20 marzo 2023

Cosa mangiavano i cremonesi a inizio Novecento? Soprattutto pane e polenta ma (staticamente) meglio che altrove

Il dottor Giovanni Grasselli nel 1899 assunse la responsabilità dell'Ufficio di Igiene Municipale. Proprio in quell'anno iniziò la compilazione di un poderoso lavoro, dato poi alle stampe nel 1912, nel quale esaminava la situazione del Comune e della città di Cremona in tutti i suoi molteplici aspetti, dall'ambiente fisico e climatologico a quello morale, da quello dell'assistenza pubblica all'altrettanto importante dell'istruzione pubblica. Una parte cospicua riguardava che cosa mangiavano i cremonesi. I dati provengono soprattutto dai dazi sulle merci alle porte cittadine. 

Assai difficile è stabilire con una certa esattezza quale fosse il tenore alimentare dei tempi passati.

Per altro, in proposito, il Grasselli suggeriva di tener molto conto di quanto alla metà circa del secolo precedente aveva scritto il Robolotti, il quale attestava che il cibo predominante era la polenta quindi il pan fresco e biscotto, la minestra di pasta o di riso con verdure e i legumi conditi con burro oppure con lardo od olio. In base dunque a queste attestazioni si deve ritenere che prevalesse un tipo di alimentazione assai misera, costituita di vegetali di valore economico e fisiologico abbastanza basso.

Con tutto ciò il Robolotti aggiungeva notizie per le quali si può arguire che, tutto sommato, il tenore della alimentazione non doveva essere soverchiamente basso nei tempi a lui più vicini perché, mentre da un lato attesta che pochi e solo i più miserabili erano costretti a far uso nei quattro pasti del giorno di sola polenta senza companatico, d'altro lato si affretta ad aggiungere che anche i più poveri non raramente disponevano di companatici, come a dire di vegetali conditi con olio, ovvero di uova e talvolta anche (specie nei di festivi) di salame, formaggio, pesce, maiale, vacca, pollo e la cosiddetta minestra in vino che rappresentava un genere di alimentazione tutto particolare della Lombardia. Pur ammettendo dunque che le condizioni della alimentazione pubblica fossero già abbastanza buone sin dall'epoca incui il Robolotti scriveva, si deve dire che già agli inizi del secolo fossero nettamente migliorate.

Dallo studio dei rapporti daziari dell'epoca al Grasselli risulta che il consumo annuo individualedi carne era cresciuto, in confronto dei primi tre decenni del secolo precedente, di circa 5 Kg., ma tale aumento "risulterebbe anche maggiore, in riguardo agli ultimi anni, se si potesse togliere dal totale della carne macellata nei decenni passati la quantità che un tempo veniva esportata nel Due Miglia ed in genere nel contado"

Infatti nel passato gli agiati della campagna usavano fornirsi di carne quasi esclusivamente in città. Ma più tardi sia nel Due Miglia che in molti piccoli paesi sono sorte macellerie, che si sono procurate come clienti quasi tutti coloro che un tempo facevano provviste a Cremona.

Secondo lo studio del Grasselli, comunque, ai tempi suoi si consumavano giornalmente pro capite, nel comune di Cremona circa 41 chili di carne, il che rappresentava un quantitativo molto elevato rispetto al quoziente medio del Regno, espresso, secondo una statistica ministeriale del 1907, in Kg. 22,1.

Si notava inoltre un considerevole aumento pure nel consumo del latte, che era passato dai 23,1 litri a testa del 1861 ai 50,98 del 1907.

"E questo grandissimo aumento era motivo a rallegrarsi come di un indice preziosissimo per attestare il miglioramento nel tenore della alimentazione. Ciò era conseguenza diretta dei grandi progressi della produzione del latte nella provincia, ove, da circa un trentennio, si era estesa la coltura a prato, aumentando cosi la produzione del bestiame e di conseguenza la produzione del latte".

Veniamo ora al vino: troviamo che questo genere presentava il maggiore aumento negli ultimi sessant'anni, passando dai 118 litri a testa del 1851 ai 172 del 1907.

"Naturalmente la statistica - osservava l'autore - non ci può illuminare sul modo come avvenga il consumo individuale e quindi si potrà anche dubitare che, per una certa parte, questo aumento non avvenga nel modo più conforme ai precetti dell'igiene".

Ma questa considerazione nulla può togliere alla importanza generica della statistica sopra riportata, la quale, in quanto attesta che anche le classi meno agiate fanno a Cremona largo uso di vino, costituisce un indice importantissimo di elevato tenore alimentare.

Mentre infatti il consumo medio annuo del vino nel Regno era rappresentato dal quoziente 96, si riscontrava a Cremona, da circa vent'anni, un quoziente non solo di gran lunga superiore, ma anche più elevato di quello che si poteva trovare a Milano ed a Bologna per le quali città abbiamo un quoziente pari a 144. 

Nel locale macello (aperto a Santa Lucia) annualmente venivano "trattati": circa 1550 buoi, 620 vacche, 6000 vitelli, 800 cavalli, 3000 suini, 1400 ovini.

Il mercato della frutta e della verdura di piazza Cavour in una foto d'inizio Novecento


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