30 gennaio 2024

Lunga vita al sindacato ma dica come la pensa sui temi caldi

C’era una volta il sindacato. Si occupava di lavoro.  Si batteva per migliorare salari, sicurezza, salubrità dei luoghi di lavoro. Per la prevenzione.   In senso lato, si interessava dei diritti dei lavoratori declinati in ogni loro aspetto.

Interveniva su questioni più generali, non strettamente legate al proprio campo d’azione: sanità, casa, ambiente, istruzione. Una contrapposizione tout court al potere, che non si limitava alle parole e a documenti, ma si allargava a manifestazioni tipiche dei gruppi sociali di protesta.  

Soggetto politico con l’ambizione d’essere autonomo dai partiti, il sindacato valeva molto. Almeno quanto il re di briscola. In alcune circostanze anche qualcosa di più, non escluso l’asso. 

Battagliero e rigido nelle sue posizioni, contava sulla fiducia e l’appoggio dei lavoratori, con gli appartenenti alla mitica classe operaia portati in palmo di mano. Con le tutte blu, lima, chiave inglese, tornio, icona della lotta. Con il Cipputi di Altan, che le rappresentava con disincantato sarcasmo.

I leader nazionali e locali erano conosciuti e rispettati. Temuti dalla controparte. Gli slogan, dichiarazioni d’intenti. Chiari. Comprensibili. Diretti.

Il sindacato c’è ancora. I lavoratori sono sempre al centro del suo impegno. Non è più il re di briscola e neppure il fante.

Il sindacato è vivo e qualche volta lotta insieme a noi. Non sempre.

La classe operaia è in via d’estinzione. Ma non è andata in Paradiso. 

Le tute blu sono un fossile del passato. Evolute, schiavizzate dalla tecnologia, robotizzate da algoritmi e digitale, rischiano l’alienazione senza accorgersene.

I figli dei lavoratori ora frequentano l’università, che li istruisce e li forma per un futuro da precari. L’ascensore sociale è guasto. Se funziona, va lento e trasporta pochi fortunati.

Gli slogan si sono ingentiliti. Meno provocatori e più raffinati non risultano immediatamente comprensibili.  Troppo intellettuali e poco evocativi. Ancor meno incisivi e comprensibili. 

Intelligenza sindacale, è lo slogan della campagna tesseramento di quest’anno della Cgil Emilia Romagna. Che vuol dire? Lo spiega la stessa Cgil. «Un messaggio che - collegandosi a quello riportato dalla campagna nazionale Una tessera, molte voci - vuole sottolineare il valore della rappresentanza, della partecipazione e della solidarietà nel mondo del lavoro e nella società» (https://www.cgilra.it/tutte-le-notizie/intelligenza-sindacale-la-campagna-di-tesseramento-2024-della-cgil-emilia-romagna.html). 

Intelligenza sindacale.  Come no?  Ci manca lo spritz e il fighetta che non ha mai lavorato, che ti spiega come si è giunti al risultato. Alla fatica. Al brainstorming. Alle discussioni. Alle pippe che hanno sostituito la sostanza.

Lotta sindacale sarebbe stato più comprensibile. Ma lotta non è politicamente corretto. È vetero-linguaggio massimalista. Sindacalismo rivoluzionario. Pansindacalismo anarchico-operaista. Roba vecchia. Obsoleta. Morta e sepolta.  Comunque se uno slogan necessita di tre righe di spiegazione, non funziona. 

Tra i leader sindacali attuali spicca Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ma è una luce nella notte. È personaggio mediatico. Va spesso in televisione. Buca il video.

Un uomo solo al comando funzionava con Fausto Coppi. Da alcuni anni, nonostante la personalizzazione della politica e l’importanza esasperata della leadership, un ruolo decisivo per il risultato lo assume la squadra. Il gruppo. E il sindacato, oggi, non veicola l’idea di un team vincente.

I colleghi di Landini sono illustri sconosciuti per la maggioranza dei cittadini. 

Per i sindacalisti locali la situazione è identica.  Anzi, peggiore.

Assente una superstar che li illumini, privi di luce propria, non usufruiscono neppure di quella riflessa. Poco visibili vivono e lavorano nella penombra. Come lucciole, ogni tanto s’intravedono nel buio, ma subito ritornano nell’oscurità.  E nella società dell’immagine, dei riflettori, della visibilità, sostare nel grigio equivale a un harakiri. 

Per Cremona e provincia è la normalità.  Non è un’esclusiva sindacale. 

In politica, nei partiti, nelle istituzioni, non si intravedono stelle capaci di infondere speranza nel futuro. Non c’è Sirio, ma nemmeno qualcosa che le assomigli.

I tempi sono cambiati, le condizioni storiche profondamente mutate. Alle tradizionali Cgil, Cisl, Uil, si è aggiunta l’USB, che nella nostra provincia è molto attiva. La vicenda Pro Sus di Vescovato è l’ultimo esempio del sindacalismo vecchio stile di questa sigla.

I partiti si sono squagliati. La comunicazione stravolta.  Le ideologie evaporate. Liquidità e mancanza di certezze governano il mondo. I paragoni con il passato difficoltosi. Forse inutili.

Vale anche per il sindacato.  Ma non è lesa maestà porre alcune domande su ciò che forse avrebbe potuto fare e non ha fatto. Per capire perché su alcune questioni non è pervenuto. Muto. Probabilmente reggitore di bordone. Magari indifferente per inedia. Per quieto vivere. 

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Non è necessario che risponda.  Sarebbe sufficiente che riflettesse.

Lunga vita al sindacato. E una flebo di anabolizzanti e anfetamine.

Antonio Grassi


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commenti


Alessandro

30 gennaio 2024 17:57

Complimenti sempre a lei. L’innesco di una riflessione, una provocazione, un “eppur si muove “… ne abbiamo bisogno. Grazie

Pasquino

31 gennaio 2024 02:58

Giustissimo e chiaro
Cogito ergo sum ma se vuoi continuare ad esistere e mi chiedi di tesserarmi dimmi com'è che la pensi e se sei disposto a lottare per me o con me