Carnevale di fritti e frittate di pianura
Giorgio Maggi torna sulla tradizione del fritto di Carnevale (non solo cremonese) sia nel dolce che nel salato con alcune.
A Carnevale trionfano i fritti che l'impenitente goloso apprezza senza vergogna eventualmente anche fuori stagione. Volutamente il racconto si alterna tra dolce e salato nella ricerca di indifferenziati gusti lontani.
Mitologia della frittata
A Cremona i fritti hanno una storia centenaria di alimenti nati dalla tradizione colta arrivata dall’Oriente o plebea, golosa e semplice nata a ridosso delle mura tra la città e il grande fiume. La lontana Injera di origini africane diventa a Cremona s’ciounféera o s’scounféen. I fritti sono talmente multiformi nella loro apparente essenzialità che sembrano aver trovato la vagheggiata quint’essenza del sapore con cremonesi aggiustamenti. Un buona frittura sembra cantare un rigo musicale accanto a delicati scrosci sulla rena di lombardi luoghi d’acqua e immediatamente dopo esagerare come una alluvione in seguito ad una piena. Per una buona preparazione del fritto, prezioso è il nostro Platina che consiglia l'uso di “oli men grassi e chiari”, di colore verde perché derivanti da olive “cernute e non smaccate” rispetto ad “oli dolci polputi” più adatti alle minestre. Un racconto culinario, se così si può chiamare, che rinasce dalle tradizioni. Frittura e linguaggio sembrano trovare in un buillon primordiale, un comune formulare in "La lingua, come la realtà, è vendicativa: o la pensi o sei pensato. E se sei pensato, sei fritto.“ (Aldo Busi) e potrai così abbandonarti al goloso rinunciatario destino sino a che, sazio di aurei rosolati, potrai solo allora ribellarti in compagnia di Aristofane (I friggitori. 420 a.C ) “... mi è venuta la nausea a furia di mangiare frittura; portate qui il ventre di una porcella da latte castrata sul finire dell'estate, insieme con panini tiepidi.“ e poi , finalmente rasserenato, potrai accorgerti leggendo Calvino (da Se una notte...) di “odore di fritto che aleggia ad apertura della pagina, anzi soffritto, soffritto di cipolla”... o di “fiori di zucca” (da Romanzi e racconti ) e forse poi rappacificarti per gusto e profumi pensati per paradosso.
Dal nostro Po ai laghi lombardi alle lontane terre sicule di Federico II e ritorno il racconto del cibo è circolare. Il desco, alla tavola dello svevo reale pare fosse imbandito da leccornie descritte nei ricettari di cucina voluti da Federico II e nel Liber de ferculis di Giambonino da Cremona. Non poteva mancare la “chizzòola” ovvero “torta de foliata” focaccia salata fatta con farina stemperata in acqua e lardo e fritta in padella, per palati ricchi come usano le genti rivierasche del Po. Anna Moroni , protagonista attenta di tradizioni culinarie in TV, si abbandona al gusto nostrano decantando la “Torta fritta di Cremona” che consuma con salumi e strutto così come amava intrattenersi Pavarotti a dispetto di diete dimagranti impostegli quasi con forza. Fritti che accompagnano e facilitano l’amalgama di sapori e sensazioni di anime diverse: rileggo Pirandello: “... Pasqualina, sopra un angolo del focolare, faceva friggere ... e poi Grazia aveva lungamente atteso e sperato di unirsi a Pietro e una notte, dopo aver faticato a preparar focacce, ...“ . E se quella focaccia fosse il “pane câ meusa fritta“ che Adriana ed io , assaporammo ...ant’anni fa a Palermo fermi all’ingresso della “Zisa” immaginando Federico II, innamorato di Cremona ma non sempre contraccambiato? Alimenti d’amore, da street food o principeschi, con un po’ di fantasia e rimpianto possono diventare protagonisti di desideri erotici, culinari o platonici ... che ai più, amanti , italici gourmet o filosofi curiosi, piaccia per congruenza fritta.
E poi ancora lasciandoci cavalcare dall'entusiasmo del nostro Bartolomeo Sacchi immaginare le deliziose frittelle (offe) di sambuco (Aseo gratato cosi uechio come frescho cum puoca farina chiare doui , puoco lacte zucharo bonamente vi agiungerai : & isieme nel mortaro pisterai . Tritte & poste in el catino cu fiori integri dil sambuco aspergerai e poi messederai... vi sia optima assungia overo bon butiro, overo olio che bogli e cuocile. Necessarie è che se mangiano calde isparse cum aqua rosata & zucharo. ) e continuare con “Fritele de lacte preso, de salvia, de pomi, de lauro, Frictelle mandoline, amare, de fiche, de pessi, de pastinache ...
