20 febbraio 2024

"Che fümàana! Ghe vòol na scüdéla de trìpa"

"Cosa c'è nella nebbia in Valpadana, 
ci son cose che a dirle non ci credi, 
non ci credi nemmeno se le vedi, 
a parte il fatto che non le vedi". 

Così cantavano nella sigla dello sceneggiato "Nebbia in Valpadana" Cochi (Ponzoni) e Renato (Pozzetto) canzone scritta insieme al grande Enzo Jannacci. Nella canzone si dice che sarà l'effetto dell'umidità. Oggi che l'umidità è quasi sparita per l'effetto serra, meglio non indagare in questa rubrica legata al cibo che "cosa c'è nella nebbia in Valpadana" anche se l'inquinamento di questi giorni indica com'è cambiata la nebbia, oggi più che mai effetto dello smog e delle schifezze dell'aria in Valpadana. Comunque è "nébia che se pòol tajàa cu 'l curtél" e ricordarsi comunque il proverbio che dice "nébia bàsa, bèl tèemp la làsa". Ma proprio ieri mattina, in via Sicardo, ho incrociato un signore anziano (classe 1936) che commentando il Torrazzo nascosto completamente dalla nebbia mi ha detto: "Che fümàana! Ghe vòol na scüdéla de trìpa". Già la trippa. Quanti ricordi, proprio da queste parti con le osterie che appendevano il cartello "Oggi trippa" ed era il piatto forte degli uomini che facevano grandi sforzi: facchini, scaricatori, carrettieri. Anche qui in via Sicardo, alla "Croce bianca" oggi diventata ristorante "La Sosta".

Un salto indietro nel tempo. Come ricorda l'architetto Gino Priori nei suoi appunti sulle vecchie osterie (1984), la trippa veniva consumata a tutte le ore ma, specialmente, a metà mattina. Si mangiava proprio qui, in via Sicardo, all'osteria dei tre scalini. Famosissima, lì vicino era la trippa dell'osteria "de Spurcacin" in via Beltrami, speciale perchè si diceva fosse fatta con il brodo d'oca anche se in realtà nel pentolone c'erano le solite ossa di gamba di bue, servita in tavola quando risuonava il grido "fioi l'è còta". Lì vicino, in via Ala Ponzone, il cartello "Oggi trippa" è sparito con la chiusura de "la Famiglia" ma anch'io lo ricordo in bella vista appeno alle finestre. Stessa cosa in "strada Canòon" ("la Cittadella" o "Melini") oppure alla "Bùsa" in via Mantova, alle "Sabbie" in via Bergamo o a "la Luna" in via Massarotti.

Maurizio Gazzoni, nel suo libro "Osterie"(del 2007 con le foto di Ezio Quiresi) ricorda un'altra osteria tipica di Cremona oggi sparita: la Piccola di via Dante. Era "una delle osterie più conosciute della città, passata dalla madre ai due figli che attualmente 'la fanno andare' ancora oggi a gestione famigliare. La grinta degli attuali gestori (due autentici osti) ha preservato intatta l'anima del locale che è rimasto uno dei pochi ad imbottigliare il vino nella propria cantina - scrive Gazzoni- La stazione retrostante ne ha fatto anche uno dei luoghi di ritrovo per i lavoratori delle ferrovie e delle poste...All'ora dell'aperitivo sul bancone si possono trovare le polpette, la frittata, le uova sode, le fette di cotechino caldo sulla polenta...tutto come un tempo. La specialità della casa è la trippa che servono sia in brodo che asciutta".

Nel libro si danno poi alcuni consigli su come deve essere la trippa alla cremonese. "Si deve usare la qualità 'Foiolo', la pancetta , il sedano, le cipolle, i pelati, il prezzemolo, una noce di burro e un pizzico di noce moscata. Poi ci sono gli aromi: alloro, salvia, rosmarino che si uniscono all'acqua dove si sbollenta la trippa una decina di minuti. Eseguita l'operazione di sbollentatura, gli aromi vanno tolti e la trippa andrà unita al soffritto di pancetta e verdure, cui saranno aggiunti i pelati, il brodo di noce moscata e le spezie. Non abbiate fretta di toglierla dal fuoco" e, come ricorda Lydia Visioli Galetti, nel suo "Cui pée sòta 'l tàaol"..."ricordarsi che la trippa migliora se lasciata riposare ventiquattro ore e poi viene riscaldata".

Un'altra testimonianza sulla trippa arriva da Crema (riportata nello splendido libro "la crema di Crema" scitto da due sacerdoti cremaschi, Pier Luigi Ferrari e Marco Lunghi) e racconta delle tante osterie che si riempivano nei giorni di mercato. "Un indiscusso testimone entrato perfino nel folclore cittadino con la celebra maschera "Al gagèt col so uchèt", Cechino Risari già gestore della Curt Granda, poteva affermare che in questi giorni di mercato 'le osterie di Crema si animavano della presenza di contadini che venivano dalla campagna col biròc. Allo scopo molte osterie avevano al stal con un uomo addetto a destaci al caal e accudirlo per tutta la giornata. Quasi tutti poi si fermavano a mangiare e, per l'occasione, il piatto tradizionale era la tripa coi fasulì'".

Nella foto i tavoli nella pausa del mercato agricolo al foro boario (foto Ezio Quiresi)

 

Mario Pasquali


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