18 novembre 2024

Cotechino vaniglia (ocio, detto vaniglia, se ci fosse davvero la vaniglia, lo servirei con polenta e cipria)

Mi si chiede di trovare un cotechino vaniglia, che ho trovato solo su certi testi, dove si legge di cotechini alla vaniglia (?) prodotti da ristoratori ai quali la fantasia non difetta, a Villastrada, nel mantovano, diocesanamente cremonese per questioni di confini liquidi, vedi fiume Oglio, Po, affluente Lambrusco e che, fedifragamente, vengono impropriamente -questione di metri, di limen- denonimati cotechini cremonesi.

Nel Varesotto, l'accezione cotechino vaniglia è addirittura castrata, espuntando proprio l'oggetto raramente presente nelle diete e -per effetto traslato- addirittura si parla, non di cotechino vaniglia, ma di vaniglia, tout-court, intendendo per vaniglia il colesteroloso insaccato.

C'è chi lo intende come aroma del salume che sembra sia stato fantasiosamente colto da un accademico colto.

Gli accademici sono quel genere di buontemponi, un vero coacervo di manducatori con ineludibile attrazione al mangiare a sbafo (madonna, chissà al ristorante di Montecitorio!) ai quali appartiene il Nostro e che ha ritenuto cogliere (come si chiamano quelli che cogliono?) tra gli effluvi di un fumante e poco islamico (allah faccia di Maometto) cotechino, il sentore di vaniglia. 

Abitualmente non capisce un'acca, da cui accademico.

Il soggetto appartiene al genere che ha scoperto la cucina nostrana chiamandola "del territorio", i sapori autentici li gradisce solo se hanno l'imprimatur del biologico, integrato, biodinamico, ecocompatibile (siamo all'ortoressia) autoctono e che si realizza, si uniforma -per me appiattendosi- nei vari formaggi caprini che ormai tutti fanno e che gabellano come riscoperta, aromatizzandoli con fantasie di erbe, foglie di noci, vinacce, ceneri di ginepro e chi più ne ha più si faccia gabellare.

E' quello che chiama dadolata lo spezzatino, inverte l'insalata di frutta con la macedonia di verdure, che cambia il nome ai tortelli trasformandoli in fagottini, bauletti, scrigni, caramelle, sfoglie ripiene e scopre che un vedovo da vent'anni adesso si dice single.

Torniamo al cotechino vaniglia.

La vaniglia non è presente all'appello degli ingredienti, menuno, mendue, mentre la fantasia e una certa propensione all'obnubilamento etilico è presente nel pirla che ha dato inizio a questa diceria, dato che, secondo l'improbabile parere di questo anonimo avvinazzato, le cui sinapsi non si rivolgono la parola, il suo profumo richiamerebbe -repeat, please: r-i-c-h-i-a-m-e-r-e-b-b-e- il delicato aroma esotico della vaniglia.

Pertanto è solo un modo di chiamare il cotechino e la costosa spezia oltreoceanica non c'entra un beneamato baccello, unica cosa in comune con la vaniglia. Il cotechino vaniglia lo si poteva trovare da Saronni in C.so Mazzini a Cremona (and now nella nuova sede oltrepadus a Glasscastle [Castèlvedèer]) il quale, interpellato, ha puntualmente perorato questa mia spiegazione, aggiungendo che la vaniglia non entra affatto negli ingredienti e che la sua preparazione differisce, dal classico cotechino, per un equilibrio diverso del macinato e dalla stagionatura inesistente come alcune topolone dai lombi freschi in posa da calendario sulle quali posare gli occhi non potendo posare altro. 

Il delicatismo e la dolcitudine (vado bene come stranfugnadùur dè paròli?) del cotechino in questione sono dovuti al fatto che i cotechini di Ambrogio, non dovevano conservarsi per mesi, dato che il loro consumo era immediato e pertanto non abbisognavano di eccessivi carichi di sale, rendendone l'impasto particolarmente dolce da indurre gli sprovveduti a cogliere sentori di vaniglia. Aggie scpiegato 'bbuono chisto fatt o no? 

Anni fa, stufo di sentirmi menzionare 'sta cosa vaniglievole che ritengo una vera fesseria, indagando approfonditamente, approdai alla Crepa di Isola Dovarese dove Riccardo Malinverno (ma il nome è ufficialmente Franco, un po' come dire Silvio e $i£viooo.ooo.ooo, o scrivere "non so che regalo fare"  che poi si legge "non voglio spendere soldi") mi mostrò un articolo dove quel che ho detto era chiarito in maniera esaustiva.  

Da mie improbabili ricerche...

