11 luglio 2024

Celebrando il pesce d'acqua dolce, non più solo fritto come una volta

Non esiste solo il pesce d'aprile, ma anche quello di altri mesi. A Boccabassa (Viadana) lungo le ultime anse dell'Oglio, prima che vada a diventare Po, alla trattoria Boccabassa lo trovate sempre, quando imbroccate i giorni aperti, la qual cosa è un piccolo rebus.
 
In questo viene in soccorso una geniale idea di Antonio Meucci: intingendo il ditino indice nei numerini  zerotresettecinqueottantacentosette, altrimenti, post prephissum Casalmaiorensis, il numero romano LXXX CVII o in arabo, sic et simpliciter, 037580107
 
Quel che si trova in tavola, daghè n'uciàada alle foto e capirai il gnam oltre a come è fatto il locale. Il viaggio per arrivarci è già carino di suo, basta imboccare (senza mettergli la bavaglia) l'argine maestro e seguirlo, quando il profumo dell'Oglio perde la g e ne senti un altro si è arrivati. Ora la bavaglia serve.
 
Serve anche avere un buon appetito (ròba vansa pòol marsìir, crèpa pansa, 's pòol cusìir) e un po' di curiosità. Come sapere che in quei tratti di terra una volta scorreva un antico ramo dell'Adda (per quale motivo una chiesa si chiamava S. Maria Ripa d'Adda altrimenti?) che erano infestati dai briganti (il nome dell'epoca era sfrosatori, capito perchè si dice andàa dè sfrùus?) che nel pozzo del piccolo spiazzo davanti al gnam qualcuno ha preferito buttarsici e che le graziose note di pianoforte in sottofondo, se è un giorno fortunato, sono emanate dalle preziose mani del dirimpettaio.
 
Ora non fate altro, davanti al pesce fritto, di papparvelo senza nemmeno domandarvi perchè mai i pesci sono pieni di spine e non hanno nemmeno una presa.
FI(NI)SH
 
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Sinistramente invitato ad una rassegna sul pesce d'acqua dolce (mi vergogno, come addetto stampa!) ecco la pescecronaca dell'evento, splash!!! 
Il pesce d'acqua dolce, rassegnato, in rassegna. A question... perché esiste il divieto di pesca e non il divieto d'albicocca? 
 
Quando dei navigati marinai vogliono canzonare uno di loro, lo "intitolano" marinaio d'acqua dolce. Questo, da noi, non suonerebbe mai come un'offesa. Noi abbiamo solo quella e talmente pessimerrimissima che le preferiamo il vino. Talvolta è possibile usarla per qualche abluzione, chiudendo gli occhi per non vederla, e se usassimo quella del Po, in una pistola ad acqua, avremmo un'arma chimica, a Po...rtata di mano. 
La terra di Cremona è irrigata in ogni suo dove, lambita da fiumi, attraversata da un canale navigabile che attraversa un mare di guai (ma soprattutto attraversa -o meglio, vorrebbe attraversare- proprietà terriere, e questo discorso, ad alcuni, andrà di traverso) ed è quindi logico che si celebri il pesce d'acqua dolce, se non altro per premiarlo del fatto d'essere sopravvissuto al generoso inquinamento che le colture intensive esigono come gabella. Per produrre il doppio, roviniamo il triplo; semplice. 
La promozione turistica di Cremona (una volta affidata alla APT, sgambettata, illo tempore, dalla regione ed ora assurta a nuova vita, grazie all'elisir Rimbocchiamoci le maniche e 'ndom avanti) ha così dovuto sopperire diversamente alle prebende regionali che devono seguire le linee di condotta delle formichine, mentre dei formiconi se ne riservano altre e lasciano inutilizzati cospicui gruzzoli incanalabili nel canale che, se completato, unirebbe -via acqua- Milano al mare, con consenguente disinquinamento da Tir e contrazione dei cespiti delle fabrichètte che, con la trazione, ci marciano. Chi$$à dove porta questa £oro.ooo.ooo,oo attrazione per la trazione? 
 
Obbedendo alla legge imposta, che ha chiuso i cordoni della borsa, l'ex Apt, ribattezzata Serviz Promoz Turist Vattelapesc, collettando alcuni sponsors (sui quali, il reparto cremasco della provincia, ha esercitato il diritto al mugugno) ha reiterato la rassegna del pesce d'aqua dolce che vede proporre ricchezze della propria terra, anzi della propria acqua. 
Pesci del Po veri, quindi poveri (un attimo, please, mi autocompiaccio per la battuta) che una volta stavano freschi se non finivano in padella. Ho partecipato a diverse esequie di pesciolini morti annegati nell'olio bollente, e solo il conforto di una buona Malvasia (madonna, quanto lo era quella servita la sera della rassegna!) mi ha permesso di lenire il dolore innanzi a quella fine s(tr)aziante. 
 
Ora mi si è data l'occasione di piangere nuovamente, dato che sono stati salvati dalle acque -sto parlando sul Serio, sull'Adda e con orgOglio- piccoli, teneri, pesciolini fluiti nelle padelle -dopo rapido maquillage- resi più graziosi nell'aspetto e scevrati dal loro naturale carattere spinoso. Non ho trovato neanche una lisca, nemmeno una lisca clandestina, quella dove i pesci giocano puntando le fiches.
 
Certo si sarebbe potuto impostare tutto sul pesce di mare e rimanere comunque nel territorio, bastava tornare indietro di qualche miliardata d'anni, ai tempi del mare della Tetide, ma sulla freschezza del prodotto ittico, avrei dubitato se nel menù avessi letto fritto misto giurassico di pesciolini fossili.
 