La tradizione popolare propone l'uso dell'Erba di San Pietro (tanacetum balsamita, curiosamente chiamata “fritola”, “erba di santa Maria”, menta romana o greca, erba della Bibbia...) nella preparazione di frittate povere come sottintende il Peri chiamandola “erba amara, dal sapore amarognolo ma non disgustoso”
Avventure di viaggio
Fresco di laurea in chimica pura, ribelle ai chiusi laboratori dai sentori ammoniacali, affrontai a modo mio come collaboratore medico scientifico, come direttore d'azienda,e poi come insegnante, le pesanti esperienze del vivere la complessità al pari di una variegata frittata. Affanni che Stendhal così espresse "Ieri sono salito sul Vesuvio: la più grande fatica che abbia fatto in vita mia. Occorrerebbero dieci pagine e il talento di Madame Radcliffe per descrivere la vista che si gode mentre si mangia una frittata."
La fortuna mia era un buon rimborso spese per lavoro che mi permetteva di sostare nei migliori ristoranti e informarmi da neofita anche su ricette e, perché no, sui loro misteri. Gli occhi del cuoco e fine gourmet si illuminarono quando gli chiesi con apparente ingenuità la differenza tra frittata e omelette: la prima mai lavorata durante la cottura, la seconda girata e non sbattuta, quasi a guisa di fricandò o ratatouille di accordi, per arrivare ad un composto cremoso che si sarebbe modellato e saltato a tegame. Aggiunsi un richiamo alle crepes e qui il Nostro non seppe resistere ad illustrarmi l'originale ricetta fatta da farina (50 g), uova (2), latte (1 bicchiere), burro (1 noce), sale (un pizzico) o zucchero per le crepes dolci. Mi disse che la ricetta,con piccole aggiunte di strutto ( Schmer) e latte, era anche quella del Kaiserschmarren, dolce frittata alpina, leccornia di palati regali. Interessante fu il confronto con la ricetta delle frittelle cremonesi: 250 gr di farina; (da 30 a 50g) di burro; 50 gr di zucchero; 4 uova; 250 litro d’acqua; un pizzico di sale; olio; zucchero al velo. Alcuni consigliano di aggiungere lievito. (Cuocere acqua e burro, aggiungere farina setacciata e zucchero, sale sino ad ottenere un composto fluido ma consistente (circa 5 minuti). Lasciare raffreddare e aggiungere mescolando le uova una alla volta. Riposare per un’ora. Friggere in olio e cospargere di zucchero semolato.
Il cremonesissimo Peri definisce la nostrana frittata “vivanda fatta da uova diguazzate con sale, formaggio, talora con latte e fritta” mentre la “frittada coulle zigoulle o coun j erbe” richiede l'aggiunta di erbe sminuzzate e cipolle e la “frittada rougnousa” contiene pezzi di carne e salame. E che dire delle crespelle ripiene di mandorle ( judeb de chataiff) richiamate dalla tradizione araba? La cucina marocchina prevede numerosi tipi di frittelle come l'originale beghrir. di consistenza spugnosa appare come un incrocio tra le crepe ed pancake,il sapore neutro si sposa con ingredienti a scelta, come miele, marmellata o burro.(500 gr di farina di semola stemperata con poca farina 00, lievito di birra e istantaneo, acqua, sale). Giambonino da Cremona, medico e studioso di fine 1200, rettore nel 1262 all’Università di Padova della facoltà di fisica e scienze naturali. originario di Gazzo di Pieve San Giacomo sulla via Postumia, stampa a Venezia il “Liber de Ferculis ed condiments” che contiene la traduzione latina di parte della monumentale enciclopedia dietetico gastronomica del medico iracheno Ibn Jazla di Baghdad. Dal trattato di Giambonino si riconosce la “zelabia” arabo persiana come la progenitrice della frittella e tanto è il successo tra i veneti che i “fritoleri” nel Seicento creano una corporazione tramandando i segreti della dolce frittura.
Non mancarono gli esempi esteri dedicati a quelle delicate frittatine francesi durante il nostro primo viaggio a Parigi: Le “Susettes” cucinate con Cointreau, e nate nel 1895 dal cuoco di Edoardo VII per la bella del re, facevano spesso il paio con le”crepes au bananes”, ricetta monastica o “crepes au jambon” cucinate in St.Michel a Parigi da un simpatico marocchino con una lunghissima unghia al migliolo e che molti chiamano oreilles associandola a pratiche igieniche irripetibili. Come non ricordare la dolce Martha del Fritznerhof in Tirolo che sapeva cucinare striscioline di crepes alla tedesca con erba cipollina offerte in una magnifica frittaten suppe dal profumo di montagna.
In Germania nella zona dell’Eifel (Germania) è presente e documentata dal medioevo la antica Heenisch, termine dialettale che identifica l’Heidenkorn, ovvero "grano dei pagani" o “grano saraceno” forse perché proveniente dall’Oriente. Dalla Svizzera tedesca giunse a Teglio in Valtellina, territorio retico, con il nome di formentone . Si sostiene che la pianta abbia percorso la penisola italiana dal Nord al Sud arrivando paradossalmente in Sicilia patria dei Saraceni dove è ancora oggi coltivato. Dalla seme nero della pianta si ricava una farina scura usata per fare impasti salati e dolci: ma anche pizzoccheri a nastrini o taaröi quelli che il nostro Peri battezza “bindeleen” cremonesi richiamando lontane etimologie longobarde. Grande confusione o nessuna confusione tra ricette diverse ma simili ingredienti?
