Non cerchiamo la fine ma il fine del mondo!
Il mondo che noi conosciamo avrà un termine questo è certo! Dio, in Cristo Gesù, ricapitolerà ogni cosa e anche la Creazione così fragile e transitoria godrà di una trasfigurazione che nessuno può immaginare. Al cristiano, però, il momento in cui questo accadrà non deve interessare, non perché non si tratti di un evento importante, decisivo, ma perché a quel momento deve essere sempre preparato. Quante volte il Maestro insiste con i suoi uditori perché maturino un atteggiamento vigilante: il Signore verrà quando meno ce lo aspettiamo e desidera trovarci in piedi, operanti nel bene, profondamenti giocati nell’amore. In un passo del Vangelo di Luca – che ci accompagnerà per tutto il prossimo anno liturgico -, Gesù proclama: “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa” (Lc 12, 35-36). Le “vesti strette ai fianchi” richiamano l’atteggiamento tipico dei lavoratori antichi, o dei pellegrini che volevano camminare spediti verso la meta: per non avere impaccio nei lavori, o nel cammino, erano abituati a sollevare e arrotolare le vesti bloccandole con una cintura. Mentre le “lucerne accese” rimandano alla fede, cioè a quella interiore certezza che fa dire che il Signore torna sempre e che se si allontana è solo per saggiare la capacità dell’uomo di gestire la propria libertà, i propri talenti, la propria responsabilità.
Il Signore, quindi, ci chiede di vivere l’istante presente come se fosse l’ultimo, sempre. E questo che cosa significa concretamente? Significa bandire la banalità e la superficialità dal nostro quotidiano lasciando da parte parole vuote e stantii luoghi comuni, rallegrarsi di ogni gesto di bene di cui si è spettatori perché il buono va sempre condiviso e amplificato, allontanare dal cuore ogni desiderio di rancore e di rivalsa perché il tempo non va sprecato nell’odio, arrestarsi nella propria corsa quotidiana per assistere al miracolo del fiore che sboccia e del neonato che vagisce perché l’anima ha bisogno di nutrirsi di bellezza, lottare quando la dignità dell’uomo è calpestata, vilipesa o derisa perché se il Paradiso deve germogliare già su questa terra non ci può essere spazio per il sopruso, la violenza, la disparita, il pianto.
Che il Signore arrivi oggi, domani, fra cent’anni non importa, importa che egli verrà e ci chiederà se abbiamo camminato o ci siamo trascinati, se siamo stati audaci nell’amore o se abbiamo chiuso il nostro cuore agli altri, se abbiamo vivacchiato o vissuto.
Il Cristianesimo non è mai stato e non sarà mai un anestetico alla coscienza, una sorte di calmante sociale per tenere a freno i poveri e gli oppressi. Chi lo afferma non ha mai letto seriamente il Vangelo e non ha mai realmente studiato la storia della Chiesa. Se lo avesse fatto si sarebbe accorto di quanti cristiani si sono tirati su le maniche per anticipare quel Regno di giustizia e di pace che Cristo verrà ad inaugurare con il suo ritorno glorioso. Il Cristianesimo più che un narcotico della coscienza e un eccitante della carità, uno stimolante al bene. Se uno prende sul serio le parole di Cristo sull’amore al prossimo, sul potere disarmante del perdono, sulla fraternità che si fonda sulla comune dignità di figli di uno stesso Padre non può certo stare con le mani in mano.
Qualche giorno fa la nostra diocesi ha celebrato la solennità patronale di Sant’Omobono, il primo laico non nobile ad essere canonizzato dalla Chiesa. L’amore per Cristo e per la sua Parola lo ha portato ad essere un vero e proprio rivoluzionario del bene, un punto di riferimento per tanti: padre dei poveri, ambasciatore di pace, difensore della verità. La sua contemplazione della croce non lo ha portato a chiudersi in un mondo onirico, in uno spiritualismo immobile, in una accorata supplica a Dio affinché sistemasse il mondo correggendone le storture! La sua fede, il suo rapporto con Cristo lo ha scaraventato nel mezzo dell’agone cittadino: egli si è dato senza riserve, ha rischiato reputazione e vita, ha mostrato il suo viso. Cristo quando ti afferra ti spinge sempre verso il fratello!
Omobono, come migliaia di uomini e donne di buona volontà, ha vissuto come se il Signore dovesse venire subito, come se dovesse venire sempre. Non si è preoccupato di come e quando Cristo sarebbe apparso nella gloria, si è preoccupato di riempire di Vangelo ogni istante della sua esistenza. Chi vive il presente nell’amore non teme il futuro perché sa di non aver operato invano. Sant’Omobono ha vissuto sempre con i fianchi cinti e la lucerna accesa: per lui il domani è già oggi!
Non cerchiamo, dunque, la fine, ma il fine del mondo: l’amore ricevuto e donato in ogni istante che ci è dato da vivere!
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commenti
Stefano
18 novembre 2024 16:37
Si ha ragione, meglio non considerare quanto di fatto in tante situazioni il cristianesimo sia un narcotico della coscienza; un insieme di parole vuote e vane; formule ipocrite quale quel ", pregherò per te" , segno d'impotenza o scusa x non impegnarsi per gli altri credendo così di avere la coscienza a posto. Meglio non considerare tutto questo,se no ci sarebbe da cambiare religione.