Luce che illumina senza discriminazioni
La festa che si celebra il 2 febbraio ci riporta nei dintorni di Betlemme, là dove è nato Gesù e da Betlemme ci conduce a Gerusalemme e al Tempio, cuore religioso di questa città. L’episodio che oggi si ricorda accadde, secondo quanto ci dice l’evangelista Luca, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù. La Legge di Mosè stabiliva che questo fosse il tempo per la purificazione rituale della madre dopo il parto (Lv 12,1-8). Alla fine di questo periodo si doveva offrire un sacrificio per la donna e per il figlio nato. Contestualmente a questo rito, Luca parla anche del riscatto del primogenito secondo quanto insegna il Libro dell’Esodo (Es 13,2. 11-13). Nella mentalità antica tutto ciò che è “primo” appartiene a Dio: le primizie della terra, i primi nati del bestiame e persino il primo figlio maschio nato ad un essere umano. Se le primizie si offrivano al Tempio e i primi nati del bestiame erano restituiti a Dio con l’uccisione o mediante un’offerta alternativa, i figli primogeniti dovevano essere riscattati, cioè sostituiti con un’offerta, poiché il Dio di Israele proibiva categoricamente l’uccisione di un essere umano in sacrificio. Tuttavia questo secondo rito è solo accennato da Luca, il quale si concentra maggiormente sull’offerta per la purificazione, probabilmente perché, pur non omettendo la precisione dei fatti, l’Evangelista vuole fin dall’inizio della sua narrazione sottolineare che è Gesù colui che si offre in quanto redentore, e per questo non ha bisogno di un’offerta che lo riscatti.
In questo duplice contesto rituale, posto sotto il segno della Legge, è comunque un altro il centro del racconto: l’incontro di Gesù con un uomo che attendeva la consolazione di Israele (Lc 2,25).
La scena di questo incontro è di una tenerezza profonda: un uomo anziano, un nonno dall’aspetto rispettabile e degno di una particolare riverenza (l’insistenza della presenza dello Spirito su di lui ce lo fa immaginare alla maniera delle grandi figure profetiche, regali e sacerdotali dell’antichità israelitica), accoglie amorevolmente tra le braccia un Bambino che non ha ancora un mese e mezzo di vita, e in questo Bambino riconosce la luce che egli attendeva perché Israele fosse consolato, perché Israele ritrovasse quella speranza che aveva perso. Accanto a Simeone, Luca colloca un’anziana donna, Anna, una profetessa: là dove Simeone attende, questa donna annuncia che nel Bambino si compie la redenzione di Gerusalemme.
Le due figure sono così poste nel racconto l’una accanto all’altra, immagini profetiche che anticipano fin dai primi giorni di vita di Gesù quale sarà la sua missione: quella di concedere al popolo di Dio ciò che esso attende, anche se, sembra di intuire, avverrà in una forma che non tutti accetteranno, così che i pensieri dei cuori siano svelati. Redenzione e offerta si colgono nelle parole di Simeone con una particolare intensità quando definisce il Bambino luce che illumina e segno di contraddizione. La storia del Bambino sarà capace di illuminare e di lasciare perplessi, di rischiarare i segreti dei cuori e di suscitare dubbi nella mente di molti. Persino il cuore della Madre di questo Bambino verrà trafitto da una spada, raggiunto cioè da un giudizio, da un gesto che impone di stare da una parte o dall’altra, con Lui o contro di Lui (un contro che potrebbe essere anche solo indifferente neutralità). Colui che attendeva la consolazione di Israele vede in questo Bambino molto di più delle sue attese. Gesù, che egli accoglie tra le sue braccia, viene dichiarato salvezza preparata per tutti i popoli, luce per le genti e gloria di Israele, molto di più della consolazione per il solo popolo dell’Alleanza.
Grazie alle parole di Simeone anche noi siamo oggi condotti a compiere qualche passo in là per la nostra fede, per il modo in cui guardiamo a Gesù. Egli, ci viene oggi ricordato e nuovamente annunciato, non è venuto per qualcuno, ma per tutti; non è consolazione solo per alcuni e condanna per altri, ma offerta universale di vita senza esclusione. L’abbraccio che Simeone può compiere deriva da un abbraccio originario e precedente che in Gesù il Padre ha compiuto quale benedizione verso tutti gli esseri umani. Se Gesù è contraddizione non lo è perché vi sia a monte un desiderio di esclusione da parte di Dio, ma perché Dio rispetta sempre il dono della libertà che ha concesso agli uomini; un dono che ha voluto non apparente, ma reale; un dono che chiede impegno perché ci coinvolge determinando chi siamo attraverso le nostre scelte.
In questo modo Simeone e Anna diventano immagini della Chiesa che annuncia Gesù, che lo offre e lo presenta al mondo; immagini di una Chiesa che propone la luce che splende nell’incontro con questo Bambino, il quale svela l’uomo a sé stesso, svelandogli il volto di Dio e invitandolo a pensare con stupore e rispetto il dono più bello che insieme alla libertà Dio ci ha fatto: il dono della vita, qualcosa che siamo chiamati sempre a difendere e a promuovere, non solo lanciando anatemi contro chi ha idee diverse e propone mentalità incompatibili con l’insegnamento cristiano, ma anche con il coraggio di farci difensori della vita in ogni sua sfaccettatura.
Molti anni fa Oriana Fallaci disse che mandare un giovane in guerra è come compiere l’aborto di un uomo di vent’anni. La frase provocatoria ci spinge, da cristiani, a difendere la vita in ogni circostanza, oltre i semplici slogan; a creare una mentalità di vita per tutti e ovunque, considerando anche quale prospettiva di vita offriamo a chi nasce, a chi soffre, a chi è in difficoltà. Non perché questa sia una scusa per non far nascere o condurre ad una dolce morte, ma perché è importante che si aiutino tutti a migliorare il modo in cui si vive. Non si può parlare di diritto alla vita finché un bambino deve nascere e poi abbandonarlo a situazioni che lo portano a maledire il giorno della sua nascita, come il biblico Giobbe.
Simeone e Anna con il loro sguardo rivolto al Bambino ci ricordano che la prima difesa della vita deve e non può non essere che quella di garantire insieme con il diritto a vivere, la promozione di una vita dignitosa in quanto abitata da relazioni autentiche che fanno sentire amati, accettati, ben voluti, qualsiasi siano le condizioni economiche, di provenienza geografica, di orientamento sessuale, di aspetto esteriore, di salute fisica o mentale in cui ci si trovi.
Per tutti è l’amore di Dio che si mostra nel Bambino presentato al Tempio, per tutti, senza primati di attenzione per un uomo rispetto ad un altro, per una condizione rispetto ad un’altra, deve essere la promozione e la difesa della vita che da cristiani si vuole sostenere.
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