ‘80, mi raccontò che, appena arrivato in città proveniente da una squadra storicamente avversaria dei grigiorossi, vide una scritta su un muro davanti allo Zini dove, a fianco del suo nome, c’era evidenziato “Vattene!”. Capi al volo che doveva soddisfare le aspettative e fare realmente squadra, ma lui aveva talento e capacità di fare scelte, scelte che lo resero partecipe di annate fantastiche in grigiorosso tanto da entrare nel cuore dei tifosi, senza avere influencer che lo proponevano come status symbol di una squadra.
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