9 novembre 2021

Piero Gazzola e il liberty a Cremona

Molti cremonesi, attenti al patrimonio architettonico della loro Città e alla salvaguardia della sua identità avranno certamente presente come Piero Gazzola sia intervenuto quando era Soprintendente del Veneto Occidentale, sotto la cui giurisdizione rientrava Cremona. Ripercorrere le vicende cittadine, che lo vedono protagonista nella nostra Città, è ricerca che richiederebbe uno studio specifico. Qui s’intende solo osservare come  le scelte talvolta vincolanti e talvolta solo propositive del Soprintendente siano coerenti con la Carta di Venezia del 1964 in cui nei primi articoli si legge: 

Art. 1 La nozione di monumento storico comprende tanto la creazione architettonica isolata quanto l'ambiente urbano o paesistico che costituisca la testimonianza di una civiltà particolare, di un'evoluzione significativa o di un avvenimento storico. Questa nozione si applica non solo alle grandi opere ma anche alle opere modeste che, con il tempo, abbiano acquistato un significato culturale. 

Art. 2 - La conservazione ed il restauro dei monumenti costituiscono una disciplina che si vale di tutte le scienze e di tutte le tecniche che possono contribuire allo studio ed alla salvaguardia del patrimonio monumentale. 

Art. 3 La conservazione ed il restauro dei monumenti mirano a salvaguardare tanto l'opera d'arte che la testimonianza storica.

Sono questi i princìpi che consentono di rileggere le scelte di Gazzola e il suo operato. Al contempo si deve  osservare come troppe volte le sue indicazioni siano state disattese per meri interessi economici che hanno finito per distruggere ambienti storici pregevoli della nostra Città. Nel dopo-guerra in nome di un mal inteso modernismo, la disattenzione ai centri storici  divenne  un’ideologia dominante. Al pari della guerra si perpetrarono distruzioni immani. Chi ha memoria sa bene che il riferimento alla nostra Città non è  certo casuale. Gazzola non sempre vinse le battaglie, ma dimostrò dal 1941 al 1973, periodo in cui resse la Soprintendenza,  come la vigilanza si ponesse a baluardo di interventi speculativi alquanto avventurosi.

  Sin qui l’atteggiamento teoretico, ma vi è ben oltre. È fondamentale infatti ricordare come alle conoscenze storico-artistiche in lui si abbinassero competenze tecnico-scientifiche. Si tratta di un approccio professionale sempre di grande rilevanza. La  progettazione è supportata da studi  specifici. Non a caso  Gazzola è stato referente per l’UNESCO per grandi progetti di salvaguardia come  il salvataggio dei templi di Abu Simbel in Egitto e la valorizzazione della valle di Bamiyan in Afghanistan.  

È doveroso inoltre ricordare come negli anni bui della guerra l’Ingegnere/Architetto  con ogni forza fu attento custode dei beni architettonici di cui era responsabile. 

A motivo quindi della complessità della formazione teorica e delle sue competenze, non ci si deve limitare ad un ossequioso ricordo del suo operato iniziato negli anni 40 del secolo scorso, ma si deve far nostra la sua lezione in tutta la sua attualità. Solo il rispetto della memoria storica consente uno sviluppo armonico dell’identità di Cremona. Uno studio, rispettoso del costruito, è presupposto indispensabile per una progettazione consapevole che metta in disparte le velleità di protagonismo di chi avventurosamente si accosta al costruito.

Oltre non si dovrebbe aggiungere, ma così non è. Personalmente ho avuto occasione di sottoporre al Soprintendente Gazzola una questione riguardante uno stabile di Cremona che sembrava ormai essere irrimediabilmente destinato a trasformazione.

Veniamo all’antefatto. Eravamo all’incirca alla metà degli anni “60 quando una società, probabilmente creata ad hoc, aveva acquistato in un edificio residenziale del centro storico ben tre appartamenti. Il piano terra nel progetto doveva essere adibito a spaccio mentre l’appartamento del primo piano doveva essere utilizzato come abitazione del gestore. Il progetto, oltre ipotizzare lo sventramento dell’unità immobiliare di piano terra, prevedeva l’apertura di vetrine: occhi di vetrine realizzate senza soluzione di continuità. Si sarebbe così distrutta completamente l’identità dell’edificio, struttura architettonica facilmente attribuibile ad un primo liberty. Il palazzo estremamente elegante, che nulla concede  a fastose decorazioni, si caratterizza per la presenza di graffiti che evocano una tecnica, all’epoca della sua costruzione, ancora presente in città. Il disegno architettonico rivisita moduli cinquecenteschi. Bifore, finestre sormontate da decori, marcapiani ed un unico balconcino in facciata  riprendono stilemi fiorentini e pisani., “Con un rigoroso ritorno all’antico” vengono ripresi “sistemi e strumenti che venivano utilizzati nel Cinquecento” (Elia Santoro, La Provincia, 29 agosto 1974, p.6). A tale proposito, è doveroso ricordare che l’art.50 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.L. n.51 del 22/01/04) tutela i graffiti al pari degli affreschi.  

Ma osservare solo le facciate, che si affacciano sulla pubblica via, sarebbe fare torto alle scelte progettuali della facciate interne schermate da una muraglia un tempo sormontata da una cancellata in ferro che consentiva d’intravvedere un giardino dalle aiuole che ne definivano i percorsi. Oggi, la cancellata non c’è più: il ferro è stato dato alla patria!. Permane comunque il gusto di  una progettazione che prende spunto dalla natura e ad essa si assimila. La tridimensionalità dell’architettura si declina proprio in questa alternanza fra le facciate decorate e lo spazio dedicato ad una vegetazione che, particolarmente oggi, ci ricorda che il verde è a presidio anche dell’ambiente urbano. 

