Noi siamo il popolo della Vita!
Quanto sono ingenui gli evangelisti! Vogliono comunicarci il fatto reale della Risurrezione di Cristo ma ciò che evidenziano sono soprattutto i dubbi e le fatiche di tutti gli attori sulla scena. Se fossero stati davvero “scaltri” ci avrebbero raccontato una storia diversa dove tutto appare chiaro, credibile, gioioso, contagioso. Invece, attorno alla tomba vuota, aleggia angoscia, paura, incredulità, fraintendimento.
Non è un caso che Giovanni, nel Vangelo del giorno di Pasqua, annoti che la Maddalena si rechi alla tomba quando ancora è buio: non è soltanto un dato temporale, ma soprattutto spirituale, interiore. Questa donna, che pur ha amato tanto il suo Maestro, è ancora avvolta in quelle tenebre che erano calate sul Golgota nell’ora della morte del suo Signore. Ella va al sepolcro non per cantare l’Alleluia della risurrezione, ma il De profundis della perdita: cerca Gesù tra le cose morte e giustamente non lo trova!
Gli stessi discepoli, quelli più vicini a Cristo – Pietro e Giovanni per intenderci – appaiono come inebetiti di fronte al susseguirsi degli eventi: corrono al sepolcro insospettiti dalle parole di Maria – “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!” – e solo alla fine l’apostolo più giovane e più amato comprende che qualcosa di grande è accaduto: il corpo del suo Maestro non è stato trafugato, ma è stato trasfigurato dall’amore.
Tutti i Vangeli hanno questo comune denominatore: la fatica dei protagonisti a comprendere il mistero della vita che vince definitivamente la morte. Anche le apparizioni che caratterizzeranno le pericopi del tempo pasquale non sono immediatamente comprese dai discepoli tanto che scambiano il Vivente per un fantasma. Eppure Gesù, almeno in tre occasioni, aveva annunciato la sua passione e più volte aveva mostrato di non temere la morte ma di poterla e volerla vincere per sempre.
Insomma questo grande mistero non è facilmente comprensibile, non è affatto semplice credere che la morte possa essere definitivamente sconfitta.
Anche noi, oggi, subiamo la stessa tentazione e non crediamo che la morte possa essere vinta in maniera risolutiva!
Viviamo in un tempo di morte dove ogni speranza sembra essere stata per sempre soffocata. Ci sembrava impossibile che la guerra, con i suoi carichi di lutti e sofferenze, potesse nuovamente toccare il continente europeo e che le violenze tra arabi e israeliani arrivassero a tali punti di incomprensione e di crudeltà. Così come ci sembrava impossibile assuefarci alle centinaia di uomini e di donne – loro sì assetati di vita – morti in mare nella vana ricerca di un futuro nuovo lontano da privazioni e stenti che noi occidentali abbiamo contribuito a creare. Fino a qualche anno fa ci sembrava impossibile che l’aborto da scelta estrema potesse trasformarsi – come è accaduto in Francia qualche giorno fa - in diritto costituzionale o che l’eutanasia potesse essere praticata in così larga scala anche sui bambini con patologie rare ma sempre curabili.
Siamo immersi in una cultura di morte, figlia di un nichilismo disperato, di un individualismo incontenibile, di un edonismo senza freni, di un insensato odio della propria storia, delle proprie radici!
La cultura di morte, infatti, si nutre dell’orizzonte limitato di questo mondo che ci fa credere che siamo fatti solo di terra e che la felicità è da ricercare unicamente qui e ora, usando gli altri finché ci servono, razziando tutto ciò che ci circonda, godendo dell’attimo presente come se non ci fosse un domani, con quell’atteggiamento predatorio che sta trasformando quel meraviglioso giardino terrestre che è il mondo in un brullo e fumante campo di battaglia.
Non abbiamo più fiducia nella vita e non amiamo più la vita: secondo i recentissimi dati dell’Istat la flessione della natalità in Italia è costante. Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%).
Ci stiamo rinchiudendo in noi stessi, siamo sempre più incapaci di guardare al futuro con speranza, di impegnarci per gli altri, di interessarci del bene comune, di alzarci in piedi nel denunciare le ingiustizie e i soprusi. Le giovani generazioni – sempre più ribelli e refrattarie ad ogni rispetto delle regole – sono il risultato del nostro fallimento educativo e ci fanno guardare al domani con preoccupazione, se non con terrore!
Tutto sembra morire: la pacifica convivenza, il rispetto dell’altro – soprattutto se debole e fragile -, la memoria del passato con i suoi valori e le sue tradizioni, l’inviolabilità della dignità umana!
In tutta questa cultura di morte oggi i cristiani hanno il coraggio di alzare il capo ed annunciare agli uomini del loro tempo, così sazi e così disperati, che il loro Dio offre una speranza che da soli non riusciremmo a conquistare, dona una vita che da soli non riusciremmo a custodire, regala un futuro che da soli non riusciremmo a realizzare!
Oggi i cristiani hanno il coraggio di alzare il capo e proclamare che il loro Dio ha disarmato la morte e con essa l’illusione di dover cercare la propria felicità solo su questa terra. C’è un’altra terra, un’altra patria alla quale siamo destinati: in essa non c’è lutto e dolore, discordie e rancori, disprezzo e vendette, ma solo pace e armonia, comunione, fraternità. In quella terra, che è il cuore di Dio, il Paradiso, ritroveremo quanti abbiamo amato ed ameremo quanti abbiamo odiato.
Oggi i cristiani hanno il coraggio di alzare il capo e annunciare che nessun uomo è solo, che l’esistenza non è governata dal caso, che la sofferenza non è mai fine a sé stessa, che il peccato non è un invincibile avversario.
Oggi i cristiani hanno il coraggio di alzare il capo per dire che Cristo è Risorto, è vivo, è contemporaneo all’uomo e che l’ultima definitiva parola sulla storia non sarà quella dei potenti, dei superbi, degli arroganti, dei violenti, ma sarà quella degli umili, degli ultimi, dei diseredati, di quanti hanno lottato per la giustizia e sono stati uccisi, di quanti hanno creduto nella fraternità e sono stati derisi, di quanti hanno esercitato la carità e sono stati emarginati.
L’ultima parola sarà quella di quanti si sono fatti crocifiggere per amore, unicamente per amore!
Oggi i cristiani hanno il coraggio di alzare il capo per asciugare le lacrime di chi ha perso la speranza, di chi è schiavo del vizio, di chi è ferito dal tradimento, dei tanti disillusi e sconfitti dalla vita, di quanti temono la morte e la esorcizzano vivendo un’esistenza impazzita.
Oggi Cristo è risorto e noi, suo popolo, con Lui!
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