La sera della rassegna. Ecco un quadretto: dopo un bell brut, tutti all'aperto, i convitati, una ventina i presenti all'evento -più uno, il vento in persona- complici i capricci di Eolo, hanno trasbordato all'interno. Istruttivo il trasloco delle autorità, pronte a orientarsi in base all'andamento del vento. Io ho seguito molto attentamente l'andamento delle bottiglie dei dirimpettai piacentini Ferrari e Perini, che dopo un Ortrugo ancora troppo a braccetto dell'anidride solforosa, hanno fatto scintille con uno straordinario Sauvignon accarezzato da una felicissima vinificazione, che lo ha lasciato intatto con tutti i suoi profumi, ed una Malvasia che mi ha dato dipendenza. Me ne sono subito autoprescritto diverse dosi. 
 
Il menù ha dato voce ai pesci, solitamente muti, arrotolando il soliloquio dello storione -previa felice marinatura- ed accompagnandolo a verdurine croccantiformi che mi hanno sconfinferlato non poco. Certo un tempo lo storione era il re del Po e la cattura di un esemplare, farlo secco, era come azzeccare un terno, secco pure lui. 
La sua cattura era preceduta da un invitante pastura di girele: bivalve eridaneo, nome proprio anodonta (visto Direttore che mi sono preparato?) che si sposta, roteando, sul fondo. Anche noi abbiamo qualcosa che rotea, in fondo. 
 
La cucina ha voluto mostrare la propria abilità servendo delle sfogliatine di provolone (strano pesce -rigorosamente d'acqua dolce- pardon, latte dolce, pescato personalmente dallo sponsor) con una crema di fave, seguite dai maccheroni al pettine, alias garganelli, con l'anguilla e piselli, avvicinandosi così alla tradizione, il cui confine delimita spesso la fame più vera. Ai nostri nonni, già avere in tavola l'anguila cul ruviòon, era un sogno che la polenta avrebbe incorniciato. I loro nipoti si sono spazzolati l'anguilla, che in tempi di divieto di fumo, ha aggirato l'ostacolo presentandosi già affumicata. Ora la fame non c'è più, ma i garganelli con l'anguilla, alias garganguilla, pèr l'òstrega 'i era pròpria bòon, anca se èn pò tròpp cutt
Il pesce persico (perca fluviatilis, da non confondersi col persico sole, lepornis gibbosus o col Persico Dosimo) s'è fatto accompagnare dallo zafferano, immolandosi assieme ad un saccottino di porro e -a seguire- formaggi e mostarda di Cremona la cui ricetta mi è sembrata molto familiare. Temevo un incanutimento precoce, se il dolce fosse stato a base di pesce (come dolce andava bene anche solo l'acqua dolce) ma una rassicurante crema di limone all'assenzio, sicuramente migliore in assenza d'assenzio, mi ha fatto risparmiare una cifra sulla tintura. 
 
Voilà la rassegna del pesce d'acqua dolce che i nostri vecchi stenterebbero a riconoscere, perché più in là del pesce fritto non andavano (erano i tempi del Po... rca miseria). Al massimo, era concesso fare un bagnetto, nello strutto bollente, solo all'ambulìna (alburnus alburnus) al barbi (barbus barbus) alla tènca (tinca tinca) o all'anguilla (anguilla anguilla, ma i latini erano balbuzienti o duri di comprendonio? Repetita iuvant repetita iuvant). 
Talvolta faceva la sua apparizione il bucalòon (micropterus salmoides) e boss e zèerle (Nemacheilus barbatula et cobitis taenia). Erano veramente rari da trovarsi su quelle povere tavole (et erat res mira atque nova eos habere in illis pauberibus mensis) figuriamoci l'acipenser huso (ovvero ovvero lo storione storione). 
 
Un giorno lontano, si potrà approntare -una volta terminato il canale- una rassegna dei pesci d'acqua salata che, gioiosi, potranno fare una nuotatina fino ai Navigli e allora, non si saprà più che pesci pigliare: se prendere la triglia che è un pesce a tre pinne (a differenza della quadriglia che ne ha quattro) o la biglia che ne ha due, o la maniglia che ne ha una sola, o la quisquiglia che non ne ha affatto. 
Ci si potrà così porre domande sul perché i gamberetti possono essere serviti lessi e non scrissi, su dove i pesci -dopo il ma(t)rimonio- vanno in viaggio di cozze, o su quale albero stanno i frutti di mare e se, a spremerli, esce il succo del discorso. 
Sarebbe interessante chiedere al merluzzo se non si vergogna a fare la figura del baccalà come sovente capita a chi, pescatore di voti, aspetta che noi abbocchiamo. Se lo domandiamo a quei pescatori, rimarranno muti come pesci, (p)essi non vogliono che si seppia in giro, limitandosi solo a prenderci in giro.
 
(Adesso metto la phirma e finisco)
Lil...luccio (esox lucius) Bartoli photographus aquae dulcis dalla nascita (che ghè vègna 'n ...omissis...) avvenuta prevalentemente in Cremona nel MCMLII 

 

Lilluccio Bartoli


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commenti


Lilluccio Bartoli (Cosa devo farci? E' il nome vero!)

11 luglio 2024 09:54

Se aggiungevo dell'altro, sarebbe diventato un trittico, anzi un tr... ittico, quindi è diventato un bittico, affinché l'improvvido lettore non venga, impietosamente, raso al suolo*.
*raso al suolo = tappeto di stoffa pregiata o anche persona che si rade sdraiata sul pavimento.