Solo chi ha il cuore di un bambino riesce a vedere Dio!
È da ingenui pensare che i bambini siano buoni, candidi, innocenti. Come se quell’innata inclinazione al male, che nemmeno il battesimo può eliminare – perché non può eliminare la libertà -, non li riguardasse. In realtà sappiamo bene anche i nostri cari fanciulli sono capaci di azioni crudeli, meschine e ciniche. Assai smaliziati sanno come umiliare e sconfiggere i propri coetanei o come ottenere dagli adulti quello che vogliono attraverso subdoli ricatti affettivi.
No, neanche il bambino, che sta facendo ancora i primi passi sul palcoscenico della vita, è esente dal peccato!
Allora perché Gesù pone in mezzo ai suoi discepoli, come modello, proprio un fanciullo? Quale insegnamento possono trarre questi uomini che, come reazione all’annuncio della morte del loro Maestro, si azzuffano per stilare la graduatoria del più importante del gruppo?
Il bambino, anzitutto, è cosciente della propria “fragilità”: brama di esplorare il mondo, spinto da un innato desiderio di conoscere e di apprendere, ma, ad un certo punto, si ferma e cerca la mano rassicurante del proprio genitore. La paura del nuovo e lo smarrimento di fronte a cose più grandi di lui lo portano istintivamente a ripararsi tra le gambe del papà o della mamma, a fare mille domande, a supplicare “vieni con me”, “accompagnami”. C’è un terreno insondato che non può essere calpestato se non alla presenza di chi è più grande! Un atteggiamento che, in prospettiva cristiana, può essere assimilabile all’umiltà, ovvero alla consapevolezza di essere “creatura” che ha costantemente bisogno di far riferimento al proprio Creatore così da conoscere quel limite che garantisce la sua dignità e paradossalmente l’esercizio pieno della libertà.
In secondo luogo il bambino, proprio perché piccolo e indifeso, si affida naturalmente ai propri genitori: sa di poter contare su di loro, di aver qualcuno sempre pronto a consigliarlo, a guidarlo, a difenderlo. Senza questa presenza egli è conscio di essere destinato alla sconfitta perché le richieste del mondo sono troppo impegnativa per le sue sole forze. Nell’ottica cristiana potremmo qui parlare proprio della “fede” che conduce ad affidarsi ad un Mistero, che non ha nulla di irragionevole, ma che non può essere raggiunto, svelato o conquistato dalla sola ragione. Avere fede non significa fare un salto nel buio, ma fare un salto tra le braccia di un Padre che ha cura di ciascuno e che ama così tanto l’umanità da inviare il suo Figlio nel mondo a condividere tutte le gioie e le amarezze dei suoi figli. Un bambino sa che qualsiasi cosa gli dice o gli impone il suo genitore è sempre per il suo bene e che mai lo condurrà in sentieri impervi, tenebrosi e pericolosi. Quando sente la mano del papà che avvolge la sua, non prova più paura, non ha incertezze, cammina con passo svelto. Potrà anche attraversare una valle oscura, ma non temerà alcune male, perché il papà è con lui!
Infine, è tipica di questa età, la capacità di stupirsi, di meravigliarsi di fronte alla vita e al mondo. A dire la verità in questa era digitale, in cui è stato permesso ai bambini di diventare voraci divoratori di immagini e concetti, senza però avere la capacità di discernerli, catalogarli, organizzarli, questa attitudine naturale si è un poco persa. Oggi, purtroppo, abbiamo bambini troppo disincantati e cinici, che sanno tutto e che non si lasciano più interrogare dal mondo, che sempre meno frequentemente restano con la bocca spalancata di fronte a qualcosa di nuovo. Tutto ciò porta, inevitabilmente, ad un approccio più difficile con il “divino” ma anche con il mistero della vita! Non c’è da meravigliarsi se poi giungono all’adolescenza annoiati e disillusi: hanno raggiunto tutte le tappe troppo velocemente, sanno già tutto e non c’è nulla che li coinvolga o li appassioni sul serio.
In tempi non sospetti i bambini, invece, si accostavano al mondo con gradualità, scoprendo lentamente le cose e rimanendovi, ogni volta, ammirati e stupiti. Quando di un adulto si dice “ha un cuore di bambino” significa che è una persona che è sempre pronta ad imparare, a lasciarsi sorprendere positivamente da ciò che accade, a lanciarsi con entusiasmo nei progetti, a fidarsi degli altri e del futuro.
La fede nasce, si nutre e si rafforza grazie allo stupore: all’attitudine, cioè, a non dar mai nulla per scontato, al desiderio profondo di addentrarsi sempre di più nel mistero di Dio. Quando ci si abitua, quando non nascono più domande – vedi il Vangelo di domenica scorsa -, quando si ritiene di conoscere tutto e non c’è più quello slancio a “conoscere” e “sperimentare” allora c’è da dubitare che la fede sia ancora parte integrante e fondamentale della propria vita.
Gesù di fronte alla corsa dei suoi discepoli ad occupare il primo posto, prende un bambino e lo addita come modello di fede e di umanità. Non perché puro e moralmente ineccepibile, ma perché fragile, inerme, sempre alla ricerca di una mano che lo accompagni, capace di stupirsi per una farfalla che si posa delicatamente sulla mano o per un fiore che sboccia ai primi raggi del mattino.
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