27 novembre 2022

Liberaci, o Signore, da una morte improvvisa!

Mi ha lasciato sgomento e commosso lo scritto che Cesare Cavalleri ha indirizzato, qualche giorno fa, al direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. Il giornalista, originario di Treviglio, numerario dell’Opus Dei, vanta un glorioso passato nell’agone culturale: direttore dell’editrice Ares e del periodico “Studi Cattolici” è autore di diverse pubblicazioni oltre che collaboratore del quotidiano cattolico dal lontano 1968.

Ebbene, siccome i medici gli hanno dato solo nove mesi di vita, Cavalleri annuncia la conclusione del suo rapporto di lavoro con il quotidiano milanese così da avere il tempo di tuffarsi “nella preparazione immediata al grande salto” specificando che “quella remota è iniziata, con alti e bassi, nell’adolescenza”.

Non è certamente da tutti affrontare con tale lucidità e lungimiranza questa nuova e inaspettata situazione di vita: molti si sarebbero abbandonati all’angoscia, alla disperazione; qualcuno avrebbe anche affrettato il grande salto ricorrendo al suicidio o alla pratica dell’eutanasia.

Il giornalista cattolico, così traspare dalla sua breve, ma intensa missiva, ha accolto con luminosa serenità l’annuncio dei sanitari e ha cominciato a prepararsi all’incontro con Colui che lo ha voluto nel mondo, l’ha amato e custodito fino ad ora! Leggo anche un senso di gratitudine per l’opportunità che ha avuto di prepararsi a questo evento che, per la maggior parte degli uomini, rimane improvviso e imprevedibile.

Un tempo i cristiani innalzavano a Dio questa accorata preghiera: «A subitanea morte, libera nos Domine» cioè «Liberaci, o Signore, da una morte improvvisa». Erano consapevoli che la morte è una cosa seria - da non derubricare con una smorfia di fastidio o con qualche gesto scaramantico -, perché ricapitola una vita intera conferendole senso e sapore e perché rappresenta l’ultimo grande diaframma verso l’incontro definitivo con Dio e quindi con un giudizio che conduce, chi ha vissuto nell’amore in Paradiso – passando sicuramente per il Purgatorio – e chi l’ha rifiutato all’inferno!

Oggi con la secolarizzazione imperante e una fede sempre più affievolita e mondana la morte non è più la compagna di viaggio che spinge a vivere ogni attimo dell’esistenza con autenticità e intensità, ma la pietra d’inciampo di quella idea di uomo che la modernità ci ha costretto ad accettare: un essere invincibile che, grazie alla scienza e alla tecnica, domina il mondo e guarda al progresso come l’unica religione accettabile.

La morte, dunque, è un ostacolo fastidioso perché riporta l’uomo alla sua vulnerabilità, alla sua fragilità, alla suo essere fuggevole: sarà anche per questo che è stata emarginata dalla società di oggi. I segni pubblici sono stati ridotti al minimo; certe liturgie, non solo religiose ma anche popolari, che trasmettevano un senso di sacralità e di profondo rispetto per la morte, sono state cancellate. Quanti giovani oggi visitano i propri cari al cimitero? Quanti bambini assistono ai funerali dei propri nonni? Quanti di noi ricordano i defunti nelle preghiere o nella celebrazione della S. Messa? E soprattutto: quanti di noi desiderebbero sapere in anticipo il giorno della propria dipartita?

Anche tra i cattolici sovente si sente dire: “La più bella morte? Nel sonno, senza neanche accorgersene!”. Altro che stare svegli in attesa del Signore che viene! Meglio un colpo secco e che tutto sia finito!

Questo potrebbe essere un legittimo ragionamento di un ateo che non crede nella vita eterna, nell’incontro con il volto bello e rassicurante di Dio! Il credente, invece, dovrebbe anelare una morte in grazia di Dio, cioè “vissuta” con consapevolezza, nella contrizione per i propri peccati e nella gratitudine per una esistenza ricca di amore. Una morte da preparare facendo i conti con la propria esistenza, ricapitolando tutto tra un Miserere per le proprie mancanze e omissioni e un Te Deum per il bene di cui si è stati spettatori e anche protagonisti.

Ringrazio di vero cuore il dottor Cavalleri che proprio all’inizio del tempo forte dell’Avvento mi ricorda che tutto passa – la vita, il mondo, i risultati raggiunti con il proprio lavoro, la propria immagine costruita con tanta fatica, il gruzzolo depositato in banca, le macchine parcheggiate nel garage -, ma solo l’amore di Dio resta. 

Oggi iniziamo l’Avvento! Non impoveriamo queste quattro settimane facendole diventare solo una mera preparazione al Natale! L’Avvento è l’occasione propizia per capire ciò che alberga nel nostro cuore: quali sono le nostre attese e i nostri desideri; cosa davvero manca alla nostra esistenza per dirsi piena, completa, realizzata.

L’Avvento mi spinge ad accorgermi che c’è qualcosa di più della vita materiale e che il cuore rimane sempre inquieto finché non trova riposa in ciò che è eterno, negli spazi infiniti del Cielo!

Cavalleri dice di essersi preparato all’incontro con Dio fin dall’adolescenza! Cioè ha preso sul serio, fin da subito, quell’ammonimento di Cristo che conclude il Vangelo di oggi: “Tenetevi pronti perché nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. Ha imparato a morire a sé stesso ogni giorno, soprattutto in quella parte oscura che reclama sempre e solo qualcosa per sé stessi mettendo in secondo piano Dio e gli altri! 

Tenersi pronti! Cosa vuol dire concretamente? Non lasciarsi trascinare dalla vita e della sua furia ma dominarla con spazi di silenzio e di introspezione personale; monitorare costantemente il proprio cuore perché si arricchisca sempre più di virtù e di obiettivi alti e ambiziosi; allenarsi a quel sano discernimento che permette di comprendere esattamente ciò che è bene e ciò che è male; investire tutto sull’amore, l’unica forza che è capace di sconvolgere il mondo; relativizzare le gioie terrene che spesso durano “quanto un turno di veglia nella notte” e poi scompaiono lasciando quell’amaro in bocca che tanto fa male. 

Tenersi pronti, in ultima analisi, vuol dire attendere il Signore, ma non con le braccia conserte, ma con le maniche fatte su, tipiche di chi lavora, di chi non teme di sporcarsi per rendere questo mondo giusto, solidale, fraterno. Il Regno di Dio lo si attende costruendolo, ora e qui!

Sarebbe davvero drammatico dover presentare a Dio, subito dopo la morte, una vita scialba, incolore, che ha perso solo tempo a rincorrere sé stessa e il proprio piacere dimenticando gli altri, nascondendo ai propri occhi il miracolo divino dell’amore!

 

Claudio Rasoli


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