Roberto Maroni: un uomo nato per correre e tagliare traguardi
“Born to run”, nato per correre, come nel ritornello di una storica canzone del “Boss”, quel Bruce Springsteen che gli ha fatto da colonna sonora per una vita intera. Era proprio così il Maroni (per gli amici “Bobo”) da Lozza, paesino alle porte di Varese: nato per correre. Non solo un motto, ma un refrain divenuto presto uno stile di vita, in politica e nella vita privata. Nato per correre, accettare sfide e tagliare traguardi.
Mi è stato chiesto dal direttore Mario Silla un ricordo dell’uomo Maroni, oltre che del politico da tutti conosciuto e apprezzato. Ho detto subito che l’avrei fatto volentieri, ma ora mi accorgo che ci vorrebbe un libro per raccontarlo come meriterebbe, per cui qui mi limiterò a qualche pensiero in libertà.
Da dove iniziare? Da qualche ora ci sto pensando e ho deciso di partire da un sms, sì un sms del 2005. Era inverno, il Natale alle porte e io lavoravo a Roma, nell’ufficio legislativo del Ministero per le riforme. Ero stata appena nominata, proprio da Roberto Maroni, ai tempi Ministro del lavoro, nel consiglio di amministrazione dell’ex Istituto Italiano di Medicina Sociale, un ente che oggi non esiste più e che si occupava principalmente di ricerca in materia sociale e sanitaria. Un’esperienza tosta che mi ha messo a confronto con dinamiche complesse e con la voglia di fare bella figura verso quel ministro ed esponente di spicco della Lega che, eccezion fatta per il leader indiscusso Umberto Bossi, era sempre stato il mio leghista preferito fin dai tempi del liceo, quando avevo iniziato a seguire la politica e a militare nel “Carroccio”.
Ma torniamo a quel sms (whatsapp non esisteva ancora) del dicembre 2005, molto stringato ma significativo. Diceva semplicemente così: “Vieni al mio concerto, vero?”. Non era firmato, ma il numero di cellulare era quello di Roberto Maroni. E il concerto in questione era quello del “Distretto 51”, la storica band da lui fondata insieme ad alcuni amici e portata avanti nel corso dei decenni, nonostante le vite dei musicisti avessero preso strade diverse (chi verso la politica, chi verso la medicina, chi verso altre professioni, tutte molto impegnative) e considerando che, nel frattempo, avevano anche messo su famiglia. Il Distretto 51 non solo aveva saputo reggere nel tempo, partecipando persino a festival come quello di Porretta Terme, insieme a Zucchero, Wilson Pickett ed altri big della musica internazionale, ma quella volta si presentava a Roma per un mega concerto natalizio, di beneficenza, a base di rhythm & blues e musica soul, la vera passione di Roberto Maroni, più ancora che la politica, il Milan o la barca a vela.
Fu un concerto meraviglioso (ricordo ancora il suo capo di gabinetto che ballava scatenato sotto il palco) e da quella sera cominciai a capire veramente che dentro l’anima di quel ministro sempre così pacato, per certi versi anche timido, estremamente istituzionale e mai sopra le righe, c’era molto di più. Capii che dentro quell’anima c’era un continuo movimento di passioni, ideali, sfide da cogliere e una grande curiosità. Ecco, se dovessi parlare di una qualità di Maroni che ho sempre apprezzato direi la curiosità, non la curiosità fine a se stessa ma quella curiosità che allarga gli orizzonti, che rende la vita una lezione continua, una fonte di nuove conoscenze. Curiosità come apertura verso l’altro, chiunque fosse, persino verso chi politicamente la pensava in maniera diversa da lui.
Con chi gli stava accanto poi, dai numerosi collaboratori ai membri delle scorte, voleva instaurare rapporti di amicizia, condividendone le gioie e anche i problemi personali, che tendeva sempre a risolvere con pacche sulle spalle, consigli saggi e molta comprensione. Qualità rare nel mondo cinico della politica a cui siamo generalmente abituati.
Sapeva essere rigoroso e allo stesso tempo “paterno”. Di fronte alle critiche o agli errori prendeva sempre le difese dei suoi collaboratori, pretendendo però sempre il massimo da tutti coloro a cui decideva di dare fiducia. Come ogni vero leader, sapeva fare gruppo e motivare la squadra.
Maroni era il “capo” che tutti avrebbero voluto avere, quello che capiva se qualcosa non andava per il verso giusto, quello con cui ci si poteva confidare senza timori, pur esprimendo opinioni a volte diverse dalle sue. Era il capo che dopo giornate estenuanti di riunioni, consigli dei ministri fiume o impegnative trasferte sul territorio, in lungo e in largo per l’Italia, sapeva trovare il tempo per una cena in compagnia, qualche momento di relax e di svago per condividere con le persone più vicine i suoi hobby e le sue passioni (ricordo una lunga giornata di lavoro di tanti anni fa, terminata alla sera con una partita di calcetto e una sfida al karaoke tra collaboratori).
E anche durante la Presidenza di Regione Lombardia riusciva a far sentire noi assessori, i suoi assessori, parte di una stessa famiglia, di una grande sfida per la sua e la nostra Regione, di cui essere orgogliosi.
Difficilmente si innervosiva di fronte ai problemi, preferiva affrontarli con il sorriso, la calma e l’ironia; ricorderò sempre l’ironia dolce che lo contraddistingueva e con cui amava stuzzicarci per dimostrarci il suo affetto (ad esempio di me diceva sempre che mi aveva voluto come assessore nonostante avessi un grande difetto: quello di essere interista!).
Ecco, Maroni era un vulcano mite, un fuoco continuo che covava idee, progetti, nuove sfide e che sapeva sempre come raggiungere il traguardo. E di traguardi, in politica e nella vita privata ne ha raggiunti veramente tanti (da ultimo l’uscita del suo libro giallo “Il Viminale esploderà"), facendoli raggiungere anche alle persone che, come me, hanno avuto la fortuna di incontrarlo nel proprio cammino di vita e di godere della sua stima e della sua amicizia, sempre autentiche e durature.
Che Santa Cecilia, patrona dei musicisti (di cui proprio ieri ricorreva la festa) interceda per lui, così che possa riposare in pace, dopo aver corso per tutta la vita.
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commenti
Patrizio
23 novembre 2022 19:50
Bellissime parole.