Facendo una comparazione, sia rispetto allo stile sia rispetto alle tecniche esecutive,  con altri edifici liberty a Cremona il progetto dell’edificio è attribuibile all’architetto Cornelio Bregonzio di Milano o a un suo collaboratore. Nello stabile sono presenti interventi successivi dell’architetto Vito Rastelli che i cremonesi ben conoscono. Basti, a tale proposito, citare il restauro di palazzo Fodri.  

Ebbene, negli anni 60, il Comune di Cremona aveva rilasciato la “licenza edilizia“ ed era evidente che nulla si potesse opporre alla sicumera distruttiva della proprietà. I condomini nonostante le loro rimostranze  si erano dati per vinti. 

Veniamo ai fatti. È allora che io ho deciso di chiedere aiuto al docente di storia dell’arte dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, ateneo che frequentavo. Il prof. Nino Carboneri, dopo aver visto le fotografie dell’intero immobile e dopo aver espresso il giudizio che l’edificio architettonicamente era notevole, mi fece una lettera di presentazione a Piero Gazzola

Il Soprintendente ha esaminato puntualmente il dossier fotografico, che poi ha trattenuto presso di sé. Mi ha descritto con grande attenzione ogni particolare costruttivo e decorativo. Ma la sua lezione non si limitata alla descrizione. Ogni aspetto è stato ricondotto all’unità del palazzo. L’esame dettagliato di ciascun particolare è stato motivo per una lettura che ne evidenziava il valore storico ed artistico. Al contempo, serviva per fare comprendere a me, giovane studentella, come il liberty si caratterizzasse per una ricchezza ed una potenzialità espressiva, aspetti che non solo erano a servizio di un mutato contesto socio-culturale, ma sapevano ben contestualizzarsi con l’architettura storica di Cremona.

Dopo avermi assicurato che sarebbe intervenuto onde evitare tale scempio, Piero Gazzola si è intrattenuto con me a parlare della diffusione del liberty a Cremona. Ciò che mi meravigliava era la sua attenzione per uno stile che negli anni Sessanta in Città non era stato ancora oggetto di attenzione e soprattutto non era individuato nel contesto urbano. 

In vero, nella nostra Cremona il liberty ben si è diffuso a macchie di leopardo per concentrarsi  extra moenia  sul viale Po e sul  viale Trento e Trieste (viale del vecchio passeggio). Tale stile è presenza che scandisce l’evolversi della Città, segno di trasformazioni sociali, economiche e culturali. La sua immissione nel contesto cittadino non offende l’identità dalla Città, al contrario mostra un armonioso fluire della sensibilità del gusto e dell’uso dell’architettura. Di tali interventi ne è stato importante artefice l’architetto milanese Cornelio Bregonzio che ha lasciato un proprio segno nella decorazione. Nella delicatezza dei graffiti e nella rivisitazione di moduli precedenti, trattati con quella sobria eleganza, il liberty  di Bregonzio, quasi in punta di piedi, s’inserisce nel contesto già esistente.

Gazzola aveva ben compreso che salvaguardare le testimonianze del liberty cremonese significava lasciare un segno estetico rilevante e al contempo una memoria identificativa dell’epoca in cui tale stile si era diffuso in Città. I principi della Carta di Venezia facevano da sfondo a questa sua impostazione e accompagnavano la sua descrizione e le sue osservazioni.  

L’edificio residenziale, per il quale avevo impetrato la salvezza, non venne manomesso. L’azione del Soprintendente fu decisiva.

Quanto qui riportato è stato oggetto di un mio intervento qualche anno fa, quando insegnavo Estetica alla S.S.B.A.P., in un convegno (18-dicembre-2014) tenutosi appunto presso la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio del Politecnico di Milano, scuola fondata dal Prof. Amedeo Bellini cui anche la nostra Città è debitrice. 

Ciò che qui si vuole testimoniare è come l’attenzione ai manufatti architettonici costituisca di per sé la loro valorizzazione. La cura è nel rispetto, nell’evitare la realizzazione di “superfetazioni”, nel cercare di “ben usare” quanto si dispone essendo attenti alle attuali esigenze senza farle prepotentemente irrompere. Progettare per un architetto non è certo far uso di atti distruttivi, ma avere attenzione ad un equilibrio che il tempo e la cultura hanno lasciato nella pietra. Conservare per un restauratore è atto paragonabile all’arte medica. Questa lezione di Piero  Gazzola oggi consente ad un mio ricordo di tradursi in memoria attiva per Cremona: il liberty è presente nella sua architettura e va custodito. Custodire è segno di quella nobile eleganza che sa tessere il rapporto fra il passato ed il presente in vista di un futuro. L’architettura è un bene comune e non può essere anestetizzata da amnesie, troppe volte, purtroppo, volgari perché attente al mero utile.  Non si dimentichi che il termine patrimonio è costituito dall’unione dei due lemmi latini pater (padre) e munus (compito) che etimologicamente ben si riferiscono ai valori profondi che costituiscono l’eredità, a quella eredità che consente la vera alleanza fra generazioni.    

Anna Maramotti Politi


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