Crespelle all'italiana? Tante idee e tra queste quelle profumate lenzuola di gusto che assaggiai a San Terenzo a fianco della dimora di Percy Bysshe Shelley, poeta e filosofo inglese. Crepes o frittelle di mele che variamente e con locali differenze in Lombardia assomigliano alle 'gale' di Bergamo ai 'laciadett' o leccadito di Milano, dai 'farsoe' pavesi ai 'maron de carnevaa' della provincia di Sondrio, alle frittelle di zucca preparate rigorosamente nello strutto sino ai “bomboloni” nati dalla tradizione austro ungarica dei Krapfen e alle inimitabili “frittole cremonesi” sorta di bignè senza ripieno che si fanno per carnevale. E il loop storico ritorna alle frictilia, citate da Plinio e Seneca, probabili antenate delle attuali chiacchiere o lattughe mielate nate di marzo per festeggiare i saturnali. I dolci a figura di galani (da antico francese gale ‘fiocco, ornamento”) erano ottenuti da farina stemperata con zucchero ed uovo e stesa a mattarello prima di farne frittura in buono strutto.
Frittelle in famiglia
La narrazione vuole che la nonna, durante il ritorno domenicale dal cimitero, si fermasse a raccogliere germogli di luppolo selvatico (louvertiis) in quella generosa siepe che forse c'è ancora a fianco del parcheggio del cavalcavia. Mondate le giovani gemme da foglie e polvere, preparato un misto forse anche con cipolla, uova e grana, l'Angiolina sapeva trarre da tanta semplicità una superba e profumata frittata. E per dessert? Che dire di quei fritti di pesche e di mele avvolte in pastella che, apparentemente facili da realizzare, richiedevano fettine di frutta macerate nel limone e immerse in un composto di farina, latte e tuorli accompagnati da albume montato a neve. Una frittata di profumi d'infanzia ricoperta da nevicate di zucchero a velo. Il paradosso della memoria si mescola ai ricordi di quel corso serale di matematica per stranieri che avevo organizzato alle Medie di Castelleone quando simpatiche signore marocchine in abiti di tradizione mi offrirono dolcissimi beghrir per accompagnare con un profumatissimo tè la fine delle lezioni.
La ricetta delle frittelle “moderne” del nostro concittadino Ettore Riccardi, inventore del “Pane degli Angeli” sembra voler sdrammatizzare un periodo buio come l'inizio della II Guerra Mondiale.
Per le frittelle la formula è: 400g di farina, 150 g di zucchero, 50g di burro o olio, 1 uovo, 1/6 di litro di latte (12 cucchiai), sale 3g, buccia grattugiata di limone e una bustina di Pane degli Angeli.
Ricetta per le “lattughe” cremonesi molto simile alle napoletane “pampulie” citate nel ricettario originale che richiedono 400g di farina, 150 g di zucchero, 20g di burro, 2 rossi d' uovo, 20g di strutto, 1 bicchierino di rhum o anice, buccia grattugiata di limone e una bustina di Pane degli Angeli.
Un gourmet famosissimo è stato il nostro Tognazzi che nei suoi primi spettacoli di varietà a Cremona offriva allo spettatore di trasformarne la cravatta e due uova in una succulenta frittata solo con la forza della magia. L'esperimento non aveva mai successo e il Nostro era costretto a scusarsi con il credulone di turno. Tutto ciò tra le risate del pubblico e gli accenti sonori della preziosa orchestra d'avanspettacolo, la “Diana” negli anni della rinascita del dopoguerra.
Erano gli anni settanta, c'erano tutti, al ristorante nei pressi del Cittanova: la Camerata di Cremona con l'ing Carutti, un gagliardo m° Gerelli, un giovane m°Fracassi, uno stuolo di amici e raffinati musicisti. Si festeggiavano i successi del gruppo musicale ed in particolare un giovane cantore imberbe, potente voce bianca del gruppo. Il menù era tra i più raffinati per un cremonese: salumi nostrani, marubini nei tre brodi, lessi bolliti e cotechini,... il maestro chiese al giovane cantore se fosse tutto di suo gradimento e questi con profonda anima padana così si espresse: “a me me pias anca la fritada de louvertiis, cumpagn de' i flapon, cuma la me fa la me mama...” Ci spiegò che i louvertiis erano i gustosi germogli primaverili del luppolo e i flapon, frappelle, o crespelle erano frittelle dolci o salate ricavate dagli avanzi della polenta con opportune aggiunte di farina eventuale zucchero e scorza di limone. Il giovane corista ci confidò che una buona frittata si poteva fare anche con i “laanser” (detta falsa rucola per la somiglianza con foglie e fiori) che andrebbero preventivamente bolliti in acqua salata. Si racconta che un gorgheggio anonimo mise fine all'incanto e tutti concordemente passarono senza dubbi a ... salumi, marubini, lessi e cotechini in attesa di frittole, castagnole e profumate lattughe. Si udì un “bravo” rotto da disagi di frettolosa masticazione e ingurgiti inappropriati per cultori del bel “Tono”.
Giorgio Maggi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti