1 marzo 2025

La violenza e la cura: il caso Cremona, ovvero cosa succede quando le città vengono amministrate come prodotti commerciali

Chiunque sia a vario titolo coinvolto nell’amministrazione della cosa pubblica dovrebbe essere obbligato a leggere tutti i commenti che si rincorrono sulla piazza social in questi giorni, per capire.

Odio che chiama odio, è tutto un invocare la repressione violenta e la neutralizzazione degli autori dei crimini commessi per le strade di Cremona.

In uno dei tantissimi commenti leggiamo: “sono il tumore dell’Italia, questa gente”. Ho scelto questo perché è esemplare della tendenza generale, che lascia a bocca aperta per l’imperante sicurezza riguardo alle cause e ai conseguenti rimedi per il problema. 

Nel film “Conclave”, da poco uscito nelle sale, un personaggio dice: “C’è un peccato che sono arrivato a temere più di ogni altro: la certezza. Se ci fosse solo la certezza e nessun dubbio, non ci sarebbero misteri, e quindi nessun bisogno di fede”. Il cardinale Lawrence parla di religione, ma questa affermazione calza a pennello per quello che stiamo vivendo in questi giorni bui a Cremona; il tribunale del popolo ha già decretato chi siano i colpevoli, e come si debba arginare il fiume di violenza che sta investendo questo sonnacchioso paesotto padano. Ma invece quello che serve per capire e contrastare il vortice di degrado che ci sta travolgendo sarebbe più utile coltivare il dubbio sistematico, per non perdere la fede più preziosa: quella nell’essere umano.

Metto le mani avanti alle obiezioni che già sento levarsi: “se fosse stato figlio tuo…. se fosse stato tuo fratello il ragazzo aggredito… diventeresti nazista anche tu!”

Vi racconto una cosa: undici anni fa subii un furto in casa, era un giovedì d’estate, pieno centro, mi svegliai per un lieve rumore e nella mia camera da letto, accanto alla culla di mia figlia di nove mesi c’era un ragazzo, alto, magro, un ragazzo di colore. Ci guardammo, richiusi gli occhi pensando a un brutto incubo troppo reale, e nel silenzio della notte sentii la porta di casa richiudersi. Era andato via.

Per me è stato un trauma terribile di cui conservo ancora i segni. Vi racconto anche un’altra cosa: grazie a una semplice app riuscii ad individuare l’indirizzo preciso in cui si trovava il mio iPhone, e presumibilmente la refurtiva, riconobbi il ragazzo che andava in giro indisturbato per il centro, ma quando informai i Carabinieri ed espressi la mia convinzione che forse non si stava facendo abbastanza per indagare sull’accaduto venni minacciata con toni violenti dal maresciallo competente di essere denunciata per oltraggio a pubblico ufficiale. Da parte offesa mi ritrovavo a essere io colpevole!

Perdonate la divagazione, ma era necessaria per spiegare come questo terribile episodio non mi abbia fatto cambiare idea: credo ancora fermamente nel dialogo, nella cura, nella cultura e nell’ascolto come metodo più efficace per creare una società migliore. Non perfetta, ché il delitto e il crimine sono connaturati alla natura umana, ma votata alla convivenza civile e all’altruismo.

Ma veniamo alla situazione di Cremona. 

Quello che sta succedendo è la conseguenza di scelte economiche, non politiche. Lo dico meglio: scelte fatte da una classe politica asservita al potere economico; niente di nuovo direte, è una tendenza mondiale… ma a livello locale si può scegliere di non piegarsi del tutto al neoliberismo predatorio. Come? Resistendo alla richiesta degli investitori di svuotare il centro cittadino per trasformarlo in un grande B&B a uso dei turisti, smettendo di autorizzare la costruzione di centri commerciali, acquari in cui le persone vagano felici, sollevate dall’incubo di dover trovare parcheggio in centro, consumando merci e cibo ipnotizzate dalle luci artificiali e l’incessante brusio di sottofondo. Favorendo e sostenendo le piccole imprese culturali che agiscono dal basso per creare valore, coinvolgendo giovani e meno giovani in attività che li facciano sentire parte integrante e importante del luogo in cui vivono, non erbacce da estirpare senza pietà.