Un noto porcaro franzoso, nell'800, tale Monsieur Suin De la Scrofe, in pieno decadimento gotico (da cui gotechino) inventò questo nome per risollevare le sorti delle sue finanze e ritornare in auge presso i potenti dell'epoca, tra i quali il clero, che iniziò subito a dare lezioni di cotechismo.

La sua ricetta ebbe una evoluzione nel Centocin (fine quattrocento inizio cinquecento) quando, per opera dell'irlandese Mister Porkett Hall 'O Spyed, si alimentarono i suini con prodotti scaduti della Vattelapesca Chocolate, utilizzando bastimenti carichi di budini alla vaniglia predati durante il trasporto alla discarica di Montecitorio, dove insaziabili fiere se li contendevano con manovre estranee alla legalità.

Una partita di questi quadruzamponidi (non quelli di Montecitorio) finì in Germania, dove Herr Sgriffen Von Zampon und Lentikkien riconvertì la produzione di cotechini in biscotti alla vaniglia facendoli essicare.

Dopo averli lanciati sul mercato, come ciccioli vaniglinati, e vanificato questo suo intento dalla risposta della clientela (non ancora sufficientemente decerebrata dalla pubblicità) li rimise in commercio come frollini, ottenendo uno strepitoso successo, effigiandone la confezione con il sorridente ritratto di un signore con scarso cuoio capelluto, avuto, per rogatoria, da un pittore brianzol/irlandese di Hardkore.

Corrado Barberis, depositario di cultura dello gnam italico, scrive che il cotechino vaniglia deve sentire le campane del Torrazzo, lo sta confermando e scrivendo uno che è suonato come una campana.

Essendo nato prevalentemente a Cremona ed avendo visto ma(n)gicamente trasformare in cotechini una dozzina di dozzine di porcelli non ho mai visto, nè sentito parlare dagli addetti ai lavori, di cotechino vaniglia.

Evidentemente, uno degli inurbati sedicenti gastronomi summenzionati, nei confronti del quale la mia stima è tra la cera e il pavimento (la categoria è quella che, nel vino, sente il sentore di violaciocca rugiadosa e la buccia di pesca -mai la buccia di caccia- colta al mattino verso le 7 e mezza dalla mano innocente di un bimbo mancino che a scuola ha la maestra bionda) ha ben pensato di poetizzare una sua emozione dovuta -io ritengo- ad una biondazza sventolona, un'opera d'arti inferiori, intersecata da poco e dopo un' impreparazione alla materia dovuta ad un digiuno assai prolungato.

Fine.

Dessert? Gelato vaniglia al cotechino; nel cono di polenta, grazie.

Si ringraziano, per la stesura del testo, i dottori che non sapendo una sega del cotechino vaniglia, l'hanno fatto proprio con la vaniglia, come se la mozzarella in carrozza fosse una mozzarella trainata da un equino, o (vocativo) asini!

Un asino di nome 

Lilluccio Bartoli


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commenti


PierPiero

21 novembre 2024 10:22

Sino a pochi anni fa, con la storica gestione precedente, caro Lilluccio avresti potuto degustare un favoloso cotechino vaniglia alla trattoria del Vecchio Mercato in via Mantova.
Portai una volta un amico romano che se ne mangiò tre porzioni e non ancora soddisfatto ne chiese una quarta ma, fortunatamente per il suo fegato, la dotazione in cucina per quel giorno era terminata.
Il Vecchio Mercato era proprio una vecchia osteria cremonese, dove potevi parlare ancora in dialetto e mangiavi i piatti della tradizione cremonese.
Poi la mitica Luigina e suo marito, onusti di gloria e di tanti anni di lavoro, cedettero il locale a una delle cameriere che subentrò nella gestione (credo fosse rumena) e delle vicende successive nulla so.

Lilluccio Bartoli

21 novembre 2024 16:27

La rumenitudine della gestione Vecchio Mercato con in menù la trippa, di forte richiamo pèr èn slifrucòon tàmmè mé,
era ancora in atto un anno fa, si chiamava Ai Granatieri (oggi Granatoggi?) ed aveva conservato lo stesso ambiente non certo sbrilluccicoso, ma con l'allure che compete ad una rurale gargotta. Il cotechino vaniglia in oggetto, gioiello di Ambrogio Saronni, straordinario impresario di onoranze funebri suine, lo si può trovare sulla rive gauche, precisamente alla Bottega Ca' dell'Ora a S.Giacomo Lovara di Malagnino, sulla Josephine road (ab antiquo Saint Jack at the field). Lì, Ambrogio, appende i suoi salumi firmati Saronni, dopo aver appeso al chiodo l'attività, previa trasfusione dei suoi saperi & sapori alle redini della Bottega rette da cremonesissimi Ferraroni, ferrati in materia.