10 ottobre 2025

Le numerazioni con i piedi per insegnare a contare fino a otto

NUMERAZIONE CON I PIEDI

Dalla tradizione popolare, nel suo essere cofanetto di amorevolezze e di attenzioni ai bambini, si può cogliere pure una modalità per insegnare ai cuccioli d'uomo i numeri fino all'ottava unità. In quale maniera?

La risposta ci viene data da quanto scrive Luciano Dacquati, il quale dice che i bambini venivano messi seduti su una panca con piedi allungati in avanti. Uno di essi recitava:

Pée néegher, pée biàanch,

'l è ciinch e cinquàant,

'l è ӧӧп,

'l è dùu,

'l è trìi,

'l è quàter,

'l è cìinch,

'l è sées,

'l è sèt,

'l è òt,

'l è pée sòp.

Piede nero, piede bianco,/è cinque e cinquanta,/è uno,/è due,/è tre,/è quattro,/è cinque,/ è sei,/ è sette,/ è otto,/ è piede zoppo

A questo punto i bambini dovevano, più presto che potevano, tirare i piedi sotto la panca. L'ultimo pagava pegno. E intanto per i bambini più piccoli si apriva un iniziale spaccato delle future tabelline.

Dello stesso divertimento didattico parla pure Ezio Capelli ne suo libro Casalmagiùr, me amur, in riferimento ai giochi d'infanzia praticati nella città rivierasca negli anni Venti del secolo scorso, presso l'Asilo Chiozzi curato dalle Suore di Maria Bambina. Qui, d'estate in cortile e d'inverno in un grande camerone, i bambini venivano fatti sedere su lunghe panchine e a gruppi venivano indirizzati allo svago dell'apprendimento dei numeri attraverso la recitazione di una filastrocca analoga a quella segnalata da Dacquati: «Pe vön, pe dü, pe trii... ecc. (Piede uno, piede due, piede tre ... ecc.)»>, sino ad arrivare al fatidico «tira sö cul gambinèl... che scòt (tira su quella gambetta che scotta)». A questo punto si faceva arretrare sotto la panca uno dei due piedi, il destro o sinistro come stabilito nei preliminari di gioco.

Il riferimento alla dimensione numerica ed aritmetica che giungeva fino all'otto, mi porta a ricordare la composizione di uno dei poeti contemporanei più rilevanti della provincia di Cremona: Giampietro Tenca, di Motta San Fermo, frazione di Casalmaggiore. La poesia s'intitola infatti «An nömar (Un numero)».

Anche in essa riverbera il numero doppio di quattro, non come limite di un conteggio raggiunto col gioco dei piedi, ma come durata oraria della fatica quotidiana. Giampi, il bambino d'un tempo, è diventato da grande un funzionario di banca ed un poeta di vaglia. Per questo egli sente sempre l'impellente desiderio di volare con i versi del suo dialetto, come capita di volare nei desideri di tanti bambini, e di tanti eterni Peter Pan.

An nömar

Chi sója? Sóm an nömar,

matricula sètcentrentón,

na gósa déntr'al mar...

Chi sono? Sono un numero,

matricola settecentotrentuno,

una goccia dentro il mare...

Praticamént ansön.

Gentil, giàca e cravata,

in sla fàcia pitürà

an bèl suris, ad làta,

sémpar précis, stampà.

Praticamente nessuno.

Gentile, giacca e cravatta,

con dipinto sulla faccia

un bel sorriso, di latta,

sempre uguale, stampato.

Cunsigli, du parér, l

a mént sterilizàada,

acsé völ al mastér,

òt ùri par giurnàda.

Consiglio, do pareri,

la mente sterilizzata,

così vuole il lavoro,

otto ore al giorno.

In nòm dal vintisèt

vandì u 'n tòch dla véta...

Mé pénsi an pu in dialét

che a vulà 'l àm jöta.

In nome del ventisette

ho venduto un pezzo di vita...

Io penso un po' in dialetto

che mi aiuta a volare...

Nella foto di Ernesto Fazioli, bambini che giocano ai Giardini di piazza Roma

Agostino Melega


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