21 maggio 2023

Se l'uomo non parla, Dio rimane muto!

Dio ha bisogno di me, di te, di noi. Potrebbe benissimo agire da solo, creando o distruggendo a suo piacimento, chiudendo o aprendo secondo i suoi intendimenti, premiando o punendo in base ai suoi giudizi. Invece è così innamorato dell’uomo e della sua libertà da coinvolgerlo nel suo piano di salvezza, da farlo diventare un attore protagonista sul palcoscenico della storia. Egli ha messo nel cuore e nelle mani della sua creatura, fragile come la creta, un tesoro inesauribile: il suo Vangelo. Non solo glielo ha affidato, ma gli ha dato anche il compito di farlo conoscere a chi mai ne aveva sentito parlare. Dio ha consegnato all’uomo la cosa più preziosa che aveva: la vita eterna, la felicità che non ha fine… la partecipazione alla sua stessa natura! (2 Pt 1,4). Sì, perché attraverso il battesimo, l’uomo viene immerso nel mistero di Dio, viene contagiato dalla sua divinità. Contagiato egli deve dunque contagiare chi non è stato ancora toccato dalla grazia!

La cosa che sempre mi stupisce e mi affascina è che Dio ha scelto di farsi conoscere solo attraverso l’uomo: non ci sono altre strade, non ci sono altre modalità di diffusione della sua Parola se non l’umanità concreta di persone che si sono lasciate afferrare da Cristo. E se l’uomo non parla, Dio rimane muto! Se l’uomo non trasmette il Vangelo, esso rimane un libro impolverato! Realtà davvero tremenda, che da una parte riempie di sano orgoglio, ma dall’altra atterrisce per l’enorme responsabilità. 

Quando gli uomini accusano Dio perché appare assente, lontano, indifferente di fronte alle loro legittime richieste, in realtà essi stanno accusando i cristiani! Sì, proprio noi che ci professiamo suoi discepoli! A noi, infatti, è stato affidato il compito di manifestare la presenza di Dio nella storia, di far vedere come la sua grazia agisce nella nostra vita, di quanto siamo felici nel seguire la sua proposta. Noi possiamo e dobbiamo essere la bocca, le mani, i piedi di Dio. L’uomo ha la forza la capacità di esserlo, anche inconsapevolmente. Leggo con sgomento quanto è accaduto in questi giorni in Emilia Romagna e nelle Marche: in pochi minuti la vita di migliaia di persone è stata sconvolta dalla violenza delle acque, ma allo stesso tempo mi consolo nell’apprendere che centinaia di uomini e donne si sono rimboccati le maniche per spalare fango e detriti. Una persona intervista dalla tv ha raccontato commossa: “Oggi avevo per casa una ventina di persone che mi aiutavano a rimettere ordine. Dieci era amici carissimi, altri dieci non li conoscevo!”. Ebbene queste testimonianze non dicono quanto l’uomo sia capace di bene, di traboccante umanità? Questi sconosciuti testimoni di speranza non sono forse le mani, i piedi, il cuore di Dio?

È questo, in fondo, il grande messaggio della solennità dell’Ascensione che celebriamo questa domenica. Gesù, dopo aver accompagnato da Risorto i suoi discepoli per quaranta giorni, torna nel seno della Trinità comandando loro di continuare ciò che lui aveva iniziato. 

Matteo è molto sintetico, accenna alla ascensione di Gesù negli ultimissimi versetti del suo Vangelo, non la racconta, ma la fa intuire. Egli rimarca, anzitutto, il fatto che i discepoli sono undici, un numero che richiama subito una imperfezione di fondo, che dice che il peccato e il tradimento accompagneranno sempre la Chiesa nel suo cammino terreno. La mancanza del dodicesimo ricorda plasticamente che è necessario convivere con la propria e altrui fragilità, riconoscersi sempre indegni. Indegni, ma comunque chiamati. La percezione della propria pochezza è fondamentale per un discepolo, perché lo preserva dalla superbia e dall’autosufficienza, dall’illusione di essere lui il salvatore, la pedina fondamentale nello scacchiere della storia! E in più, tale indegnità, esalta unicamente la misericordia di Dio, che usa le persone più inadeguate perché sia magnificata solo la sua potenza. Questa profonda verità salva da un alibi diffusissimo sulla bocca di tanti cristiani: “Ma proprio io devo annunciare il Vangelo? Io che sono così ignorante e così peccatore?”. Se dovessimo aspettare di essere santi e dotti probabilmente non inizieremmo mai! Invece è proprio partendo dalla propria pochezza che l’uomo può ancora di più esaltare Dio e la sua infinita bontà e misericordia: basterebbe “soltanto” raccontare quanto ci sentiamo peccatori e allo stesso tempo quanto ci sentiamo amati da Dio, riconciliati nel suo amore!  Basterebbe dire quante volte abbiamo tradito il Signore e quanto volte egli ci ha riaccolto nella sua casa. 

San Paolo molto efficacemente afferma nella Seconda lettera ai Corinti: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole è allora che sono forte” (cfr. 2Cor 12,9-10).

Basterebbe essere autentici e far conoscere quello che abbiamo nel cuore! Basterebbe ricordarci e ricordare quella splendida promessa che Gesù continua a mantenere: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Basterebbe…

Claudio Rasoli


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commenti


Ivana

21 maggio 2023 10:43

Grazie !!!