Tra i segreti della A grigiorossa, un gruppo dirigente capace e coeso
C’era una volta a Cremona la società pane e salame, che giocò in serie A negli anni in cui era il campionato più bello del mondo. Quando Giovanni Arvedi rilevò la Cremonese nel 2007, pensò che se a Cremona ci era riuscita una squadra pane e salame, non c’era motivo di credere che non ci sarebbe riuscita una squadra ostriche e champagne. Ma il calcio è strano, ha meccanismi tutti suoi, e mentre il Cavaliere investiva soldi per abbellire lo stadio, per creare un centro sportivo all’avanguardia, per tesserare calciatori di gran fama, i risultati non erano quelli sperati. Il calcio, si diceva, non è come una grande azienda, i bilanci non scendono in campo e il ritorno sugli investimenti dipende dalla coesione societaria, dalla serenità dell’ambiente, dall’amalgama del gruppo tecnico e certamente pure dalla fortuna. Oggi Giovanni Arvedi ha raggiunto meritatamente Domenico Luzzara nell’Olimpo grigiorosso, e lo ha fatto proprio quando ha trovato un gruppo dirigenziale capace e coeso e una squadra con entusiasmo e motivazioni, proprio come fu nella prima grande epopea grigiorossa del dopoguerra.
SQUADRE VINCENTI
Arvedi e Luzzara si somigliano innanzitutto quando sostengono di non sapere nulla di calcio, a prescindere da quale sia il loro vero pensiero. Per il resto sono molto diversi. La principale differenza è che Arvedi, comunque vada l’avventura in serie A, lascerà una società strutturata con uno stadio che è un gioiello e un centro sportivo, che ospita i campi del settore giovanile e la sede, che fa invidia a tante società più blasonate. Luzzara come noto, quando il giocattolo si ruppe lasciò una situazione tragica che portò a sfiorare il fallimento.
La squadra vincente di Luzzara era formata da gente come Erminio Favalli, Beppe Miglioli, Eraldo Ferraroni, persone capaci, competenti e dall’indubbio spessore umano. Sapevano mettere tutti nella condizione migliore per rendere al massimo, e si avvalevano di una rete di osservatori all’altezza. Quando emersero i dissapori interni, la caduta fu immediata e fragorosa. Dopo tanto turnover Arvedi ha saputo affidare ad Ariedo Braida un team che ha trovato in Giacchetta il ds ideale. Quella di 40 anni fa era una squadra tutta cremonese, questa no, ma difficilmente la nostra città avrebbe potuto offrire personalità di tale spessore.
I GIOCATORI
Rispetto agli anni Ottanta e Novanta, non è più tempo di improvvisazioni. Se allora la prima promozione in A fu un’invenzione di Emiliano Mondonico, e le seguenti frutto di un ambiente irripetibile, oggi la pianificazione degli investimenti e una programmazione economica puntuale sono fondamentali. La squadra affidata a Fabio Pecchia ha un’età media molto bassa, ma soprattutto i giocatori che più si sono messi in luce hanno tutti attorno ai 20 anni. Anche così si spiega la frenata di fine stagione che ha portato agli inattesi ko contro Crotone e Ascoli. È tipico dei giovani perdere quando si ha tutto da perdere e vincere quando non si ha niente da perdere, e infatti a Como si è presentata una squadra più “leggera” nella testa, il che ha fatto la differenza. Un dato importante: gli undici titolari scesi in campo venerdì sera al Sinigaglia erano tutti italiani, elemento tutt’altro che ordinario di questi tempi.
6 MAGGIO, CREMO-DAY
Sì, si potrebbe davvero pensare di istituire il 6 maggio come Cremo-day. Troppe le anomalie con la precedente promozione della Cremo di Arvedi, quella in B di 5 anni fa contro la Racing Roma: la data, la pioggia, la rimonta.
BRAIDA, LA SVOLTA
Possiamo dirlo: l’arrivo, il 12 novembre 2020, di Ariedo Braida (proveniente dal Barcellona di Messi, mica fuffa), ha rappresentato la svolta. Non è un caso che il mercato invernale della stagione 2020-2021 abbia portato a Cremona un allenatore come Pecchia e giocatori come Carnesecchi e Baez: basta nomi di spicco, ma solo elementi funzionali. All’esordio del nuovo allenatore, la Cremonese si trovava in zona retrocessione, con lui in panca la squadra ha trovato in fretta una precisa identità risalendo le posizioni fino a sfiorare i play-off promozione. Il capolavoro si è completato la scorsa estate, quando Braida ha scelto Simone Giacchetta com nuovo direttore sportivo, poi una serie di scommesse vinte: il ritorno di un Gaetano che era stato troppo altalenante nella precedente esperienza grigiorossa, l’arrivo di un attaccante come Di Carmine e soprattutto giovani molto interessanti in prestito dalle big: oltre a Gaetano dal Napoli, Okoli dall’Atalanta (che si aggiungeva al confermato Carnesecchi) e la coppia Fagioli-Zanimacchia dalla Juventus, due che in bianconero avevano vinto la Coppa Italia di serie C proprio con Pecchia in panchina. Quella che abbiamo ammirato è un squadra dal gioco piacevole, dai meccanismi oliati e dall’impronta inconfondibile, che ha ampiamente meritato la promozione a detta dei principali avversari. Il gioco corale è dimostrato dal fatto che nessun giocatore grigiorosso quest’anno ha segnato più di 8 gol in 38 partite. Una miseria, se si pensa che l’altra neopromossa, il Lecce, ha messo a segno 34 gol con la sola coppia Coda-Strefezza (tra l’altro due ex grigiorossi).