Modello sociale tipico cremonese è la forma chiusa. Cascina a corte chiusa, chiostro o cortile interno dell’oratorio, terrazzo della società sportiva. Lo scambio con l’esterno non è previsto, ma curare esclusivamente il proprio orticello ha gradualmente portato a trasformare il centro di questa città in un guscio buio e vuoto, in cui giovani esclusi da un tessuto sociale non in grado di coinvolgerli hanno trovato terreno fertile per esprimere i disvalori che quotidianamente assorbono con i nuovi modelli ‘culturali’. Non mi dilungherò a riassumerli: basta ascoltare una canzone di uno qualsiasi dei trapper che impazzano su TikTok per sapere di cosa stiamo parlando: droga, sesso, uso di armi, sopraffazione in tutte le sue forme.

L’antidoto per l’imbarbarimento e la violenza che si autoperpetua può essere solo la cura e la cultura, non l’inasprirsi della repressione e la limitazione delle libertà individuali.

Questo è il gioco del populismo, non facciamoci fregare.

Angela Alessi


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commenti


Anna L. Maramotti Politi

1 marzo 2025 15:55

Condivido pienamente .
Mi chiedo solo: noi possediamo la cura efficiente e abbiamo la cultura per confrontarci con persone e giovani che ci "sembrano' totalmente "altro" rispetto a noi? Abbiamo la chiave per aprire la porta del confronto? La pedagogia e la didattica, che sono stati i miei modelli come docente, sono almeno strumenti utili per instaurare un dialogo con le nuove generazioni?. Sappiamo creare le condizioni per un potenziale rapporto "umano"? La pedagogia soprattutto deve confrontarsi con le culture di provenienza. Un esempio? Un nostro sorriso ad un bambino in carrozzina come è decodificato da una giovane mamma che proviene da alcuni paesi africani?
Dovremmo poi ragionare sui B&B a Cremona C'è da capire a chi servano realmente. L"interpretazione, più che corretta proposta , deve essere oggetto di un'analisi approfondita

ideenuove

3 marzo 2025 09:12

l’assenza di luoghi dedicati all’insegnamento e alla trasmissione della cultura, intesa non solo come conoscenza scolastica, ma come esperienza di crescita e confronto. Se scuole, centri di aggregazione e biblioteche non riescono a svolgere questo ruolo, la domanda da porsi è: perché non si investe in progetti culturali inclusivi?
1. Il Comune e la sua miopia culturale

L’amministrazione locale, come molte altre in Italia, tende a vedere la cultura come un costo anziché un investimento. Si finanziano eventi spot, magari di grande richiamo, ma non si costruiscono spazi e percorsi continuativi. Mancano:

Spazi pubblici multifunzionali dove ragazzi e adulti possano imparare e praticare arte, musica, letteratura.
Politiche culturali inclusive, che coinvolgano fasce di popolazione emarginate.
Sostegno alle associazioni, spesso lasciate a elemosinare piccoli contributi.

2. Il disinteresse delle fondazioni e delle banche

Le fondazioni bancarie e gli istituti di credito hanno la possibilità di finanziare progetti culturali, ma spesso preferiscono investire in iniziative che portano ritorni d’immagine immediati, come restauri di palazzi storici o grandi eventi. Perché?

Scarsa visione a lungo termine: la cultura non è vista come un motore di sviluppo economico e sociale.
Burocrazia complessa: ottenere finanziamenti richiede procedure lunghe e scoraggianti.
Mancanza di pressione dal basso: se la cittadinanza non reclama spazi culturali, chi gestisce i fondi non li considera una priorità.

3. Soluzioni possibili: cosa fare concretamente?

Se il pubblico e il privato non investono, è necessario creare un modello alternativo, che parta dal basso e faccia pressione sulle istituzioni. Alcune idee:

Creare un network tra associazioni per proporre progetti comuni e fare massa critica.
Lanciare un fondo culturale partecipativo, chiedendo piccoli contributi alla cittadinanza e dimostrando che la domanda di cultura esiste.
Promuovere spazi autogestiti, magari recuperando edifici inutilizzati con il supporto di cooperative sociali.
Utilizzare il crowdfunding per progetti pilota, dimostrando che esistono alternative al finanziamento pubblico e privato tradizionale.
Denunciare pubblicamente il disinteresse istituzionale, attraverso campagne di sensibilizzazione e coinvolgimento di figure influenti del mondo culturale.

La domanda ora è: Cremona è pronta a cambiare o resterà chiusa nel suo guscio?

Stefano

3 marzo 2025 11:33

In teoria, Ideenuove , bello a livello teorico quello che scrive, ma nel pratico sa ' cosa gliene frega alle gang più o meno baby di quello che dice?

Antonio

4 marzo 2025 16:23

Porto italiano-Nave-imbarco coatto- porto africano - sbarco( anche vicino al porto va bene lo stesso)
Problem solved.