SETTORE GIOVANILE
Ecco, se c’è una cosa da migliorare è il contributo del vivaio in chiave prima squadra, un contributo essenziale anche per motivi di bilancio. Ai tempi di Luzzara 2-3 giovani del settore giovanile erano lanciati ogni anno in prima squadra, mentre oggi, nonostante il grande investimento nel centro sportivo Giovanni Arvedi, ciò non accade. Eppure i tempi dovrebbero essere maturi per “sfornare” i primi elementi. Va detto però che il mercato è molto cambiato negli ultimi decenni: oggi sono tanti gli stranieri che arrivano in A, basti pensare all’Udinese nel cui undici titolare spesso è difficile trovare un italiano. Anche la rete di osservatori che una volta guardava tradizionalmente al mercato interno (anche perché il numero di stranieri era limitato) oggi si deve occupare del mercato globale. Insomma, un mondo che è cambiato.
MONZA E LA A STREGATA
È davvero incredibile il numero di volte in cui i brianzoli sono stati beffati in vista del traguardo. Avvenne per 4 volte di fila tra il 1977 e il 1980, con la squadra sempre allenata da Alfredo Magni. Nel torneo 1976-’77 il Monza neopromosso in B vantava giocatori del calibro di Terraneo, De Vecchi, Buriani, Antonelli e Tosetto, che al Milan vinceranno lo scudetto della stella. Con loro anche Ariedo Braida col numero 11. Per la A sembrava fatta, ma nelle ultime 4 partite il Monza raccolse 3 pareggi e una sconfitta al penultimo turno, e arrivò a 2 punti dalla promozione diretta e a un punto dagli spareggi promozione, a causa di un autogol nel finale dell’ultima partita. L’anno successivo il Monza perse con la pericolante Pistoiese alla penultima giornata venendo sorpassato dall’Avellino, che andò in A. Anche nel ’79 sembrava fatta, ma proprio all’ultima partita il Monza perse in casa contro un Lecce senza più obiettivi, e fu costretto allo spareggio col Pescara, che lo vinse. Nel 1980 il Monza è trascinato dalla grande coppia Monelli-Massaro, la squadra vola ma ancora una volta frena nel finale e subisce il sorpasso con la sconfitta casalinga alla terzultima giornata col Brescia.
Dopo un lungo periodo in serie C, riaffacciatosi alla B il Monza un anno fa fu sconfitto nella semifinale playoff dal Cittadella: fu inutile il 2-0 casalingo dopo la scoppola (0-3) dell’andata. E venerdì sera nuovo finale beffardo, con un 2° posto sfumato proprio sulla linea del traguardo. Ce n’è abbastanza per augurare a Berlusconi e Galliani di festeggiare la prima serie A ai playoff.
IL FUTURO
Le prime mosse di mercato di Giacchetta dovrebbero riguardare le conferme dei prestiti. Difficile trattenere Gaetano e Fagioli, che potrebbero tornare alle case madri. Su Carnesecchi dipende dall’Atalanta: potrebbe perferirlo a Musso e lanciarlo in prima squadra, ma su di lui ci sono gli occhi di altre big, soprattutto la Lazio. Un anno fa rimase a Cremona piuttosto di fare la riserva in A, anche stavolta senza garanzie potrebbe rimanere. Più probabile riuscire a trattenere un altro anno Okoli e Zanimacchia. Quindi si potrà attingere a nuovi prestiti, facendo valere una categoria certamente più attraente della serie B, e poi è certo che Braida cercherà di pescare qualche giocatore forte in cerca di riscatto. I suoi agganci internazionali porteranno all’arrivo di calciatori stranieri.
Quel che conta è che oggi il calcio è cambiato, non contano più le grandi tifoserie, ma la struttura societaria: gli introiti dei diritti tv e delle coppe europee sono molto più ingenti rispetto a quelli derivanti dalla vendita dei biglietti, ecco quindi che città di provincia possono ambire a traguardi ambiziosi. Fu il Chievo ad aprire le danze, oggi l’Atalanta è una big europea e il Sassuolo è avviato su una strada simile. Anche Empoli e Spezia studiano da grandi mettendo in mostra un gioco apprezzabile, ben lontano dai bunker difensivi proposti dalle piccole il secolo scorso. Ovviamente la solidità societaria è fondamentale, ma su questo punto Cremona non ha grossi problemi.
IL GRAZIE DEI CREMONESI
Nel momento più alto è giusto ricordare chi vent’anni fa salvò la U.S. Cremonese dal baratro, gente come Erminio Favalli che evitò il fallimento con uno sforzo personale, e come la bandiera Mario Montorfano che, in coppia con Claudio Bencina, allenò una squadra raffazzonata in serie C2 evitando la retrocessione nei dilettanti.
Ora torniamo ai nostri brindisi e ai nostri scetticismi tutti cremonesi. Se fino a qualche giorno fa il mantra era “ma tanto in A non ci vogliono andare” oggi diventa “cosa ci andiamo a fare se torniamo giù subito?”. In fondo il sapere volare basso è una forza, ma non esageriamo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti